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Epicrisi 90. Della malavena e del cambiamento

di Rosanna Conte

malinconia [1]

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A fine settembre l’isola si avvia a rientrare nell’atmosfera sottotono del periodo invernale: diminuisce la gente per strada, la giornata lavorativa meno intensa consente di scambiare con piacere due chiacchiere con il compaesano a mala pena intravisto nel corso della caotica estate, molti negozietti sono chiusi o stanno chiudendo, come anche le agenzie turistiche. L’aria fresca e lavata dalle prime piogge rischiara rafforzandoli i colori di Ponza risvegliando la percezione di vivere in un’isola che si avvia a ritrovare i noti problemi  non risolti, se non a riservarne di nuovi.

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Non ci meravigliamo, quindi, della diffusa malavena [3]che nemmeno la sicurezza economica dovuta al guadagno estivo riesce a smorzare. Anzi, alla malavena naturale di una volta quando la vita era più semplice e molto incidevano il distacco dagli amici estivi, il passaggio dall’estate all’autunno, oggi si aggiunge anche la rabbia di dover affrontare i problemi dell’isolamento geografico che si sperava il benessere, quello che veniva avvertito come “progresso”, avrebbe alleggerito o eliminato.

Ci si rende sempre più conto che la svolta per i ponzesi, quelli stanziali, non è ancora avvenuta: quanto baluginava davanti agli occhi negli anni 70/80 non si è concretizzato in un miglioramento di vita sull’isola, ma ha solo permesso ai fortunati o meno che se lo sono potuto consentire di spostarsi in terraferma.

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E’ ovvio che il problema è politico: la gestione dei servizi e del territorio va misurata, come ribadisce spesso Vincenzo Ambrosino, e non solo lui, sulle esigenze, in primis, degli isolani.

E, purtroppo, con l’autunno il loro disagio si avvia ad aumentare. Non si tratta solo dei trasporti, che dopo le esperienze dello scorso anno non ci promettono nulla di buono, o del rifornimento idrico che forse, se non ci sono troppi giorni di tempesta di seguito, dopo le recenti piogge dovrebbe assicurare l’acqua agli isolani. Non sappiamo ancora quanto veritiera sia la notizia dell’accorpamento dell’Istituto Omnicomprensivo “Carlo Pisacane [5]all’Istitutto Tecnico Turistico “Filosi” di Terracina, ma se lo fosse non sarebbe una bella notizia. Significherebbe perdita dell’autonomia, che una scuola isolana dovrebbe tentare di mantenere a tutti i costi per le sue specificità territoriali e sociali,   con nuovi disagi legati allo spostamento degli uffici di segreteria in terraferma (caso mai si lascia a Ponza uno sportello aperto solo qualche giorno a settimana), l’avvio di una giostra di docenti come richiede  la cosiddetta “buona scuola”, l’ulteriore diminuzione di fondi per la vita scolastica ponzese.

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Il vociare della piazza di facebook suggerisce che l’argomento non è conosciuto da coloro che dovrebbero governarlo (leggi qui [7]), per cui a maggior ragione la preoccupazione dei ponzesi aumenta.

E bisogna tener conto degli altri problemi che sono emersi in questa settimana.

La relazione de I geologi del Lazio [8],  che hanno svolto il loro secondo corso di aggiornamento a Ponza, mette bene in evidenza come sia necessaria una politica che agisca nell’ottica di gestione del rischio e non più solo di difesa e interdizione delle aree. Purtroppo il nostro PAI è rimasto fermo a quando è stato varato, nel 2010 se non erro, senza alcun intervento per mitigarlo da parte delle amministrazioni che si  sono succedute, con gravi danni all’economia delll’isola. Ignoranza? Noncuranza? Incompetenza? Certo si è mosso qualche privato danneggiato che ha dovuto giocoforza chiedere una perizia geologica per la sua proprietà, ma non è questo che richiedono la gestione del territorio e  l’economia dell’isola.
Più che assistere a spettacoli e incontri estivi, ai turisti avrebbe fatto piacere andare a Chiaia di Luna, alla Parata o alle diverse e numerose calette della nostra isola. In fin dei conti a Ponza si viene per il suo mare prima che per gli spettacoli.
Una gestione diversa del budget della tassa di sbarco avrebbe consentito la distinzione fra zone a rischio e zone pericolose e  un piano mirato di interventi avrebbe potuto rendere fruibile una parte dell’isola tuttora chiusa.

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E mi sembra ovvio che la consapevolezza di convivere col rischio debba guidare i comportamenti di quanti, isolani od ospiti, si accingono a godere delle sue coste o dei suoi panorami mozzafiato. Non funziona così anche in montagna?

C’è, poi, il problema della messa in sicurezza del porto borbonico e i tempi sono scanditi dal Provveditorato interregionale delle Opere pubbliche Lazio Abruzzo e Sardegna che dovrebbe prendere in carico le spese per gli interventi ed autorizzare l’amministrazione comunale a dare il via al bando pubblico per individuare i professionisti in grado di redigere la Valutazione Ambientale Strategica (VAS)e la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) necessarie per procedere al Piano Regolatore Portuale.

