Ambiente e Natura

Le isole galleggianti di rifiuti

proposto da Sandro Russo
Navigare sull'isola galleggiante

 

Questo davvero ai bambini bisognerebbe provare a spiegare: che cosa sono, come si formano e di cosa sono fatte le isole galleggianti di rifiuti.

Il vortice del Pacifico (Pacific trash vortex) è solo quello di cui si è parlato per primo; il più grande e famoso dislocato tra le Haway e il Giappone, ma tutti i mari ne hanno uno o più; anche – nel suo piccolo – il nostro Mediterraneo.

Sono il risultato di movimenti ‘a vortice’ delle correnti, che trasportano in una più o meno ampia superficie di mare tutti i rifiuti galleggianti. Questi agglomerati non sono visibili dagli aerei e dalle grandi navi, per essere la massa maggiore appena sotto il pelo dell’acqua; ci si rende conto di essi solo navigandoci in mezzo con piccole imbarcazioni.

L’isola galleggiante del Pacifico è enorme; ha una superficie stimata tra quella della penisola iberica (per gli ottimisti) e degli Stati Uniti (secondo i pessimisti) ed ogni anno è più grande…

Secondo, l’UNEP (United Nations Environment Programme, il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite) la plastica rappresenta dal 60 all’80% del totale dei rifiuti in mare.
Il problema anche nei nostri mari non è sottovalutare: fino al 2010, prima dell’avvento dei nuovi sacchetti biodegradabili, l’Italia deteneva un consumo di plastica pari al 25% del totale commercializzato in Europa.

Il nostro Mar Tirreno, ha anch’esso un suo “piccolo” ma distruttivo trash vortex. I dati sono del monitoraggio condotto da Goletta Verde, Legambiente e dall’Accademia del Leviatano e sono stati presentati in un incontro al ministero dell’Ambiente organizzato dal Kyoto Club (settembre 2013). La superficie in studio è stata suddivisa in settori che hanno incluso: il Tirreno centro-settentrionale (Sardegna, Corsica, Liguria, Toscana); il Tirreno centro-meridionale (Calabria tirrenica, Campania, Basilicata, Lazio); inoltre le tratte di navigazione Livorno-Bastia  e Fiumicino-Ponza.

L’analisi, condotta su 3.000 chilometri di costa con 136 ore di osservazione, ha evidenziato che il 95% dei rifiuti avvistati in superficie è costituito da materiali plastici di vario tipo. Su questa percentuale, il 41% è rappresentato da buste e frammenti di plastica, il 13% da teli, cioè residui unici pari a un metro o più, e il 12,5% da bottiglie. Il 33% invece, è la percentuale di cassette di polistirolo trovate lungo la tratta Fiumicino-Ponza.
In generale, l’abbondanza dei rifiuti è risultata essere di gran lunga maggiore in prossimità della costa.

Lo studio relativo è qui di seguito presentato in file .pdf ripreso da GreenreportGreenreport.it Rifiuti nel Mar Tirreno

 

Un video illuminante sul Pacific trash vortex, da YouTube, è stato scelto tra tanti, per sua colonna sonora: For what it’s worth dei Buffalo Springfield (1967)

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3 Comments

3 Comments

  1. vincenzo

    15 Maggio 2014 at 11:37

    Cari bambini mi raccomando tutti in fila, ascoltate cosa ci dice la Signora di Marevivo poi farete un riassunto della giornata.

    I bambini con il Gummy in mano vanno in classe e la maestra spiega: ragazzi avete capito non bisogna inquinare, non bisogna sporcare il mare, le carte delle caramelle non gettatele per terra, non bisogna consumare energia e acqua, non dobbiamo inquinare l’aria sono beni preziosi ci danno la vita.

    In una altra classe c’è una maestra forse “grillina” che dice: ragazzi avete sentito quella Signora di marevivo ci ha detto che nel nostro mare hanno buttato i pneumatici, ma anche le batterie, ma avete visto quanto polistirolo, e plastica c’è dappertutto, secondo voi bambini di chi è la colpa? E’ nostra? Chi ha inventato la plastica? Chi ha inventato le cassette di polistirolo, sapete che nell’oceano lontano dalle coste ci sono continenti galleggianti di queste cose?

    Improvvisamente arriva il preside e dice: Maestra le vorrei parlare venga in direzione!……

  2. Sandro Vitiello

    15 Maggio 2014 at 12:49

    Purtoppo quello che si vede e viene monitorato è solo la punta dell’iceberg “monnezza”.
    I pescatori ponzesi e quelli della costa conoscono molto bene quello che viene definito il “canale delle buste”; un pezzo di fondale marino tra Ponza e la terraferma dove uno strano gioco delle correnti ha ammassato decine di tonellate di borse di plastica.
    E’ questo aspetto che preoccupa maggiormente.
    Spesso consideriamo l’aspetto estetico dei rifiuti ma “la terra dei fuochi” ci insegna che tutto quello che viene fatto in sfregio all’ambiente poi lo ripaghiamo con gli interessi.
    La nostra isola non è immune a questa regola.
    E’ fuori dubbio che le borse di plastica e tutti gli altri rifiuti, una volta ridotti in piccole dimensioni per effetto del moto ondoso, entrano nel circuito nutritivo dei pesci, a loro insaputa.

  3. giovanni hausmann

    15 Maggio 2014 at 17:23

    Il contributo di Sandro V. è veramente inquietante e forse un po’ forte rispetto alla realtà ma comunque va preso in seria considerazione. Occupandomi da tanti anni di sviluppo rurale posso confermare che sulla terraferma la situazione non è migliore. A parte i problemi noti riguardo la cosiddetta “terra dei fuochi” un po’ in tutte le aree destinate alla produzione alimentare la componente inquinante è molto forte e quando si fa il “sovescio”, cioè quando si ara la terra si trova un po’ di tutto …e parlo solo di quello che si vede!!!
    D’altra parte non si può dire che le istanze ambientaliste di questi anni abbiano fatto molto per coltivare la cultura “green”. Da una parte infatti l’ambientalismo ‘di conservazione’ non ha fatto altro che creare divieti normalmente disattesi, se non addirittura odiati, e quello ‘di protesta’ ha un effetto molto limitato nel tempo.
    Dovremmo invece iniziare a diffondere dove possibile un nuovo ‘ambientalismo di sviluppo’ in modo da trasformare l’ambiente in una risorsa economica “da utilizzare”. il principio è “produrre migliorando l’ambiente”, quindi senza limiti o filtri nelle ciminiere che invece di produrre CO2 creano aria pulita magari assorbendo CO2 o coltivazioni di prodotti che non richiedono fertilizzanti chimici, e via di seguito.
    Certo che se osserviamo l’attuale sistema economico la mia visione è molto irreale ma se immaginiamo di fare le stesse cose che facciamo ora, con una visione “green” forse possiamo rallentare e addirittura fermare questo scempio.
    Chiudo con un richiamo al filmato di Sandro R.: se il ragazzo che sta raccogliendo bottiglie nel fiume trovasse qualche imprenditore che investe in impianti per la cernita ed il riutilizzo dei materiali che troviamo in giro ed i consumatori iniziassero ad acquistare prodotti realizzati con questi materiali (vedi il pile fatto con le bottiglie di plastica), questo potrebbe diventare un affare e quindi richiamare investimenti anche significativi non solo nei processi ma anche nei prodotti e quindi nella ricerca.
    in fondo questo è la “green economy”.

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