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Epicrisi 281. Cambiare è un po’ morire?

di Giuseppe Mazzella

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E’ inutile girarci attorno, sminuirlo o esaltarlo: siamo in un periodo di cambiamento, anche se non ne avvertiamo ancora tutta l’imponenza. L’unico punto su cui non si ha ancora una ragionevole certezza è se il Covid-19 stia mutuando il cambiamento o il cambiamento abbia generato il Covid-19: ovviamente non nel senso di aver provocato il virus, ma di aver influenzato l’“interpretazione” dei fenomeni che ne sono conseguiti e stiamo vivendo.

Di questo mutare di visione della vita si avvertono ormai molti segni, così come è anche ovvio che tutto ciò che è ignoto faccia paura. Va anche detto però che stiamo assistendo ad una battaglia epocale, nella quale si scontrano due mondi opposti: da una parte il potere dell’economia, purtroppo concentrata sempre più in poche mani a livello mondiale, che tutto travolge e tutto condiziona, veicolato da quello che conosciamo come globalizzazione; il tutto in un movimento vorticoso di straniamento dalla realtà, favorito dalle nuove tecnologie multimediali.
Dall’altra il mondo degli antichi valori, basati sulla dignità della persona, l’identità, la sua unicità, la libertà considerata quale bene supremo. Una battaglia nella quale al momento la globalizzazione sembra avere la meglio, soffocando sempre più tradizioni, valori e tutto appiattendo per una esclusiva ed escludente convenienza economica e per estrema beffa il guadagno di pochissimi. Il libero mercato si è rivelato più che una utopia una tragedia, nella quale i grandi pescecani pascolano indisturbati, facendo razzie dei pesci più piccoli.

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Tutti sappiamo che il cosiddetto ceto medio che propiziò in Italia il boom economico del dopoguerra, si sta rarefacendo sempre più. La forbice tra i grandi padroni e i cittadini normali, sempre più poveri, si allarga sempre più.

Per quanto attiene, poi, la nostra tanto amata Europa che ha nel suo dna una gloriosa tradizione culturale e spirituale, sta svilendo il suo passato, convertendosi al puro mercantilismo, rinnegando se stessa.
L’Europa della civiltà e dell’arte, si è trasformata nell’Europa dello spread, dei tassi di interesse, della volontà unica delle banche e dei numeri. E la nostra Italia, un tempo “giardino d’Europa”, sta diventando una realtà senza identità, massificata, snaturata e spesso anche umiliata dai grandi padroni del mondo.

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Quando, poi, ricordo, si trattò di inserire nella Costituzione una delle radici fondanti della nostra civiltà comune, quelle giudaico-cristiane, ci fu una levata di scudi contraria. E questo lo affermo non per la mia appartenenza alla Chiesa Cattolica, ma perché quello sarebbe stato un semplice riconoscimento storico. E quando si comincia a falsare la storia, le cose non vanno bene.

Per rifarmi ancora ad un vecchio proverbio che recita che “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, penso però che non tutto è perduto e quello che oggi appare una debolezza, di quella parte che appare perdente, possa diventare un punto di forza, per l’Europa, per l’Italia e per la nostra Ponza che, forse, per la prima volta nella sua storia, potrebbe uscirne favorita.

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Ma riprenderemo il discorso alla fine dell’excursus sui contributi della settimana al sito, che si apre con un nostalgico ricordo delle nostre belle tradizioni in un accorato ricordo della nostra Direttora Luisa Guarino (leggi qui [5]), che si sofferma anche in un altro intervento sul beneaugurante ritorno della fortunata trasmissione televisiva Linea Blu di ieri sabato dedicata a Ponza (leggi qui [6]), che non solo ha esaltato la sua grande bellezza, ma per i tanti bagnanti che ogni anno l’affollano ha fugato preoccupazioni di rischi da coronavirus.

Sulla stessa linea del recupero della nostra identità storica è la riproposizione, questa volta in instagram, di mio fratello Silverio Mazzella del suo ultimo lavoro “Ponzesi gente di mare” (leggi qui [7]), che sarà presto ospitato anche su Youtube.

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Sul bisogno di realtà che non sia solo virtuale, ci intrattiene Rita Bosso (leggi qui) che, sollecitata dal sito “Sfizio.di.Posta”, presenta alcune lettere del periodo del confino politico dell’isola, periodo nel quale, pur nelle condizioni difficili e a volte tragiche della vita, a dominare era ancora il senso di umanità. Un senso che il mondo moderno sembra aver smarrito.

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Franco De Luca si sofferma, ancora una volta, con ostinata acribia (leggi qui [10]), sulla possibilità di un dibattito politico, che in periodo di epidemia dovrebbe dimostrarsi più civile. E’ un augurio, ma anche una opportunità reale. Lo stesso Franco, poi, racconta lo stato della decadenza isolana, e non solo (leggi qui [11]), sotto le “spoglie” malinconiche e depresse di Zi’ ’Ntunino.

In questi mesi di riflessioni ad alta voce, Sandro Russo (leggi qui [10] e qui [11]) ci indica una nuova via alla natura e all’attesa dell’estate, ispirandosi ad illuminanti esempi tratti dalla letteratura sia di fantascienza che mainstream e dal cinema: come a dire tutte le strade portano al mare e alla nostra isola.

