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Epicrisi della domenica (18). Le abitudini e la speranza

di Vincenzo Di Fazio (Enzo)

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Gli uomini si abituano a tutto con una spaventosa rapidità, diceva Bertrand Russell.

Ci sono le abitudini buone e quelle cattive. Le abitudini che dipendono dai nostri comportamenti, come quelle di essere cortesi e rispettare il prossimo o viceversa di essere prepotenti e irriguardosi; ci sono abitudini che riflettono il nostro stato emotivo, come il rimanere indifferenti difronte alle sofferenze umane. È quello che sta capitando nei confronti dei migranti che quasi quotidianamente annegano nel Mediterraneo. Ormai non ci si fa più caso e le notizie, se non dimenticate, sono relegate ormai nei titoli di coda dei telegiornali. Eppure è una tragedia umana di proporzioni immani.
Bello il tentativo di consegnare alla storia questa umanità inghiottita dalle acque attraverso l’articolo e il video Nomi senza corpi [2] di Dagmawi Yimer proposto da Sandro.

Ci sono, poi, abitudini che dipendono dall’essere remissivi, dal lasciar correre, dal non indignarsi difronte ai pericoli che si corrono e ai disagi che si sopportano. È il caso dei viaggi con le navi della Laziomar [3]non tutte ancora dotate di ascensori o quello delle privazioni che vecchi e giovani sono costretti a subire per la mancanza di strutture adeguate a soddisfare le rispettive esigenze.

Ci sono infine abitudini che possono cambiare il volto di un paese come quelle di isolarsi, di pensare al proprio interesse, di curare il proprio orticello, o come quelle di subire la supremazia dei prepotenti, degli arrivisti e degli arroganti, abitudini che hanno a che fare con la sfera sociale e che concorrono allo spopolamento della nostra isola.
Ce ne parla Franco de Luca nel suo piccolo studio, “Una nuova speranza [4]”, diviso in quattro puntate che rappresentano quasi un filo conduttore di molti scritti apparsi sul sito questa settimana.
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Pensare a sé stessi invece che al gruppo è qualcosa che riguarda la comunicazione tra gli individui e, alla stregua di una provocazione gettata lì come un seme, l’argomento lo troviamo proprio agli inizi della settimana nello scritto di Giuseppe: “Perplessità sulla comunicazione moderna [6]”. Grazie agli SMS, ai blog, ai social network le distanze si sono accorciate e riusciamo a raggiungere gente in ogni parte del pianeta; a discapito però della fisicità di un incontro dove da una stretta di mano o dalla qualità di uno sguardo o dalla mimica del volto siamo in grado di capire se chi abbiamo davanti è falso o sincero.

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Franco nel suo studio tenta un azzardo (lo dice lui stesso): applicare alla comunità isolana una strategia biologica, la eusocialità [8] in base alla quale un gruppo sociale sceglie di organizzarsi per superare l’ostacolo esistenziale.

Il destino di Ponza sembra ineluttabile. Mancando la coesione sociale e prevalendo l’individualismo il più forte prevarica sul più debole, gli toglie  spazio.
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La comunità si infiacchisce e il più forte, egoisticamente, sceglie la strada per vivere in maniera ottimale, organizzando come meglio crede la sua vita altrove. Argomento toccato e dibattuto tante volte sul sito, solo che ora Franco, il cui legame con Ponza è viscerale, “forzatamente” si dichiara ottimista e propone un percorso sociale che è anche una speranza.

Per Franco occorrerebbe una rivoluzione mentale, dare spazio al gruppo piuttosto che all’individuo.

Ciò comporta che chi ha più potere ceda qualcosa a chi ne ha di meno in un territorio che non può dare a tutti, soprattutto non può dare quello che tutti vorrebbero.

