Scrittori

“Scrivere è un tic”, il nuovo libro di Francesco Piccolo

segnalato da Sandro Russo

.

Appunti preziosi
La trascurabile felicità di scrivere
di Elena Stancanelli – Da la Repubblica del 23 maggio 2024

Torna dopo trent’anni il primo libro di Francesco Piccolo Un viaggio nei “tic” e nelle abitudini degli autori più grandi

Il lavoro di Francesco Piccolo gira intorno a una questione: chi sono io e quanto c’è di me in chi mi sta intorno. Una immedesimazione nel mondo che gli ha permesso in tutti questi anni, libro dopo libro, film dopo film, di diventare uno dei più lucidi e divertenti antropologi del nostro presente. Guardare, capire, raccontare. Senza mai prendere le distanze da niente, senza mai sentirsi migliore, o diverso. È il desiderio di essere come tutti, diventato anche il titolo di uno dei suoi romanzi. Da questa sua tassonomia democratica non è escluso il mestiere di scrittore. Al contrario: scrivere diventa il mezzo per appartenere sempre di più alle cose, al mondo.

Per questa ragione alcuni anni fa, quando non era ancora uno scrittore ma aspirava a diventarlo, Piccolo aveva iniziato a raccogliere – sul retro bianco di fogli dattiloscritti divisi in quattro parti – citazioni di scrittori che raccontavano come scrivevano, per quanto tempo, dove, come avevano cominciato e perché. Voleva demistificare quello che già aveva individuato come un mestiere e non una vocazione, voleva spiegare a chi gli stava intorno – a chi se lo figurava come una specie di discesa della spirito santo, un bacio della dea, un’illuminazione – cosa significa scrivere e in questo modo capirlo meglio lui stesso.

Lo racconta nella prefazione alla nuova edizione di Scrivere è un tic, adesso in edizione Einaudi dopo una trentennale e gloriosa cavalcata in minimum fax.
Mi ero reso conto presto, spiega Piccolo, che «gli scrittori fanno un sacco di fatica a spiegare come il loro lavoro comporti pazienza e tempo come quasi tutti gli altri lavori; fanno fatica a spiegare la parte normale del proprio lavoro, e devono difendersi da quella mitica: perché, nella sostanza, è quasi del tutto falsa». Assemblando questi pizzini, nel 1994 Piccolo pubblica dunque il suo primo libro. Forse ancora non lo sapeva, ma in quella selezione e nella prosa che le collega, la divisione in capitoli, la totale mancanza di fronzoli (oltre che la già citata volontà di grufolare allegramente in tutto ciò che esiste) c’è già lo scrittore che sarebbe diventato. La vocazione inossidabile alla pazienza, la dedizione, la sistematicità senza le quali la letteratura, sa bene Francesco Piccolo, non è altro che un palloncino che prima o poi si sgonfia.

Dunque chi sono gli scrittori e le scrittrici? Semplicemente persone che scrivono, sempre, più che possono. Che mantengono per tutta la vita un legame quotidiano e vitale con qualsiasi strumento li connetta con le parole, poco importa che siano penne, computer macchine da scrivere. Si siedono a un tavolino, a casa, in un bar o in qualunque altro luogo, nel silenzio o nella confusione, di giorno o di notte, e mettono in ordine un certo numero di parole ad ogni seduta, perché ne esca un significato. Il terrore della pagina bianca, la ricerca dell’idea geniale non fanno parte del repertorio di tic che li affligge. Quello che serve è piuttosto un metodo.
Ernest Hemingway per esempio, mentre scrive mangia mandarini o caldarroste. Quando acchiappa un’idea, ci lavora, riscrivendola più volte per «tagliare quella voluta o quel fronzolo e gettarlo via», fino a quando da quell’idea non nasce un’altra idea. Esattamente in quel punto Hemingway smette di scrivere. Esce, se la spassa, legge, fa l’amore. «Avevo già imparato a non vuotare mai il pozzo della mia fantasia, ma a fermarmi sempre quando c’era ancora qualcosa, là in fondo, e a lasciare che tornasse a riempirsi durante la notte con l’acqua delle sorgenti che lo alimentavano ». In questo modo il giorno dopo, quando si rimette al tavolino, può ripartire di slancio e non da fermo.