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Su un altro affascinante argomento ci intrattiene Silverio Lamonica (leggi qui [13]) che ci racconta, sulla scorta degli studi del prof. Michele Stefanile dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, della ricchezza dei nostri mari per le numerose testimonianze storiche ed archeologiche. Il nostro mare, infatti, è stato percorso sin dalla più remota antichità ed è verosimile che molto ci sia ancora da scoprire e studiare. Ovviamente, con l’augurio che una parte di questi reperti possano essere ospitati nel nostro tanto sognato museo che è in fase di realizzazione.

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Su questioni più propriamente economiche e legate al dopo coronavirus Giuseppe Mazzella di Rurillo (leggi qui [13]) approfondisce tutte le fragilità del sistema-isola, soprattutto per una voce importantissima come quella del  turismo. Parla di Ischia, ma è come se parlasse di Ponza e di tutte le piccole realtà insulari d’Italia.

Nuove difficoltà? Ma anche nuove opportunità. Su questa linea si muove l’intervento del professor Arturo Gallia (leggi qui [15]), che condivido.

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E torniamo, infine, alla premessa. Lo so che il cambiamento non può essere arrestato, e che cambiare è un po’ morire (?), cioè abbandonare vecchie abitudini a noi care, ma è pur sempre possibile indirizzarlo nella giusta direzione.

Ponza, infatti, potrebbe avere nuove opportunità. È necessario partire dal fatto che l’isola è piccola ed ha una natura a mare e a terra praticamente incontaminata, con una popolazione che conserva ancora una sua identità. La nostra isola, infatti, pur sopportando in questi ultimi decenni un’affluenza intensiva da parte dei turisti, ha potuto preservare il suo sostanziale equilibrio naturale, potendo disporre di almeno otto mesi di stallo. Un modello turistico, non esattamente adottato da noi quanto piuttosto accettato sull’onda della diffusione del turismo di massa, che non è molto congeniale a Ponza.

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La scommessa per il futuro sta in una inversione di modello, passando dal turismo intensivo e di breve periodo ad un turismo stabile e distribuito sull’intero anno. Clima, natura, silenzio, bellezze geologiche e archeologiche, un porto borbonico disegnato da un grande architetto del Settecento, la cucina tradizionale, i coltivi a strapiombo sul mare, tutto costituisce meraviglia e occasione di relax e di vera “vacanza”. E non solo. Ponza è meta ideale, come lo è già stato per il passato, per i creativi, artisti, scrittori, scienziati, perché unisce la pace di un ambiente che favorisce lo studio ad una bellezza paesaggistica straordinaria. In questa visione di lancio culturale sarebbe utile proporre anche degli atelier attrezzati da offrire a chi voglia vivere una lunga permanenza.

Certo non sarà una passeggiata e restano numerosi i pericoli, quasi simbolicamente rappresentati ieri dalla comparsa di una tromba marina al largo dell’isola (leggi qui [18]). Sarà quindi un lavoro lungo e impegnativo.

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Bisognerà ripristinare, per quanto possibile, l’antico reticolato delle “parracine” e delle“viarelle” per agevolare il trekking che da qualche anno, grazie alla buona volontà di pochi operatori turistici, sta prendendo sempre più piede.

Bisognerà dotare alberghi e case private di altri comfort per poter affrontare anche i mesi più freddi.

Bisognerà dotare l’isola di infrastrutture che vanno da un teatro polivalente a centri sportivi e ricreativi al chiuso e all’aperto, ad esempio campi da tennis e piscine riscaldate, centri benessere, biblioteche, centri studi e di un museo attivo assieme a presidi di ricerca naturalistica permanenti, sviluppando la collaborazione con università italiane e straniere, come ad esempio già avviene con studiosi svedesi dell’avifauna che ogni primavera vi si fermano per un paio di mesi.

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Valorizzare gli orti botanici, e l’antica tradizione navale dei maestri d’ascia; creare la possibilità per i proprietari di barche di servizi di rimessaggio e lavori stagionali in loco, assieme alla creazione di un centro velico permanente.

Creare o ripristinare tutti gli accessi al mare, mettendoli in sicurezza, e crearne dei nuovi su spiagge e coste fin qui non fruibili.

Intervenire su un restyling dei centri abitati, valorizzando le testimonianze storico-artistiche e incentivando la realizzazione di nuove strutture in armonia con il paesaggio, grazie anche al Nuovo Piano Regolatore che andrà ad aggiornare quello ormai obsoleto del 1983.

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Bisognerà coordinare un’azione promozionale concordata per attrarre flussi di turisti soprattutto dai paesi del nord Europa e poterli ospitare anche in previsione di una campagna convegnistica che, sappiamo, è sempre alla ricerca di nuove località.

Bisognerà recuperare, come di fatto è già stato fatto in parte, le antiche coltivazioni di vitigni e di altre produzioni tradizionali e far conoscere meglio la cucina tradizionale, del resto già ampiamente apprezzata. Bisognerà, infine, recuperare e rafforzare la fierezza di essere italiani e ponzesi, cioè convincersi che la nostra identità, che va tutelata, nella visione turistica futura, è un bene prezioso e un valore aggiunto.

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Tutte questioni che in un ampio dibattito il nostro sito sta portando avanti, sempre aperto a nuove proposte, nella convinzione che solo con il dialogo e il confronto è possibile promuovere il bene comune.

La vera sfida, però, sarà, ed è bene sottolinearlo ancora una volta, il cambiamento di mentalità e di stile di vita, passando dalla schizofrenica intensità estiva seguita da lunghi mesi di depressione, ad una vita civile e lavorativa che si svolga nell’intero arco dell’anno. Una distonia che non fa bene né all’economia né alla vita civile, né all’equilibrio psico-emotivo degli abitanti.
Solo a queste condizioni cambiare non sarà morire.