L’altro problema che si presenta anche ingarbugliato è quello di Acqualatina [10]. Se l’ad Addessi comunica che niente osta all’acquisto da parte dei comuni delle altre quote di Acqualatina e giungere a rendere di nuovo pubblica la gestione dell’acqua, dall’altra ci fanno sapere che il possesso del 51% delle quote da parte dei  comuni presenterebbe dei vizi burocratici non indifferenti, visto che mancano gli atti formali per l’acquisto.

Cosa succederà? Il possesso delle quote dei comuni risulterebbe nullo?

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L’esperienza dell’acqua e della Laziomar ci dice che le privatizzazioni non sono assolutamente una panacea. Chi le proclama come l’unica soluzione ai mali,  parte dalla premessa ideologica del mercato come grande regolatore, ma ormai, dovrebbe essere chiaro che così non è: il privato ha interesse prima di tutto a guadagnare e preferisce fare cartello con i suoi simili anzicché vivere la concorrenza che favorisce chi ha capitali maggiori. Laziomar docet.

Il cambiamento è sempre stato l’auspicio di chi si trova in difficoltà, ma se lo s’invoca e lo si persegue senza governarlo può essere infruttuoso, come ci suggerisce anche Martina “Ma  si po’ nun stracqua [12]?!”, o addirittura dare esiti negativi. Solo se ci stai dentro, se ne sei parte attiva, puoi comprendere in quale direzione va e, caso mai, tentare di intervenire per aggiustarne la rotta. E’ un po’ come l’albero della libertà [13]di zi ‘Ntunino: più sali e più ti accorgi che la tua libertà relativa potrebbe esserti sottratta.

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La vicenda del faro della Guardia [15] minaccia anch’essa di ritorcersi contro i ponzesi, poichè non è chiaro chi potrebbe caricarsi dell’onere di rendere fruibile faro e strada e recuperare le spese con almeno un po’ di guadagno in 19 anni. Sappiamo tutti quanto ci è caro il nostro faro, ma i capitali per partecipare al bando, pur immaginando un progetto, dove si possono prendere? Non sappiamo se a Ponza c’è una risposta a questa domanda.

Un altro problema che si profila minaccioso per il futuro riguarda la campagna, il mondo contadino (leggi qui [16]), ma di conseguenza tutti.

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E’ un problema a carattere mondiale, ma non dimentichiamo che nell’era della globalizzazione tutto quanto avviene altrove ha una ricaduta più o meno immediata anche sul nostro scoglio.

Avreste mai immaginato che un giorno, per le elezioni americane, sarebbe venuto il console americano [18] in persona a Ponza per risolvere in breve tempo gli inghippi burocratici che potrebbero ostacolare il voto degli italo-americani ponzesi?

Non avreste nemmeno immaginato, però, che ci fosse ancora qualcuno in grado di apprezzare le nostre antiche e faticosissime parracine tanto da volerle coltivare preferendole alla vita cittadina. E’ quanto ci mostra il video su YouTube per la promozione del III World Meeting on Terraced Landscape. Venezia/Padova 6th-15th October 2016  (leggi qui [19]) A Ischia è stato indetto addirittura un concorso fotografico per sottolinerne l’importanza e l’incisività umana nel paesaggio. Speriamo che ci sia qualche ponzese che partecipi.

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Purtroppo anche la violenza attraversa i continenti per giungere fino a Ponza. Ha colpito un ragazzo che si vedeva in giro in estate, come tanti altri ragazzi ponzesi o figli di ponzesi, e che in autunno tornava a nella lontana Toronto.

Considerato il continuo e forte impegno della nostra isola sorella, Ventotene [21], nel mettere in campo iniziative diverse per ampliare il suo spazio economico, la nostra Ponza sembra battere la fiacca.

Ma veramente i ponzesi stanno fermi come il babbasone [22] di cui parla Franco? A leggere l’articolo sul sito della Tornado Yachts pare  di no, visto che dopo aver esposto la gloriosa storia delle sue imbarcazioni annuncia un nuovo corso con un nome ponzese, Daniele Parisi [23], maestro d’ascia da tre generazioni. A Daniele facciamo i nostri auguri, perché se in una comunità si profilano persone in grado di rinnovare e rinnovarsi ci sono speranze per il futuro.

E’ per questo che, con sincero affetto e riconoscenza diamo l’ultimo saluto a quegli anziani che hanno dato il loro contributo alla vita dell’isola. Questa settimana è toccato ad  Apollonia Conte [24], una maestra che, come le sue coetanee dell’immediato dopoguerra, affrontava le difficoltà e i disagi del percorso per mare per svolgere il suo lavoro,  a Gioacchino Di Giovanni [25], il papà del nostro Enzo, che col Korsar è stato antesignano dei giri turistici intorno all’isola, a Sebastiano Spignesi [26] che agli inizi degli anni sessanta nel suo negozio di barbiere offriva la possibilità di fare la doccia al turista rientrato da mare e pronto alla partenza, e non solo.

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