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Una canzone per la domenica (157). Mama Africa (prima parte)

di Sandro Russo

 

“…Ora io so una canzone dell’Africa – pensavo – una canzone della giraffa e della luna nuova sdraiata sul dorso, dell’aratro nei campi e dei visi sudati degli uomini che raccoglievano il caffè – ma sa l’Africa una canzone che parla di me? Vibra nell’aria della pianura il barlume di un colore che io ho portato, c’è fra i giochi dei bambini un gioco che abbia il mio nome, proietta la luna piena, sulla ghiaia del viale, un’ombra che mi somiglia, vanno in cerca di me le aquile del Ngong? …”
[Da Karen Blixen – ‘Out of Africa’ – 1937]

[1]

L’Africa è sempre nei miei pensieri. Ed è un pensiero doloroso. Il mio personale mal d’Africa l’ho contratto durante una permanenza di due mesi e mezzo, nel 1978, in Somalia, Mogadishu e dintorni; una missione di insegnamento (una collaborazione tra il Ministero degli Esteri, l’Università ‘La Sapienza’ di Roma e l’Università Nazionale Somala, così denominata al tempo, leggi qui [2] e qui [3]).
Il mal d’Africa non mi è mai passato. Ci sono stato ancora, per viaggi più brevi, a Socotra, tra lo Yemen e il corno d’Africa e in Madagascar, la grande isola a fianco all’Africa, dalla parte dell’oceano Pacifico, ma per le circostanze e i tempi non ho considerato questi luoghi la vera Africa. La Somalia sì.

[4]

Dal punto di vista musicale dell’Africa si può dire che “è la culla dell’umanità” – e questa sarebbe una chiacchiera da scompartimento ferroviario – se non fosse che il bimbo è cullato da un ritmo continuo, pervasivo, immanente… un suono di tamburi che viene da ogni parte e da nessuna. È questo il ricordo che mi porto dietro dall’Africa e mi torna nei sogni. Un battimento che è quello del cuore e che il bambino acquisisce prima di nascere, quando è ancora nel grembo materno.

Alla ricerca di una canzone che meglio rappresentasse quel che voglio dire, ne avevo pensata una in particolare, ma era già sul sito – non poteva essere altrimenti -, proposta appunto da me, anche se con finalità diverse: far vivere i suoni della foresta riprodotti da un ensemble vocale e strumentale.
Il pezzo è qui (settembre 2019):

https://www.ponzaracconta.it/2019/09/01/una-canzone-per-la-domenica-59-la-voce-della-foresta-che-muore/ [5]

Ma non mi sono fermato qui.
La versione più affascinante del pezzo – che qui ripropongo – è quella di Miriam Makeba, straordinaria donna/cantante dalla vita esemplare (vedi più avanti).

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Miriam Makeba in The lion sleeps tonight a real original african version.

[Certo non sono stati The Tokens (il complesso che ha rilanciato la canzone nel mondo, nel 1961 – ndr) a inventare i nostri ritmi africani. Questa è una canzone sudafricana dell’etnia zulu, chiamata mbube (leone)… cantata per centinaia di anni in sud Africa e per la prima volta incisa da Linda Solomon (1939). Ma il significato è un po’ più profondo di quanto possa apparire al primo ascolto. Quando un re muore noi in Africa diciamo che il leone sta dormendo i yu m’bube = you are the lion… chacka you can’t die, you certainly sleeping… (chaka, tu non puoi morire, starai certamente dormendo].

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E per rimanere sul tema Africa – di Miriam Makeba  propongo un secondo pezzo – Pata Pata, cantata quand’era giovane (le immagini non sono il massimo) -, dopo qualche informazione su di lei (dal suo sito ufficiale).

[7]Miriam Makeba, qui con Nelson Mandela

Zenzile Miriam Makeba (Johannesburg 1932 – Castel Volturno 2008), conosciuta anche come Mama Africa, è stata una cantante vincitrice di Grammy Award e attivista dei diritti civili. Negli anni sessanta è stata la prima artista africana a rendere popolare l’Africa nel mondo. Il suo maggior successo al tempo fu Papa Pata, incisa nel 1957 e diffusa negli Stato Uniti nel 1967. Incise e fece tour musicali con molti artisti di rilievo, tra cui Harry Belafonte, Paul Simon e Hugh Masakela (suo primo marito).

Miriam Makeba and Dizzy Gillespie in concert, Deauville (Calvados, France 1991)

Miriam Makeba svolse una attiva campagna contro l’apartheid sudafricano, al che il Governo rispose nel 1960 revocandole il passaporto e la cittadinanza e negandole, nel 1963, il diritto di tornare in patria. Quando l’apartheid fu abolito, Miriam ritornò in patria, per la prima volta nel 1990.
Miriam Makeba è morta per un attacco di cuore il 9 novembre 2008, dopo aver partecipato a un concerto organizzato per sostenere lo scrittore Roberto Saviano nelle sue posizioni contro la camorra.

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Naturalmente l’Africa non finisce qui. Almeno una seconda puntata, su come l’Africa è vissuta (e riprodotta) dal mondo occidentale, sarà necessaria…

 

[Una canzone per la domenica (157). Mama Africa (1)Continua qui [8]]

Appendice del 16 agosto (cfr. commento di Sandro Russo)

Omaggio di Saviano alla Makeba

[9]Miriam Makeba durante il suo ultimo concerto

Miriam, morta nella Soweto d’Italia. Il suo ultimo canto è stato tra gli africani della diaspora, arrivati qui a migliaia [10]