proposto da Vincenzo Ambrosino
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Come sapete, la rappresentazione teatrale “Tre pecore viziose” messa in scena a Ponza dalla compagnia “Nuovo Teatro Ponzese” ha avuto un grosso successo sia per la partecipazione di pubblico che per i consensi e gli applausi convinti dagli spettatori. In questa cornice idilliaca, che farebbe ben sperare per gli sviluppi del teatro in particolare ma in generale per la cultura a Ponza, c’è stato un passaggio a vuoto; infatti, nella prima serata, la Compagnia ha invitato sul palco Antonio De Luca, distintosi in questi ultimi anni come poeta e scrittore locale, chiedendogli un intervento che riguardasse il teatro, la poesia, la cultura.
Antonio ha preparato un discorso e non si è posto il problema a chi lo portava, perché Antonio crede fermamente che la cultura non debba assecondare gli istinti ma semmai elevare le anime.
Purtroppo dopo un po’ che leggeva il suo intervento, il pubblico ha cominciato a rumoreggiare, a fischiare. Antonio ha terminato il suo intervento. ha stretto le mani agli attori ed è andato via.
Io mi chiedo: “I ponzesi hanno bisogno di cultura o di intrattenimento?”
Questo è l’intervento di Antonio De Luca.
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Il fatto che io scriva poesie non mi esime dall’interessarmi al teatro sempre con un certo approfondimento e continuità. Sono stato educato, sia in famiglia che al liceo, alla cultura teatrale. Ebbi anche delle piccole esperienze recitative nel teatro greco e latino. Poi oggi mi sento fortunato per aver assistito, negli anni della adolescenza, varie volte al teatro San Ferdinando di Napoli, alle grandi opere di Eduardo De Filippo, così come quello di Luisa Conte a Politeama di Napoli. Inoltre vissi due inverni a Vienna con una fidanzata attrice di teatro, e tutte le sere o quasi ero allo Shonbrunteather. Continuo tutt’ora ad interessarmi a questa arte, anzi direi che è stata costante la mia presenza nei teatri italiani quando ho potuto.
Nando Gazzolo, Lina Volonghi, Tino Buazzelli, Giorgio Strelher, Flavio Bucci, Carmelo Bene, e poi Giorgio Gaber, Manuela Kusterman solo per fare qualche nome, mi hanno dato pagine di grande teatro ed esperienze di vita che sempre mi porto addosso. Il teatro è vita, perché tutta la vita è un grande teatro, come spesso diceva Eduardo, e noi non siamo che attori su questo palcoscenico che è la vita stessa. Importante è scegliersi la parte che si vuole, e recitare con la consapevolezza che il destino dell’uomo è dietro le quinte della vita.
E’ un onore per me questa sera interessarmi a questi cari e bravissimi amici. Da tempo volevo dare il mio interesse alla loro attività teatrale, e soprattutto culturale. Questi ragazzi da anni con enormi sacrifici, anche economici, portano avanti, con entusiasmo e proficuo accrescimento di esperienza e approfondimento culturale, un meraviglioso impegno educativo. Soprattutto danno un faro culturale a questa martoriata isola, che in questo particolare periodo dove tutte le istituzioni sono venute meno, soprattutto l’apparato scolastico italiano, non vive un periodo di grande splendore in tutti i suoi diversi campi.
Ma siamo anche oggi consapevoli che una nuova era sembra cominciare e le speranze sono rinate. E questi ragazzi sono proprio la speranza della continuità culturale e quindi la nostra sopravvivenza sociale e identitaria.
Senza cultura un popolo è destinato a scomparire. Voglio ricordare: la storia abortisce senza una memoria, come diceva lo scrittore e poeta Cesare Pavese. Visto che siamo sopra un palco, grazie a questa Nuova Compagnia del Teatro Ponzese, allora voglio ricordare due persone della nostra isola che del teatro e del cinema hanno fatto una professione, portando Ponza, la loro isola, ai vertici di una cultura internazionale.
L’amico Gianni Silvestri prematuramente scomparso, scenografo di fama mondiale, e vincitore di un premio Oscar per il film L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci e assoluto maestro nell’arte cinematografica e teatrale, ancora oggi viene ricordato nei festival del cinema; a Spoleto gli è stata dedicata una intera serata.
