Piroscafo Santa Lucia

L’affondamento del S. Lucia – 24 Luglio 1943

a cura della Redazione

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L’affondamento del Santa Lucia

Era il mattino del 24 luglio 1943; attraccato al molo di Ponza vi era il S. Lucia, un traghetto di 450 tonnellate appartenente alla Società Partenopea Anonima di Navigazione. Era in procinto di partire. I passeggeri, disseminati tra il comando del porto e la scaletta d’imbarco, attendevano notizie rassicuranti.

Si temeva il ripetersi del passaggio aereo che il giorno prima aveva sorpreso la piccola nave mentre era impegnata in operazioni di sbarco presso l’isola di S. Stefano. L’azione aveva causato solo del panico a bordo. Ora il comandante – Cosimo Simeone -aspettava che Gaeta comunicasse la presenza o meno in zona di aerei inglesi. Intanto fra la gente si faceva largo la convinzione che quella del giorno prima fosse stata solo una ricognizione. Sicuramente gli inglesi adesso sapevano che quella minuscola nave era innocua. Intanto si faceva tardi, il comando di Gaeta taceva, nonostante le ripetute richieste; occorreva partire. Tutti s’affrettavano all’imbarco, molti uomini, una coppia di sposi, donne, neonati, alcuni militari di leva. Si partiva per acquistare provviste, per motivi di salute, per sfuggire al previsto isolamento, per andare in viaggio di nozze, per necessità. Su quei volti imbruniti e sereni non si percepiva alcuna preoccupazione, anzi molti si sentivano sicuri perché il comandante della nave era di risaputa esperienza.

Il Santa Lucia lasciò il porto di Ponza quando il sole estivo già cominciava a diffondere la sua calura su un mare del tutto calmo; fece rotta su Ventotene, da dove, dopo una breve sosta sarebbe ripartito per Gaeta. Le due ore di navigazione che dividevano le due isole pontine trascorsero tranquillamente; ormai la nave era in vista di punta Eolo e si potevano scorgere le sagome nere degli scogli “Scuncigli”. A Ventotene si avvertiva l’arrivo del vaporetto disatteso da tempo a causa del forte ritardo. Molti si affrettarono al molo. Improvvisamente si avvertì un rombo: erano aerei. Ognuno cercava di scorgerli, la popolazione uscì per le strade, qualcuno intuendo il ripetersi dell’azione del giorno precedente corse preoccupato verso il promontorio di Punta Eolo. Intanto il Santa Lucia aveva messo le macchine avanti a tutta, il pennacchio di fumo era densissimo, la scia si allungava. Dopo un ampio giro, uno dei tre aerei si staccava dal gruppo, si portava in quota di attacco, ed apriva il fuoco. In breve le vetrate di dritta andarono in frantumi, a bordo si contavano i primi feriti, il panico dilagava, il crepitio delle mitraglie fu avvertito da Ventotene, la gente inorridita scappava dappertutto. L’aereo non aveva finito, si rimetteva in quota e riapriva il fuoco sul vaporetto inerme; nello stesso tempo sganciava un siluro. Il comandante con un’abile manovra lo schivava e puntava deciso sulla vicina spiaggia di Parata Grande. Da terra una piccola folla seguiva col fiato sospeso l’impari lotta, sperando che riuscisse la manovra di arenare la nave. Un secondo aereo si staccava dalla pattuglia e sganciava vicinissimo un altro siluro. La nave, sotto la guida esperta del comandante Simeone, sussultò poi sbandò, e schivò anche questo secondo micidiale ordigno. Anche la pattuglia dovette intuire l’intento del comandante Simeone di incagliare la nave per salvare i passeggeri, ma ormai era diventata una questione di puntiglio. La terza volta furono in tre gli aerei che si avventarono sulla piccola nave. La cabina di comando esplose sotto il tiro incrociato, il comandante ferito gravemente perdeva il controllo, le fiamme avvolsero le cabine, era la fine. La nave senza guida continuava la sua corsa, accennando un’accostata a dritta. Ormai era un bersaglio facile, un terzo siluro fu sganciato senza pietà. L’esplosione fu violentissima, i rottami volarono in tutte le direzioni mentre il traghetto spezzato in due affondava rapidamente. Da Ventotene partirono immediatamente i soccorsi. Si scorgevano una miriade di soggetti galleggianti, si sentivano grida, ma non ci si poté avvicinare, anzi bisognava rientrare precipitosamente in porto, gli aerei ancora in zona, effettuavano continue tornate mitragliando fra i rottami, sui superstiti, sui soccorsi. L’azione criminale non era ancora finita. Solo quando non si sentì più il rombo dei motori le barche dei soccorsi ripresero il largo nella speranza di trovare qualche sopravvissuto. Fu recuperato il comandante, ormai in fin di vita. Un carabiniere ustionato, due marinai e un passeggero che si erano previdentemente gettati in mare già dal primo attacco. Risultarono disperse 105 persone. La notizia arrivò a Ponza alla velocità della luce, le famiglie accorsero trepidanti al porto, la stazione semaforica di monte Guardia contattava intanto Ventotene. Si riceveva un messaggio: “Piroscafo S. Lucia est stato affondato da aerei inglesi presso Ventotene recuperate cinque persone”.

Ponza era nel dolore, decine e decine di famiglie piangevano i loro cari, per molti iniziava un lungo periodo di stenti. La gente attonita ancora oggi, non crede a quanto accaduto e si chiede il perché di tanta crudeltà, di tale accanimento su quell’inerme piroscafo di linea.

