Nardacci Gabriella

Lettera a un’amica scomparsa

di Gabriella Nardacci

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Cara, amica mia cara,

può sembrare strano, ma mi vieni in mente quando sento certe parole come presenza, assenza, dove, segno, sogno… tanto facevano parte della nostra amicizia.
Ieri è bastata qualche canzone di Battisti, dei Rokes, dei Camaleonti, dei Dik Dik, di Bob Dylan e altri… a incupirmi la giornata.

All’improvviso mi sono ritornate alla memoria i nostri anni alle superiori e le nostre estati insieme, o meglio, quel bel tempo in cui la felicità era riposta negli attimi di svago, negli innamoramenti disastrosi, nei falò sulla spiaggia, nelle corse sul ponte prima di giungere al mare, nella moda e soprattutto, nella musica che ha accompagnato sempre ogni nostro momento di condivisione e complicità.

Il mio primo impulso è stato quello di prendere il telefono e comporre il tuo numero. Avevo voglia di esaudire quel tuo desiderio espresso circa un anno e mezzo fa: passare insieme una settimana per raccontarci quei tempi andati e, nei dettagli, i tempi odierni; per dirci le cose che son cambiate e se avevamo poi vissuto la vita che volevamo o come e quanto è stata diversa; e quanto amore abbiamo ricevuto e quanto ne abbiamo dato; tutto quello che ci resta e quanto ne alimentiamo, che ci fa sembrare ancora piene di vita; e quanto brave mamme siamo state e quante volte abbiamo sbagliato.
Sentire il cuore pulsare forte e piangere e ridere contemporaneamente in questa nostra “corsa strillata” per la strada del tempo che corre veloce come un cavallo impazzito.

Ci siamo state sempre.
Se non ero io, eri tu a chiamare e viceversa al fine di poter riallacciare sempre quel filo della memoria che abbiamo iniziato ad avvolgere già nella prima adolescenza. Era diventato un grosso gomitolo, con qualche nodo ultimamente, causa acciacchi di salute che se ne va, con tutto il nostro corpo che sembra cedere alla forza di gravità e con la memoria lunga che si rinforza ogni giorno di più, ma che ci vede insieme tra libri di storia e di letteratura che ti raccontavo rapita e che tu ascoltavi attenta e che ci hanno fatto piangere e riflettere e sognare; con gli atlanti geografici che ci hanno fatto scegliere paesi straordinari da visitare insieme e concerti da sentire nelle piazze e negli stadi; con gli autunni nebbiosi e dai colori caldi delle foglie, chiuse dentro uno studio a immergerci nell’esistenzialismo di alcuni filosofi e dentro la matematica che tu riuscivi a decifrare bene al contrario di me che facevo una fatica immane a entrarci dentro, nonostante le tue continue delucidazioni in merito.

Eravamo, in certe discussioni, tu il bianco io il nero ma ciò lo abbiamo sempre ritenuto formativo e questo ci faceva intendere che la verità ha sempre due facce e che questa consapevolezza in fondo, ci ha aperto il cuore all’accettazione di qualunque altra persona, o ideologia, o concezione… perché era troppo facile andare d’accordo solo con chi la pensava come noi.

Non eravamo delle romantiche nel senso banale del termine: detestavamo i muri e le barricate e le guerre. Abbiamo sfilato nei cortei per la pace e abbiamo contestato i nostri genitori cantandoci forte “Ma che colpa abbiamo noi”.

Te lo ricordi cara? Dimmi, ti ricordi ogni cosa? Abbiamo fatto scelte diverse, ma combattive e non ci siamo perse. Mai.

Ci siamo sentite e raccontate i nostri matrimoni, le nascite dei nostri figli e le loro scelte e tutti gli anni che ci hanno visto cambiare. Poi siamo andate insieme a Firenze e ci siamo ri-conosciute al mercato a comprar la finocchiona che tanto ci è piaciuta e a Foggia in quella pizzeria che aspettava solo noi e in cui ci siamo fatte quelle “grasse risate” a ricordarci episodi vissuti non insieme e a raccontarci di certe notti scure e senza una sola stella nel cielo dove poter depositare un desiderio.