Poi il giovane amico Francesco Cordella, cresciuto alla grande scuola del Piccolo Teatro di Milano ebbe come maestro Giorgio Strelher. Voi non sapete ma Francesco Cordella ha calcato, e calca ora più di prima, i maggiori teatri italiani e mondiali. Francesco dai marciapiedi di Ponza è nei teatri di Roma, Milano, Londra, Parigi, Berlino, San Pietroburgo, Santiago del Cile, Mosca dove lavora con i grandi registi europei.
Tutto questo per noi, e soprattutto per i ragazzi che stanno per salire su questo palco, deve essere motivo di orgoglio e coraggio. Ponza la vera, quella libera e sovrana, oltre ad aver partorito grandi uomini di mare e saggi contadini, ha dato al modo anche questi due uomini di cultura elevata, che hanno dato lustro e fama a questa terra. E qui mi permetto di citare con il dovuto omaggio e reverenza anche il poeta e maestro Tommaso Lamonica, che per l’Italia portò versi di pascoliana memoria.
Mi sento emozionato e onorato a parlare di questi amici, del loro modo di fare teatro, dei loro sacrifici, dell’impegno quotidiano, della forte passione teatrale che hanno, e soprattutto del loro grande talento.
Ma anche della loro follia, la follia dello spettacolo. Un artista se non ha un poco di follia che lo domina non vede oltre, e chi non vede oltre l’umano, non può essere un artista.
L’ artista è colui che costruisce fatti e parole e spesso ha un dio che abita dentro di lui. Dice cose che fanno riflettere e danno agli uomini quei suggerimenti che illuminano le strade più di una lampadina.
Sono anni che questi ragazzi sin da piccoli, con coerenza artistica e passione del bello, sviluppano un’attività teatrale della quale, posso dire con coraggio e fierezza, è tra le cose più belle che quest’isola abbia partorito nella sua storia.
Carissimi Antonio, Polina, Silverio, Gaetano, Ezio, Guglielmo, Gabriele, e poi i nuovi giovani Carlo, Marianna, Gabriella, Antonietta, con alcuni di voi da sempre ho un rapporto speciale, oltre all’affetto e la stima che provo nei vostri confronti. Penso che un intimo cordone artistico ci unisce. Amo il teatro, sono cresciuto in una cultura teatrale, e il mio scrivere poesia non esisterebbe se non mi fossi cibato e nutrito di teatro, sono con voi e sono parte della vostra passione.
Ma voi che siete questa piccola reliquia ponzese di una diversa etica, di amore per la cultura, di difesa della propria identità, isolana, marina, mediterranea, ancestrale: fate del vostro altare teatrale anche una scuola, una fabbrica dove tutti i ragazzi, figli di questo mare, possano vivere, educarsi, acculturarsi.
Crescere come nell’antica Grecia dove il teatro era una scuola di educazione.
Il teatro educa alla morale, alla dignità, alla religiosità, al senso dello Stato e del divino. Non esisteva città nella Grecia e nella Roma antica che non avesse un teatro.
Signor Sindaco, signori Assessori, voi che avete intrapreso una nuova strada, non priva di difficoltà e insidie, la strada della cultura, non abbandonate la nostra gioventù all’incerto destino di un ignoto domani. Difendete e proteggete i nostri giovani dalle facili perdizioni di questa società. Fate una scuola di teatro e voi cari amici di questa sera siate maestri sul palcoscenico e sulla strada.
Certo questi ragazzi non hanno avuto la fortuna di frequentare le grandi scuole del teatro, avere grandi maestri e guardare il vasto pubblico. Ma come i grandi attori del dopoguerra, hanno avuto una scuola ancora più difficile, amara e felice: la strada, i vicoli, i quartieri, i porti, i visi disperati e rassicuranti di padri e mamme, nonni, uomini del mare che l’anima se la portano addosso, che del loro corpo ne hanno fatto prima attori invincibili e poi statue e monumenti alla storia.
E’ da anni che vi seguo, anche nel privato ho avuto con voi rapporti che vanno al di là di una semplice amicizia e spesso mi chiedo se questa nostra recita per le strade dell’isola non sia mai finita. Con alcuni di voi, Polina, Ezio, Antonio, ho lavorato per lunghi anni alla grande famiglia della Ponzamare. Ebbene ogni mattino al nostro incontro non si capiva mai se stavamo sul posto di lavoro o su un teatro. Anche nei momenti di difficoltà, dalla tragedia euripidea si passava alla farsa di Totò e Peppino.