Sono molto gli scrittori e le scrittrici i cui vizi e vezzi ci vengono raccontati in questo libro, ma spiccano, per ragioni che è quasi inutile ricordare, due giganti: Gustave Flaubert e Georges Simenon. Scrittori immensi, autori di libri eterni, ma anche, come rivela Francesco Piccolo, attenti osservatori del mestiere di scrivere, delle sue pratiche e delle sue pazzie. Capaci di far dottrina dell’organizzazione del tempo e dei trucchetti. Scrivere significa riscrivere, dichiara Flaubert e quasi niente di più intelligente può essere detto sulla scrittura. Le sue lettere sono il magnifico ritratto di una devozione, di una radicale resa alla causa del libri e della letteratura. La prolificità e sistematicità di Simenon sono proverbiali. Racconta Bruno Gambarotta in un articolo uscito sul Venerdì , che il primo gesto di Simenon per avvicinarsi a un romanzo era consultare vecchie guide telefoniche francesi, belghe e svizzere. «Quando incontrava un nome che gli piaceva lo trascriveva su un foglio. Andava avanti così, consultando diverse guide, finché la lista comprendeva una trentina di nomi». Da questa lista poi cavava via quelli che non gli suonavano, finché arrivava dodici. «Iniziava a questo punto la fase numero tre: Simenon si rimetteva alla scrivania e per ognuno dei dodici nomi superstiti scriveva una scheda biografica completa, una per foglio. Dopodiché, disponendo i fogli come carte da gioco sul piano della scrivania, intrecciava i destini dei personaggi e finalmente scriveva il romanzo, senza staccare la matita dal foglio. Infatti Simenon usava soltanto matite, e sulla sua scrivania ce n’erano a mucchi: spuntavano dai barattoli, tutte alte eguali e tutte belle appuntite in modo che, esaurita la grafite di una, lui potesse afferrarne un’altra senza perdere tempo. Gelosa addetta a far le punte alle matite era la moglie».

Sono pazzi gli scrittori? Paul Bowles racconta che Truman Capote un giorno tracciò il suo programma letterario per i vent’anni seguenti. «Era tanto dettagliato che naturalmente lo presi per una fantasia. Sembrava impossibile che qualcuno “sapesse” con tanto anticipo quello che avrebbe scritto. Eppure le opere che aveva descritto nel 1949 comparvero tutte, una dietro l’altra, negli anni seguenti. Erano tutte là nella sua testa, in attesa di venire covate».

Sapeva Francesco Piccolo che sarebbe diventato lo scrittore che è diventato, quando metteva in ordine i suoi foglietti pieni di citazioni altrui? Lui, nella prefazione, scrive che non era nemmeno un’ipotesi lontanissima, «ma che era un’ipotesi imparare a scrivere, cercare di scrivere meglio, visto che mi piaceva così tanto». Erano insomma momenti di trascurabile felicità.

[Di Elena Stancanelli Da la Repubblica del 23 maggio 2024]

Scrivere è un tic. I metodi degli scrittori di Francesco Piccolo; Einaudi pagg. 128 euro 14

Piccolo. Momenti di trascurabile felicità; 2010; Einaudi

Possono esistere felicità trascurabili? E allora come chiamare quei piaceri intensi e volatili che punteggiano le nostre giornate, accendendone i minuti come fiammiferi nel buio? Per folgorazioni e racconti, staffilate e storie, Francesco Piccolo compone un suo perfido e irresistibile catalogo dell’allegria di vivere.

Francesco Piccolo al premio Strega 2014

Il desiderio di essere come tutti (2013) in cui affresca la sinistra italiana si aggiudica la vittoria del Premio Strega nel 2014

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top