E poi la tua casa e poi la mia casa attuali e i nostri affetti per includere anche loro nella nostra storia; la tua casa al mare rivista dopo tanti anni; camminarci dentro e rivivere la cucina dove tua madre preparava quella squisita pezzogna all’acqua pazza che tu mi hai ri-cucinato, e tutta la notte in bianco a parlare di ogni cosa…

Mi dicesti che certe cose le avevi rimosse e mi facevi domande continue come se ricordare i miei dettagli di un fatto, ti lasciasse dipanare tutta la matassa del tempo per avere qualche ricordo in più utile a scaldarti in certi periodi di tempo, rigidi. E quando non ce la facevi, ridevamo a crepapelle dicendo che la vecchiaia è proprio una brutta bestia e che i nostri figli presto ci avrebbero preso in giro.

– Tu ne hai fatti realmente tanti di viaggi mentre io sono stata una viaggiatrice sedentaria – ti dicevo. Mi rispondevi che quando sarei andata in pensione, saresti venuta a prendermi per portarmi con te in qualche paese orientale, magari, o in qualche paese del nord Europa che tanto mi sarebbe piaciuto visitare.

Ormai è quasi un anno da quando te ne sei andata. La notizia della tua dipartita da questa vita, mi ha destabilizzata. Passerà… mi son detta. Il tempo di prenderne coscienza e passerà. Del resto chi di noi rimane fuori da questo ciclo della vita?

Ma a distanza di un anno percepisco ancora acuta la tua mancanza. Non riesco a descriverla ma la percepisco e credo che questo sia più doloroso.

Non abbiamo costruito nessuna storia da leggere e imparare né da insegnare. I nostri anni sono stati gli anni “apparentemente normali” di molte persone che hanno vissuto la vita la vita lavorando o non lavorando, che hanno gioito e pianto, hanno giocato e pensato, sognato e aspettato…

Non abbiamo avuto il tempo per stabilire una data e un posto dove incontrarci.
Il giorno che ho deciso fosse giunta l’ora di organizzarci, ti ho inviato un messaggio scherzoso e la risposta non è venuta da te ma da tuo figlio: – Mamma è in sala di rianimazione… Un ictus.

Tu conosci quei silenzi interminabili, vero? Quante volte non abbiamo avuto il coraggio di rispondere e ci siamo strette in un abbraccio silenzioso?
– Ce la farà, caro. Mamma ce la farà! – Ne ero fortemente convinta e ho pure pregato perché ciò avvenisse presto.
E invece no! Neanche due giorni e… – Mamma non ce l’ha fatta!

Cara… cara amica cara. Mi ascolti, vero?

Non voglio pensare che la nostra amicizia sia stata inutile. Era solo la nostra e includeva tutto delle nostre vite, forse ordinaria per gli altri ma straordinaria per noi. Non ho più nessuno ora, con cui condividere questi momenti. Tu eri l’unica con la quale “sceneggiarli” e ridar loro vita.

Ora li vedo persi senza di te e non servono a nessuno perché sono “ umani” e fanno parte di quella storia di tutti i giorni che non fa storia alcuna.

Avevo preparato un sacco di cose da farti vedere: foto, cartoline, lettere. Mi avevi detto di metterle da parte così che potessi ricordare meglio ogni cosa che il tempo aveva rimosso.

Mi ascolti, vero?

Non so dove sei e se quel posto ora faccia parte di un paese meraviglioso che non avevi messo in lista, ma senza dubbio è un viaggio last-minute quello che hai fatto.

Non ho avuto tempo per salutarti ma alcuni credono che i viaggiatori come te ci ascoltano e di sicuro allora, so che mi leggerai perché ti piaceva leggermi.
Così in qualche modo spero ti sia giunto questo “canto libero” che cantavamo sottovoce insieme a Battisti.

Cara, amica mia cara… te la ricordi la mia propensione alla nostalgia?

Gabriella

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