Ricordo che la gente ci chiedeva se fossimo attori. Con Gabriele Scotti ogni cena che faccio da “Oresterante” dove lui esercita la professione di collaboratore di sala, si recita una parte di due teatranti che si incontrano tra un ottimo pasto da celebrare e un buon bicchiere di vino, e anche qui mi chiedono se tu fossi un attore.
Con Silverio Scotti, Lia di Meglio e Gaetano Pacifico ci salutiamo per strada come se stessimo sul palcoscenico tra un re Lear e un Riccardo III di Shakespeare.
Polina negli anni che si è lavorato insieme a volte assumevi le sembianze della matrona che protegge, mi davi l’idea di stare nei film di Vittorio De Sica.
Cari ragazzi il teatro l’avete nel sangue e non poteva essere altrimenti. Siete figli del grande palcoscenico mediterraneo, questo grande quartiere marino, miscuglio di razze, uomini e donne che vengono dall’antica Babilonia e passano per la più grande scuola teatrale di tutti i tempi che è l’antica Grecia. Ricordate che siamo tutti figli del grande Omero. I quartieri dei porti sono il collante di tutte le città mediterranee dove gli uomini si uniscono a recitare lo scorrere della vita, e il vostro teatro appartiene ad ogni quartiere, ogni città che sia araba, turca, greca o italiana. I vostri visi, la vostra commedia è la storia dell’uomo nell’arte dello spettacolo della vita.
Ho vissuto più di 30 anni nella Napoli che amo. Nei momenti di malinconia andavo ai quartieri spagnoli o a Mergellina per ricordare gli anni vissuti a Sant’Antonio, alla Dragonara, sopra Giancos, Santa Maria. Poi ho viaggiato per i porti mediterranei, ho conosciuto pescatori, femmine di ogni culto, scrittori e poeti pazzi, ho vissuto degli odori delle nostre case nei porti arabi e ottomani. Ebbene tutto questo voi l’avete portato sul palcoscenico come una memoria, col linguaggio teatrale, con le vostre difficoltà, i vostri limiti che poi sono le vostre vittorie. Con le figure dei grandi maestri, Viviani, De Filippo, Scarpetta, avete portato il riso e l’amaro tra le nostre case, i nostri vicoli. Ma la cosa più importante a mio avviso, è il fatto che voi perpetuate sul palcoscenico quella cultura meridionale che lentamente scompare. Voi fate la grande operazione culturale del far ricordare quel mondo dove crescemmo. Il vicolo, il dire dei vecchi, il fare delle donne.
Che bello assistere a questo spettacolo vostro. Sui vostri visi, nella vostra gestualità, sulla vostra mimica legata alla coscienza di vivere, c’è tutto il mare, destino dell’uomo. Voi siete il mediterraneo nel suo scorrere teatrale. Nel vostro intercalare la parola assume un significato forte perché entra direttamente nell’anima dello spettatore, lo coinvolge nel riso e nella malinconia. Voi mi ricordate, perché lo siete nella vostra inconsapevole follia, gente che ho incontrato nel bacino mediterraneo, come la mamma di Tangeri o dei quartieri di Napoli, i bambini del Panier di Marsiglia. Siete tutti voi insieme: l’uomo che cammina lungo le sponde del mare. Di cui ridiamo la sua condizione del vivere quotidiano, ma che denuncia anche il grande dramma esistenziale di questo secolo, l’abbandono, la solitudine.
Il grande Totò ci suggeriva che dietro la sua risata si celava sempre una tristezza. Il riso e il pianto si danno quasi sempre la mano. Sui vostri visi, sulla pelle che indossate, non siete solo personaggi teatrali. Inconsapevolmente siete anche l’uomo nudo che parla e dice. Portate riso, ma alla fine nell’uomo che pensa dovrebbe rimanere la commozione della tristezza del suo stato di vivere.
