Guerra in Ucraina

L’impotenza davanti alla guerra e le posizioni dei pacifisti

segnalato dalla Redazione

Non dimentichiamo la guerra – è in corso dal 24 febbraio 2022, un anno e otto mesi, ormai – anche se ci siamo in qualche modo assuefatti alla sua presenza. Preferiamo ultimamente trattarne con le parole di scrittori e poeti, piuttosto che di analisti politici.
Di Dacia Maraini, sullo stesso argomento, abbiamo pubblicato un articolo del 22 luglio scorso (leggi qui).

Il conflitto in Ucraina
Una guerra per la libertà
di Dacia Maraini

Si parla molto di guerra. Chi l’ha vissuta sente un brivido freddo passare lungo la schiena. Il mondo intero sembra invaso da voglie di rivincita: si risvegliano come funghi dopo la pioggia rancori sopiti, odii nuovi e aggressività finora apparentemente tenute sotto controllo.
La parola guerra viene dal germanico medioevale werra che voleva dire mischia, scontro. Strano che in Italia si sia preferita la parola germanica a quella latina, bellum, da cui però derivano le parole bellicoso e belligeranza.
È talmente potente la parola, sia nel suono latino che in quello tedesco, da essere penetrata in tutte le metafore che riguardano le contese, gli scontri, gli antagonismi, anche solo simbolici o immaginati. La nostra lingua è impregnata dal concetto di guerra.

Ma si può immaginare un mondo senza guerre? Qui cominciano le dispute. Alla fine degli anni ’40, dopo la conoscenza completa degli orrori dei campi di concentramento nazisti, delle purghe di Stalin, delle bombe atomiche gettate sul Giappone, il mondo intero, in un impeto di indignazione, ha stabilito regole che rispondevano al concetto: guerre mondiali mai più! Ma ora, trascorsi quasi ottanta anni di pace, ecco che la parola riprende a circolare.
La memoria sembra essersi anestetizzata, i ricordi appannati, e molti sembrano pronti a ricominciare.
Giustamente i pacifisti reagiscono ribadendo i pericoli e le mostruosità di ogni guerra. Ma cosa vuol dire essere pacifisti? C’è chi pensa che di fronte ai fucili spianati bisogna solo alzare le mani e accettare qualsiasi condizione.
Questo il pacifismo totale, quello che non ammette una risposta alle aggressioni armate, neanche per difendere il proprio paese e la propria dignità. È una idea di sacrificio in nome della vita contro la morte. Una presa di posizione generosa, ma sacrificale. In termini guerreschi vuol dire resa totale al prepotente di turno.
Altri chiedono una pace-giusta, ovvero ammettono che in situazione di aggressioni è legittimo armarsi per difendere il proprio paese e la propria libertà.
I pacifisti della resa totale accusano i pacifisti della pace-giusta di essere guerrafondai.

E lì sta tutto il dissidio, per non dire la guerra ideologica fra chi oggi pensa che sia giusto aiutare un paese che è stato aggredito e brutalizzato e chi pensa che invece bisogna lasciare che il più forte vinca il più debole per evitare una guerra totale.
Ma siamo sicuri che la resa fermi la guerra? Questo è un altro punto di discussione.
La capitolazione di paesi che non si sono opposti alla prepotenza nazista, ma che anzi si sono alleati come ha fatto il nostro, e altri paesi che hanno fatto accordi col nemico nella speranza che avrebbe cambiato le sue idee, e avrebbe smesso di aggredire e occupare paesi vicini, è forse servito storicamente a qualcosa?

Il problema etico sta tutto qui: è legittimo difendere un paese aggredito ingiustamente e battersi per una idea di democratica contro una dittatura o no? È legittimo chiedere agli alleati un aiuto in armi? Voglio ricordare che al tempo della Resistenza italiana contro il nazismo le armi venivano continuamente fornite dagli alleati. E voglio ricordare che se oggi l’Ucraina riceve le armi dagli Stati uniti, il regime russo riceve armi e aiuto dai suoi alleati.

Comunque parlare con disinvoltura di una guerra fra America e Russia, come fanno molti, è una semplificazione inaccettabile. Fra l’altro è profondamente offensivo verso un popolo che sta difendendo con le unghie e coi denti la sua autonomia. Molti ne parlano come se l’Ucraina non esistesse, come se si trattasse di uno scontro per procura fra due grandi potenze, dimenticando crudelmente che chi viene ferito e muore è un intero popolo che tenacemente, con coraggio leonino e spirito generoso, sta difendendo i suoi diritti. Così stando le cose e mi sembra profondamente ingiusto classificare come guerrafondai chi si schiera dalla parte degli aggrediti. Parliamo semmai di resa incondizionata o resistenza.

Conosco la replica: la colpa è di chi non ha saputo spingere a un accordo pacifico fra i due paesi. Noi non vogliamo la resa, si insisterà, ma vogliamo un accordo. Benissimo, tutti vorrebbero un accordo. Ma a quali condizioni? Se l’aggressore continua a ripetere: io sono per la pace ma alle mie condizioni (ovvero che tutto il paese occupato diventi mio, altrimenti niente), che si fa?

Molti scuotono la testa, e insistono: non si fa abbastanza per una pace concordata. Ma non tengono conto che tutti i capi di Stato di buona volontà ci hanno provato. Che il Papa, il capo internazionale di una delle religioni più popolari e diffuse del mondo non fa che insistere per un confronto e una pace condivisa. Si ribadisce che l’Onu ha fatto poco. Ma sappiamo che l’Onu non può agire perché nel più stretto consiglio decisionale vige il diritto di veto. Basta un paese contrario e ogni decisione viene bloccata.

Guarda caso chi in questo momento sta mettendo il veto è proprio il regime russo. Molti vorrebbero abolire il diritto di veto. Ma anche per questo ci vuole la unanimità. Un circolo vizioso? L’Onu secondo molti dovrebbe uscire da una mentalità da post guerra fredda e decidersi a usare il sistema valido in tutte le democrazie per cui vince la maggioranza. Ma per riformare una organizzazione di quel genere ci vuole tempo. E mentre passano i mesi e gli anni che si fa? La questione è aperta.

Concludendo: non serve a nessuno e soprattutto alla pratica della ragione dividere, come insistono molti, il mondo in pacifisti e guerrafondai, perché tutti vogliono la pace. Nessuno vuole la guerra salvo i trafficanti di armi. Chi non costruisce armi, e si tratta della maggioranza, vuole la pace. Ma a che condizione? Si tratta di una scelta solo politica o anche etica? Non ci sono soluzioni facili, ma per lo meno chiedo che non si modifichi la realtà, creando una divisione fasulla fra chi sarebbe per il conflitto e chi no. Qui si tratta di difendere dei principi democratici e la vita di un paese orgoglioso e indipendente. Tutti coloro che resistono e sono morti e stanno morendo non lo fanno per favorire i trafficanti di armi, ma per difendere una libertà che forse noi non riusciamo più ad apprezzare per quello che vale.

[Di Dacia Maraini – Da la Repubblica del 28 settembre 2023]

 

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