





|
|||
Il sentiero della gentilezza
Sono uccello sospinto dal vento . Un rumore, una porta che si apre, un uomo che compare sull’uscio. Ho il sole negli occhi. Porto una mano alla fronte per proteggerli e tentare di distinguere la figura che mi si pone di fronte. “Ah!”, mi fa. Resta tra i suoi pensieri per qualche istante, giusto il tempo di farmi sprofondare nell’imbarazzo. Qualcosa s’illumina in lui e – con intensità – chiede: “Ma tu sei la nipote del maestro di Frontone?”. Si! Esulto, mentre partono i fuochi d’artificio nella mia testa. “Vieni ti accompagno”, si risolve d’improvviso. “Ti faccio vedere da dove devi passare”, la diffidenza cede il posto alla cordialità; evviva! E sì, perché una tipa gironzolante con il giacchetto verde e lo zaino sulle spalle – verde anch’esso – può non ispirare simpatia, così di primo acchito. Cosa avrà – poi – di così brutto questo colore?! Ci incamminiamo insieme. Lui indossa le ciabatte, e regge – con mano ben salda – mezza busta di granone per le galline. Dice di chiamarsi Gennaro – “Nipote di Gennarino”, precisa. E’ un incontro fra nipoti, del resto. Giunti nel punto stabilito non mi lascia sola, ma continua a guidarmi lungo la strada. Ha vissuto negli Stati Uniti per undici lunghi anni. Quando gli ho chiesto il motivo del suo ritorno mi ha risposto serafico: “Qua la vita è differente”. “Queste vanno bene per camminare, non scivolano” – mi fa – riferendosi a ciò che calzo. “Con questa ci facevano le scope, con i pezzi più secchi si accendeva il fuoco per cucinare”. La macchina del tempo si è messa in moto. Respiro profondamente e scaccio via di forza il peso dei troppi bisogni indotti (e inutili) del nostro tempo. Arriviamo all’acqua. “Ecco il pantano che cercavi!”, sfoggia la gioia di un bambino. Mi regala i suoi ricordi legati ai blocchi di tufo e ai segni della fatica impressi nelle pareti. Riprendiamo a camminare. “Da qui puoi tornare a casa, passi vicino a Luigino e scendi giù alla marina”, mi indica la via più facile per il ritorno. Lui percorrerà il sentiero a ritroso. Sollevo lo sguardo per salutarlo. Ha gli occhi chiari, virano verso il grigio. Il sole che lo colpisce in volto evidenzia l’espressione serena di chi, inconsapevolmente, si è salvato dalla morsa delle sovrastrutture, e tanti saluti al sistema! Gli stringo la mano per ringraziare e salutare. Non riesco a trattenermi dal portare le mani unite verso il petto. Tira fuori dalla tasca una caramella per Gina; “Solo una ogni tanto”. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
|||
Ponza Racconta © 2021 - Tutti i diritti riservati - Realizzato da Antonio Capone |
Commenti recenti