Quanti di voi ho incontrato su queste rive, bambini, pescatori, commercianti, sacerdoti. Siete figli del grande Eduardo, del nobile Viviani, del popolo di Scarpetta, siete gli uomini di tutti i quartieri del pensiero mediterraneo, siete i bambini dei vicoli nascosti. Il vostro realismo scenico, la vostra mimica facciale, il vostro intercalare linguistico, ma soprattutto la parola, il modo con cui vi movete sul palco, i vostri sguardi, gli occhi, la bocca, il vostro grido e il sussurrare, sono per noi lo specchio dove guardarci e riflettere… e perché no, anche sognare.
Cari amici teatranti voi siete la più grande risorsa culturale di quest’isola, mai vi raggiunga un pensiero di abbandono anche nei momenti di difficoltà e di abbandono e il popolo tutto vi stia vicino e vi sorregga. La sopravvivenza culturale di quest’isola passa anche e soprattutto per voi. Siate fieri e presuntuosi nella giusta misura, anche la follia e la genialità si nutre del distacco e del disincanto, vivete tra la terra e le nuvole per nutrire i vostri pensieri e la vostra arte.
Questa sera voi non appartenete solo a questa piccola comunità isolana, che facciate ridere o piangere… voi questa sera appartenete a tutta la cultura mediterranea, al teatro della cultura meridionale del mondo.
Il vostro linguaggio, il colore della vostra pelle, con questo teatro, stasera unisce tutti i popoli che parlano una sola lingua, quello della compassione, della sopravvivenza, dell’amore, degli Dei.
Il riso che portate è la laica preghiera per raggiungere i momenti più belli di una felicità, ma rimangono momenti, ora la vita e il suo teatro esige ben altro, siate consapevoli.
vincenzo
10 Gennaio 2014 at 18:57
Mi aspettavo che questo intervento venisse commentato certo non per dire che i fischi Antonio se l’è meritati perché era un intervento lungo, o troppo difficile a Ponza. Mi aspettavo un commento dai tanti uomini di cultura di Ponzaracconta neanche per sentirli solidarizzare con Antonio contro il popolino irrispettoso.
Mi aspettavo più commenti perché Antonio ha menzionato ponzesi del passato e del presente che si sono distinti nel teatro (Cordella), nel cinema (Silvestri), nella poesia (Lamonica) e li ha ricordati per dare a quei giovani, che si cimentavano nel teatri, dei punti di riferimento da raggiungere.
Al di là dell’evento avvenuto a Ponza, cioè l’intervento di Antonio e i conseguenti fischi mi piace sottolineare e farvi notare due aspetti: la lunghezza dell’intervento in quell’ambiente e i contenuti che non cercano accomodamenti didattici e piacioni con il pubblico. Scelta voluta secondo me da Antonio e mi chiedo se questo non sia veramente la maniera per porsi in modo innovativo in un ambiente refrattario al nuovo rivolgendosi non a tutti ma agli altri, a quelli che vogliono veramente apprendere, fare cultura e perseguire il cambiamento.
Dopo tutto tutti gli uomini citati da Antonio sono stati “Non compresi nel loro paese ancora oggi”.
Norina Roecker
14 Gennaio 2014 at 16:36
Purtroppo non ho ascoltato questo discorso dal vivo e purtroppo non ho assistito alla rappresentazione teatrale a Ponza, ma leggendo le parole di Antonio De Luca, ho pensato a quanta verità, a quanta passione c’è in esse.
E’ vero, nemo propheta in patria, ma anche dove le parole sembrano lanciate nel vento, nascosto in mezzo alla folla insensibile, c’è qualcuno che aspettava quelle parole, che ne coglie la vera essenza. E quel qualcuno si sentirà confortato, compreso, non più solo.
E’ per lui che sono pronunciate, e non sono vane.
Bravo Antonio e grazie!
