Dibattito

Ponza, provincia di Napoli?

di Paolo Iannuccelli

L’idea di Giuseppe Mazzella, ischitano-ponzese, va sicuramente presa in considerazione ed analizzata. Il passaggio, ovvero il ritorno, delle isole ponziane nella provincia di Napoli, è stato più volte proposto, come quella di un consorzio turistico che parta da Ischia sino ad arrivare a Ponza, nel segno della continuità con dialetto, usi, costumi e tradizioni. C’è da mettere in risalto, però, che la maggior parte dei turisti presenti a Ponza o di coloro che posseggono seconde case sono capitolini o della provincia di Latina per cui appare difficile ipotizzare un simile progetto nell’immediato futuro. L’analisi di Mazzella è molto sentita, approfondita e degna di nota, una persona che conosce a puntino i problemi delle isole minori e bada al sodo, senza fronzoli.
Paolo Iannuccelli

 

4 Comments

4 Comments

  1. arturogallia

    6 Ottobre 2012 at 23:51

    Mi sembra “un po’ debole” come considerazione, mentre non è così insensata la proposta di re-napolitanizzazione amministrativa delle isole (Napoli, e non Caserta). Tuttavia, servirebbe un dibattito serio che coinvolga i diversi attori, istituzionali e non, che tenga in considerazione le dinamiche storiche e le esigenze attuali della popolazione di Ponza e di Ventotene (sia chiaro, l’una senza l’altra e viceversa non va da nessuna parte). Un eventuale cambio di certo non allontanerebbe le isole da Roma e Latina.

  2. martina

    7 Ottobre 2012 at 01:40

    Concordo con Arturo sulla debolezza dell’ argomento anche perchè si parla di aria fritta. Sicuramente Ponza è più vicina alle tradizioni campane( proveniamo da Ischia e Torre del Greco), ma non è assolutamente vero che vengono più romani che napoletani… É un’espressione che non tiene. In questo periodo a Ponza ci sono molti turisti tedeschi, che vuol dire che dobbiamo cambiare nazione se questi aumentano notevolmente nel corso degli anni!?! Ponza è Ponza tanto laziale quanto campana, ha bisogno di entrambe le regioni per andare avanti e crescere, specialmente nell’ambito dei collegamenti marittimi.

  3. polina ambrosino

    8 Ottobre 2012 at 14:35

    Augurandomi, intanto, che le Province come enti spariscano dal decentramento amministrativo, io auspicherei un diverso sistema di organizzazione politica. Si parla in tv di macroaree in cui l’Italia dovrebbe essere suddivisa per eliminare questo sperpero assurdo delle regioni. Purtroppo non sarebbero da eliminare le regioni, bensi i regolamenti, le persone e gli stipendi che essi rubano. Se davvero andassimo incontro a questo tipo di decentramento, io auspicherei che le isole ponziane e partenopee, cosi vicine culturalmente e socialmente, dovrebbero consorziarsi, tutte. Cosicchè, una volta definite queste tre macroaree, far si che il gruppo delle isole, compatto, che si trovi nel comparto sud o centro, sia un corpo unico. Non che non si possa fare anche adesso, nonostante le differenti province di apparetenenza, ma di certo è l’unita culturale, la cura per lo sviluppo turistico e il rispetto di regole comuni per le aree marine e territoriali, che vanno curate, più che l’appartenenza meramente politica a una provincia o all’alta. Appartenere politicamente alla provincia di Napoli,vista la situazione comunque tragica che c’è anche li, non camnbierebbe di molto il nostro destino…SOLO LA CULTURA CI SALVERA’.