Ventotene – Commemorazione del 24 Luglio 2008

Sono passati 65 anni da quella tragica mattina del 24 luglio 1943 quando la rotta del ‘S. Lucia’ incrociò con  quella dei tre aerei inglesi. Morirono quasi tutti i passeggeri che si erano imbarcati quella mattina a Ponza diretti a Gaeta, via Ventotene. Non si è mai saputo esattamente quanti fossero le persone, tra passeggeri ed equipaggio, che si trovavano a bordo quel giorno. Anni di instancabili ricerche portate avanti dalla signora Mirella Romano – figlia di uno dei militari periti nel naufragio  – hanno permesso d’individuare 65 persone i cui resti riposano a circa 50 metri di profondità custodite dal relitto del S. Lucia e cui nomi sono ricordati sul monumento a loro dedicato sull’isola di Ventotene, muta ed impotente testimone di quell’inutile strage.

La cerimonia di quest’anno ha assunto un particolare significato. Infatti grazie all’interessamento del Comando delle Capitanerie di Porto – rappresentate dall’ammiraglio Picone – e a ricerche storiche effettuate  a Londra si è riusciti finalmente ad avere la documentazione di quell’evento da parte inglese.

Per anni infatti ci si è interrogati su quali potessero essere le motivazioni militari di quell’attacco ad una nave passeggeri.

A chiarire gli eventi è stato il Tenente di Vascello, Giulio Cargnello, responsabile dell’Archivio Storico del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie. Nei polverosi faldoni dell’archivio, venivano indicati come responsabili dell’attacco dei bombardieri del  47° stormo, partiti dalla base alleata di Protville, in Tunisia, i quali avrebbero colpito il piroscafo Santa Lucia senza apparente giustificazione. Si era parlato di dispacci che indicavano la possibilità che Mussolini fosse a bordo.

In effetti nella notte successiva alla tragedia del S. Lucia, tra il  24 e il 25  luglio 1943 il ‘Gran Consiglio del fascismo’ destituì Mussolini dalla carica di capo del Governo, attribuendo l’effettivo comando del paese alla Corona. Il Re nominò capo del governo il maresciallo Badoglio e fece arrestare Mussolini, destinandolo all’isolamento a Ponza. E Mussolini fu portato a Ponza, ma soltanto tra la notte del 27 e  28 luglio 1943, cioè tre giorni dopo l’affondamento. Questi eventi misero in secondo piano, nell’interesse nazionale, un atto così grave come l’affondamento di una nave passeggeri.

Peraltro, alla consultazione degli Archivi Storici Nazionali Inglesi di Kew, l’evento è riportato come una normale operazione di guerra, volta a fiaccare il morale l’Italia per farla uscire dalla guerra. La resa dell’Italia con gli Alleati fu firmata l’8 settembre 1943; con tale atto del maresciallo Badoglio, l’Italia veniva di fatto spezzata in due tronconi: con i tedeschi che occupavano il Nord e gli alleati a Sud.

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Fino a poco tempo fa si credeva che  solo tre persone si fossero salvate quella mattina: il comandante Simeone, che morì qualche giorno dopo in seguito alle ustioni e alle ferite riportate, il  membro dell’equipaggio Luigi Ruocco e il ponzese Francesco Aprea, che riuscì a sopravvivere ad altri tre affondamenti, prima di perire nel quarto. Da qualche mese, le assidue ricerche della signora Romano, hanno condotto alla scoperta di altri due sopravvissuti di quel giorno: Vincenzo Moretti allora giovane carabiniere 23enne che non sapeva nuotare, oggi 88enne e presente a Ponza  unico ancora in vita, e il fante Fernando Capoccioni che sembra fosse rimasto ferito seriamente, ma di cui per ora non ci sono tracce. Una seconda parte della commemorazione si è tenuta a Ponza in serata con la consegna dei documenti “inglesi” al Museo del S. Lucia e la presentazione di un film che ricostruisce l’episodio storico.

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Immersione sul relitto

La nave si trova a circa un miglio e mezzo dalla costa a nord ovest di punta Eolo, poggia su un fondale sabbioso ad una profondità minima di 39 metri e massima di 46 metri.

Scendiamo lungo la catena della nostra ancora, l’acqua è cristallina, e già intorno ai 15 metri si scorge la sagoma scura del relitto.

Osservando lo scafo a prima vista non si notano le classiche sovrastrutture tipiche di una nave; essa risulta rovesciata e spezzata in due, meglio in tre tronconi, con la parte poppiera a 39 metri. Scendendo, su  arriva sulla parte centrale dove il siluro ha colpito la fiancata della nave. Qui si trova soltanto un ammasso di lamiere contorte, oltre a resti sparsi nelle immediate vicinanze. Proseguendo si trova il troncone di prua a 40 – 46 metri.

La seconda immersione sub, è normalmente riservata alla penetrazione, sempre con le dovute cautele, dalle fratture esistenti dei tronconi. Bisogna ricordarsi che la visione deve avvenire al contrario, cioè il soffitto in realtà è il pavimento, quindi se osserviamo il pavimento è il soffitto.

Troveremo ancora diversi oggetti tra le lamiere, certamente appartenuti ai passeggeri. Vorrei ricordare di lasciare tutto come si trova senza asportare nulla, in modo tale che altri sub possano vedere, e ricordarsi di avere rispetto nella visita: in fondo la nave è una tomba.

Nella parte esterna si può  osservare la grande elica semiaffondata, ben visibile una pala, le ancore ancora al loro posto negli occhi di cubia.

Poco distante dal corpo del relitto si può vedere la caldaia, scaraventata a distanza dalla devastazione provocata dal siluro, poiché si trovava proprio nella posizione centrale della nave. La caldaia è stata ritrovata di recente dopo attenta e minuziosa ricerca da parte di sub del posto.

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Tratto e rielaborato a cura della Redazione da fonti diverse:

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