Nora
polina ambrosino
14 Gennaio 2014 at 17:17
Come Antonio ha detto dal palco, il suo intervento è stato un suo omaggio alla Compagnia che non era mai stata omaggiata da nessuno e men che meno presentata da un esterno. Il suo non è stato un discorso scritto sotto invito, ma un suo personale intervento culturale, inserito in una cornice culturale. Si sa che il pubblico è sovrano e, spesso, ha fischiato e beffeggiato artisti di calibro, alla Scala come all’Opera. Purtroppo fa parte del teatro anche questo, ma ciò nulla toglie all’arte o alla cultura in sé. Modigliani elemosinò denari in cambio dei suoi quadri. Van Gogh morì povero e pazzo. Attori grandissimi, come Rita Hayworth, sono finiti in miseria fra l’indifferenza della gente. Lo stesso Celentano, per dirne uno recente, è stato subissato di fischi in quel di San Remo. Ponza è limitata, in tante cose: dal mare geograficamente, dalla chiusura mentale, dalla superficialità e dalla sovrana voglia di non imparare ma di arrangiare. Tutto ciò chi fa attività culturali lo sa bene, e nonostante questo continua a darsi da fare, a dispetto delle critiche, dei fischi, delle maldicenze, e chi più ne ha più ne metta.
Quindi, Antonio di certo è consapevole di vivere in un luogo dove nulla è semplice, né scontato né premiato e non credo che, più di tanto , gli abbia fatto effetto il rumoreggiare del pubblico. Certo, il suo è stato un intervento imponente e non facile, inatteso e imprevedibile.
A Vincenzo dico che gli artisti dalle critiche imparano e con le critiche convivono.
vincenzo
13 Marzo 2014 at 17:20
Presso il Centro Culturale FONDAZIONE MEDITERRANEO in via De Petris 130, alle ore 17,30 si presenterà:
ADESPOTA il libro di poesie di Antonio De Luca e Andrea Simi
Interverranno:
Michele Capasso presidente Fondazione Mediterraneo;
Francesco D’Episcopo docente Letteratura Italiana e letterature comparate Università di Napoli;
Luca Mazzà vice Direttore Rai 3;
Letture:
Carmine Di Marzio, Stefano Onofri, Francesco Maria Cordella (del piccolo teatro di Milano)
SOTTOTITOLO DELL’INCONTRO: IL DIARIO DI BORDO DI DUE ARGONAUTI (PEDRAG MATVEJEVIC’)
vincenzo
2 Aprile 2014 at 18:35
Appunti di una serata di poesia Napoli
I poeti gli attori e gli amici intimi riuniti a pranzo in una vecchia tripperia nel rione Pignasecca dietro Piazza Carità; ritrovo dei marinai ponzesi dei bastimenti degli anni del dopoguerra… in uno scantinato come i surrealisti a Parigi o Pessoa nelle cene a Lisbona, hanno bevuto vino rosso di Solopaca in gran quantità e, naturalmente, gustato antiche ricette napoletane rievocando la giornata di poesia e altro.
Gli attori sono stati bravissimi, Stefano Onofri in Pausillypon ha commosso il pubblico; la sua una partecipazione totale… ha saputo mescolare la parola con la gestualità del proprio corpo e ha fatto vivere i versi… lo stesso Andrea Simi in Nostos nel ritorno di Ulisse a Itaca.
Molta gente venuta anche da Latina, da Roma e ponzesi residenti a Napoli, ma anche artisti e musicisti di Napoli.
Il libro verrà tradotto in arabo e portato per le rive mediterranee.
L’ampia rassegna poetica del prof D’Episcopo ha incantato con continui rimandi ai grandi della poesia italiana, Saba, D’Annunzio, Leopardi, Quasimodo, Gatto… Ha detto: “questo libro è acqua di mare, un liquido amniotico, lo si palpa anche toccandolo: leggerlo è come bagnarsi di mare…”
La sala della presentazione era arredata con oggetti provenienti dal bacino mediterraneo e non solo.
Quello che più ha colpito Antonio De Luca ed emozionato sono state i quadri di giovani donne, artiste yemenite e afgane; molte di loro sono scomparse durante la repressione talebana “avessi i soldi necessari alcune di loro le farei venire a Ponza per rendere omaggio a quelle donne mediterranee”.
Dalla sala, attraverso le vetrate, si vedeva tutto il porto greco-romano, Piazza Municipio che presto diventerà un museo a cielo aperto, oltre a tutti i tetti dei quartieri portuali della città.
Il libro è stato molto apprezzato dai napoletani che oltre che presso le librerie Feltrinelli hanno potuto leggerlo e acquistarlo nella sede della Fondazione.
“Portare i miei versi oltre i limiti di un’isola per il mediterraneo è il fine della mia scrittura e confrontarmi con altri popoli, altre culture depositarie del grande patrimonio mediterraneo”.