De Luca Antonio

Mare. Poesia

Urla

di Antonio De Luca

Urla.

Come di bimbi

sono canti.

Squarciano

la notte

sulle onde del faro.

Sotto

falesie di stelle

Si arrampicano

sulla memoria.

Le berte.

Antonio De Luca (2000)

(*) Diversi scrittori dell’antichità narrano dell’esistenza di uccelli marini che abbondano nelle isole e che di notte cantano emettendo suoni simili ad un lamento. Queste creature, definite da Plinio “Aves Diomedeae” (uccelli di Diomede) secondo la leggenda piangerebbero il loro estinto re Diomede.

Subito dopo la morte di Diomede, gli Illirici occuparono le Isole Tremiti e ne cacciarono gli abitanti. Le anime di questi, allora, furono tramutate da Venere in uccelli per fare la guardia al sepolcro del loro re.

Le Diomedee (o berte) appartengono alla famiglia dei Procellariformi; sono uccelli marini dotati di una straordinaria capacità di sfruttare le correnti d’aria, tale da permettere loro di volare per ore controvento senza quasi muovere le ali.

Il loro habitat è il mare aperto, da cui rientrano solo nel periodo della riproduzione per prendere posto in colonie localizzate sulle pareti delle coste rocciose. Notevole è anche la loro velocità in volo che, se normalmente è di 80 km/h, può anche raddoppiare con condizioni di vento favorevoli (N.d.R. – Notizie dal web)

 

2 Comments

2 Comments

  1. isidorofeola

    2 Luglio 2011 at 09:42

    Le Berte dovrebbero essere quegli uccelli che a Ponza chiamano parlant’ e che, di notte, quando si andava a totani con il fuoribordo che si spegneva quando si calavano le lenze, emettevano, nel silenzio della notte, dei suoni che ricordavano il pianto di un bambino. L’atmosfera era: il buio, le stelle, la fioca luce azzurrognola dell’acetilene , la puzza (o l’odore, a seconda dei gusti) del carburo, il canto dei parlant’, una nuvola di pescetti che si “accucchiavano” a pelo d’acqua attratti dal bagliore e, mentre fantasticavi con questi elementi, ti arrivava, in faccia, la fredda “sbruffessa” del totano che, a poppa, Silverio Guarino aveva tirato a bordo senza dire niente a nessuno. Se non era serata, perché non si prendeva niente, allora si passava alla lezione di astronomia, sempre a cura di Silverio Guarino, che ci indicava i nomi delle stelle, sempre con il canto dei parlant’ come sottofondo.
    A proposito, ma non c’è nessuna sospresa per le cento pagine raggiunte dal sito? Auguri a tutti coloro che hanno collaborato al raggiungimento del risultato!
    Isidoro Feola

  2. Franco De Luca

    2 Luglio 2011 at 16:04

    Mi inserisco nel dialogo con Antonio (per la poesia) e Isidoro (per il commento)

    Notte di pesca
    Le diomedee lugubri tornano al nido
    a scolte,
    neri guizzi nella notte
    rotta
    dall’occhieggiare ampio del faro.
    Si parlano a volo.
    E l’orecchio fende rapido l’oscuro
    inutilmente a coglierne la sagoma.
    Sul mare stelle di carburo
    dondolano a pesca.
    Qui
    il destino unisce gli eventi.
    L’uomo è
    testimone del caso

    da “Come l’ agave” – Edizioni di Odisseo – 1982

    Ciao Franco

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