  4. admeto

    8 Ottobre 2012 at 23:38

    Non entro nel merito del discorso amministrativo (se Ponza debba essere provincia di Latina, di Napoli, di Dusseldorf o di Macerata…), però ci sono alcune considerazioni, sui rapporti con le altre isole, che mi sembra giusto fare.
    Ponza, Ventotene, Ischia e Procida sono accomunate da storia, cultura, tradizioni, popolazione (non dimentichiamo che Mazzella è un cognome procidano) e scambi commerciali. Con l’opera di de-napoletanizzazione forzata di Ponza e Ventotene, iniziata negli anni cinquanta, è stata calata una cortina di ferro tra le isole occidentali e le due flegree, una barriera che va contro gli interessi delle stesse popolazioni isolane.
    Senza guardare al passato, è oggi veramente stupido, e contro ogni logica e buon senso, che si sia voluto per tanti anni (e ancora lo si continui) impedire ogni scambio commerciale e relazione umana tra Ventotene e Ponza da un lato, e Ischia e Procida dall’altro. L’isola d’Ischia, con i suoi 60.000 residenti e le decine di migliaia di presenze turistiche, potrebbe essere, per esempio, un ottimo sbocco per il pescato di Ponza, e su di essa i ponzesi e ventotenesi potrebbero rifornirsi a buon mercato (perché Ischia da questo punto di vista è economica e con una rete distributiva all’ingrosso all’avanguardia) di tutte quelle merci che a Formia gli vengono fatte pagare a caro prezzo.
    Senza dimenticare che le buone strutture sanitarie presenti sull’isola d’Ischia potrebbero essere utili anche agli altri (e questo vale soprattutto per Ventotene, a soli 30 minuti di aliscafo da Ischia), così come la presenza di scuole di ogni ordine e grado. Sarebbe così difficile per i ragazzi di Ventotene – ammesso che ne esistano ancora – raggiungere Forio con un aliscafo alle 8 e farvi ritorno alle 14, con soli 30 minuti di navigazione?
    Come pure dobbiamo ricordare le centinaia di turisti stranieri, soprattutto tedeschi, che ogni giorno da Ischia partono in gita per Capri, per Sorrento, per Amalfi e per le altre località del golfo. Non si potrebbe offrire loro anche un’escursione a Ventotene e Ponza (non gli odierni rari collegamenti che costano un occhio della testa), dove poi potrebbero ritornare in vacanza dopo averle scoperte? Adesso vanno alla scoperta di Capri, ed è come dire che piove sul bagnato…
    Capisco che Ponza e Ventotene per i politici pontini siano state e sono tuttora una sorta di preda, che non verrebbe mollata tanto facilmente. La difesa più scontata, da parte di chi non ha altri argomenti, sarebbe sulla criminalità organizzata, e che quindi non bisogna avere rapporti con i “campani”. La locuzione “campani” è usata di solito con sottile tono dispregiativo dai formiani e dai gaetani per indicare gli abitanti della Campania, i quali però non usano questo appellativo essendo soliti distinguersi in napoletani, salernitani, ecc. Ma a parte la considerazione che c’è più camorra a Formia che, per esempio, a Pozzuoli, non dimentichiamo che la camorra va dove viene chiamata e dove c’è da guadagnare tanto senza fare sforzi, ma non dove si è usi lavorare duramente come sull’isola d’Ischia.
    Credo che a questo punto sia necessario un salto all’indietro nel tempo. Nel 1927 il duce fece modificare i confini della provincia di Forlì (sua provincia natale) in modo che questa comprendesse le sorgenti del Tevere. Si era infatti in pieno delirio di romanità e con questo atto amministrativo Mussolini trovava il suo collegamento con Roma. L’allora ministro della pubblica istruzione Pietro Fedele, nativo di Minturno, centro costiero della provincia di Caserta, non poteva essere da meno del suo duce, e anch’egli in pieno delirio di romanità, promosse una legge che aboliva la provincia di Caserta e attribuiva tutti i comuni costieri fino a Minturno (guarda caso) alla provincia di Roma. Così anche Fedele diventava romano! Gli altri comuni furono spartiti tra la nuova provincia di Frosinone e la provincia di Napoli. Ponza, che fino allora era provincia di Caserta, fu uno dei comuni che per ragioni territoriali e antropologiche passarono alla provincia di Napoli. Ventotene lo era già provincia di Napoli, da sempre, facente parte del circondario di Pozzuoli.
    Nasceva intanto un altro frutto mussoliniano, il Lazio: mentre l’antico Latium corrispondeva all’incirca al territorio della provincia di Roma, il nuovo Lazio veniva creato a tavolino sottraendo d’imperio territori alla Campania, all’Abruzzo e all’Umbria. Come coronamento nel 1934 ci fu l’istituzione di una nuova provincia, Littoria, nata dalle bonifiche delle famigerate paludi pontine, poi divenute agro pontino. Alla nuova provincia furono aggregate le isole di Ventotene e Ponza, perché il Lazio e Roma imperiale avevano bisogno anche di qualche isola, ma nel 1935 per le proteste della popolazione delle due isole esse furono riaggregate alla provincia di Napoli. Ma fu un atto temporaneo. Nel 1937, soffocando ogni dissenso, il regime fascista stabilì che le due isole, da allora in poi sempre meno Ponziane e sempre più pontine, facessero parte della provincia di Littoria. Anche perché c’era bisogno di una prefettura compiacente che favorisse lo sfruttamento delle miniere di bentonite senza tanti riguardi per il territorio.
    Nel 1945 la provincia di Caserta fu ricostituita, ma quello che le era stato tolto dal fascismo non le fu riassegnato. Anche le richieste provenienti da Ventotene e Ponza di ritornare a essere amministrate da Napoli furono calpestate. Ma la vera opera di de-napoletanizzazione iniziò negli anni cinquanta: fino a quel tempo le due isole svolgevano la maggior parte dei loro traffici commerciali con Napoli, e non con la provincia di Latina; perciò nei palazzi romani, nel preparare le nuove convenzioni marittime in vigore dal 1954 fu stabilito che i collegamenti con Napoli passassero da due settimanali a uno solo, lasciando i due collegamenti settimanali con Formia, fino allora poco frequentati. Anche in questo caso le proteste furono vane. L’unica corsa settimanale per Napoli fu tenuta fino al 1974, poi fu definitivamente soppressa.
    E giungiamo allo scandalo dei nostri giorni: la Laziomar! I politici di Formia hanno voluto fare una speculazione sulla pelle dei Ponzesi e dei Ventotenesi, ispirando la creazione di una società laziale, per esaudire le loro mire clientelari. Questo con un’interpretazione distorta della legge n. 133/2008,
    per cui le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all’interno di una regione sono esercitati dalla medesima regione interessata. Ma parliamo di programmazione e di amministrazione, non di esercizio.
    La legge non dice che le regioni devono fare gli armatori, ma che la programmazione e il controllo fino allora svolti dal ministero passano a esse. Questo per dire che i trasporti marittimi di Campania e Lazio potevano tranquillamente essere esercitati da un’unica compagnia che stipulasse un contratto di servizio con la regione Campania per Ischia, Procida e Capri, e con la regione Lazio per Ventotene e Ponza. Si sarebbe mantenuta così una struttura affidabile capace di sopperire con più navi a ogni evenienza, invece… i risultati sono sotto gli occhi di tutti: una compagnia da farsa, senza navi e destinata al fallimento, sia che rimanga pubblica che venga privatizzata. Ma c’è una trionfale consolazione: i lavori delle navi adesso si fanno nel porto di Formia! Peccato che essi costino il doppio e durino il triplo perché bisogna pagare le trasferte agli operai delle ditte specializzate che devono venire da Napoli, e per lavorazioni in officina si debbano inviare i pezzi a Napoli. Però le salumerie di Formia sono felici, esse vendono qualche colazione in più…
    A. Verde

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