Il difficile rapporto degli isolani con il contesto civico del luogo in cui vivono si palesa nell’intervista al Comitato Rinascita per Ponza [10] nella quale emergono temi che attengono alla scarsità delle opportunità di lavoro, alla presenza di tensioni derivanti dalla distribuzione delle limitate attività legate all’estate, all’esigenza di discutere, senza subirli, i limiti ed i vincoli imposti dagli Enti e dalle leggi. Si vorrebbe equità e comprensione nelle decisioni amministrative.
E il tentativo del Comitato è proprio quello di trovare nel gruppo la forza per voltare pagina e migliorare il rapporto con il territorio.

Un territorio fragile da sempre come emerge dalle pagine del libro “Memorie sulle Isole Ponziane [11]” di Déodat de Dolomieu, tradotto da Giuseppe Massari e presentato questa settimana a Ponza, dove si parla tra l’altro di una frana a Chiaia di Luna risalente all’epoca in cui il libro venne realizzato e dove si cita una notizia che è uno scoop: l’esistenza di una Palmarola divisa in due, diventata poi una sola isola a seguito di frane evidentemente risalenti solo a due secoli orsono.
Un territorio su cui forse negli anni passati poco si è fatto per la tutela dell’immagine e della fruizione se oggi si avverte il pericolo di essere invasi dalle antenne telefoniche [12], problema su cui indugia il servizio di Furlan di h24 notizie.
Un territorio da cui i nostri avi con grande sacrificio hanno tratto sostentamento e vita migliorandolo nel tempo e consentendo a chi a quella terra era legato di preservarlo e valorizzarlo, come hanno fatto gli eredi Migliaccio, attraverso il recupero di vitigni autoctoni [13] nella zona della Punta del Fieno.
C’è in questi esempi di eccellenza, pur se circoscritti a momenti particolari della vita isolana, una volontà di preservare la tradizione, il culto delle cose belle, l’amore per un’isola complicata e difficile.
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Che qualcosa irrimediabilmente si stia sfilacciando, si stia perdendo lo avvertiamo ogni qualvolta ci lascia qualche memoria storica dell’isola, come è avvenuto con le morti di due donne, Antonietta [15] e Filomena [16], che hanno tanto vissuto e raccontato e dalle quali forse troppo poco abbiamo attinto.
Il ricordo del passato come mezzo di conoscenza per affrontare il presente e tramandarlo al futuro lo notiamo nella festa della Santa Croce [17]che si fa apprezzare, come racconta Rosanna, per lo sforzo tangibile di rievocare canti ed usanze: un altro tentativo di recuperare qualcosa dell’identità isolana che si sta perdendo.
Ma Rosanna non può fare a meno di notare che è evidente la percezione di un minor coinvolgimento rispetto al passato… probabilmente per quel difetto di coesione e “vivacità” sociale di cui parla anche Franco.
E proprio Franco le fa eco con il ricordo dei canti [18] che accompagnavano quella festa ai tempi del parroco Dies, presenza forte ed aggregante tra gli isolani nel corso del suo mandato.
Lo testimonia ulteriormente il bell’articolo di Tonino Esposito che ha recuperato insieme a Luca Dies un vecchio canto, interpretato proprio da ‘u parrecchiano [19], dedicato alla Madonna del mese di maggio, che paventa un’oscura insidia e invoca la protezione divina.

Ricordi e memoria trovano, quindi, spazio anche questa settimana sul sito a sancirne la valenza e l’importanza che hanno per aggregare, unire, formare coscienze.
Non bastano certo a cambiare le cose perché forte è “l’abitudine” e lo stimolo a salire sul carro del vincitore ogni qualvolta il vento cambia… è sempre più facile stare dalla parte del “più forte” come afferma l’ineffabile Giggino [20].

Per fortuna non tutti accettano questa modalità di scelta nell’agire sociale.
E – altra fortuna – la fantasia non è morta… e quando meno te l’aspetti arriva una sorpresa come, a fine settimana, la foto del canale di Palmarola [21] come probabilmente l’ha visto monsieur Déodat de Dolomieu nel 1788.

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