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Andare a Chiaia di Luna

di Roberto Coluzzi

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Molto interessante l’articolo del 27 gennaio 2021 e la lettera del Consigliere Carlo Marcone del 25 gennaio 2021 al Sindaco (leggi qui [1])

E’ una lettera molto garbata che suscita emozioni perché rinnova il desiderio di noi tutti di poter ritornare a Chiaia percorrendo quel tunnel romano che esiste lì da duemila anni  e per arrivare alla spiaggia, splendida di giorno e di notte.

Forte nostalgia per noi tutti ormai adulti, amanti frequentatori da oltre 40 anni o ponzesi di nascita che hanno avuto la fortuna di poterci andare.

La lettera è l’ultimo grido disperato per riaprire Chiaia di Luna dopo quasi 10 anni di totale interdizione dall’ultimo provvedimento commissariale.

Dal tragico incidente del 19 settembre del 2001 le diverse iniziative messe in atto hanno consentito per qualche anno una accessibilità parziale; poi nell’aprile del 2010, dopo il tragico crollo a Ventotene tutto è diventato più complicato.

Rete di sicurezza nel 2010.

Apertura estate 2010. Numero chiuso a 400 ingressi.  Richiusura immediata per mareggiate.

Poi, con sentenza definitiva, il Commissario Straordinario nel 2011 ha ordinato la chiusura totale.

Ma quale è il problema? E’ ragionevole chiudere tutto? Per sempre?!?

Nessuna delle amministrazioni successive ha avuto più il coraggio di riaprire, anche solo parzialmente.

Nessuno se la sentirebbe di assumersi la responsabilità di adottare provvedimenti che poi potrebbero portare ad una condanna come è successo per l’evento di Ponza del 2001 con sentenza del 2012 e per l’evento dell’aprile 2010 a Ventotene con sentenza del febbraio 2018.

Sarebbe comunque temerario per chiunque prendere iniziative e revocare ora la chiusura del Commissario nel 2011.

Ma perché, come dice Carlo nella lettera, prima si andava a Chiaia senza problemi?

Chi non ricorda lo scherzo dei sassolini gettati sulla parete per allarmare i bagnanti?

Anche prima era alto il livello di guardia per il pericolo di caduta sassi, ma eravamo tutti più inclini ad accettare la fatalità delle situazioni, senza incriminare qualcuno della responsabilità di eventi naturali che erano all’epoca imponderabili ed imprevedibili.

Oggi, invece, è diverso perché esistono metodi ed attrezzature per prevenire eventi funesti e quindi all’evento si trova comunque un responsabile.

Paga chi non ha previsto, paga chi non ha eseguito.

Però non è facile avere la disponibilità finanziaria per prevedere accertamenti geognostici ed è ancor più, ovviamente, impossibile avere la disponibilità finanziaria per realizzare opere di  consolidamento/rimozione per eliminare il pericolo o solo anche mitigarlo.

Così è per tutto il territorio italiano che viaggia per oltre il 40%  della superficie in condizioni gravissime di instabilità idrogeologica e sismica.

 

Facciamo però un distinguo tra l’instabilità originata dall’uomo e quella invece dovuta ad evoluzione naturale del territorio.

Il fenomeno di Chiaia di Luna e delle coste ponzesi certamente non dipende dalla mano dell’uomo, ma almeno al 95% da una naturale evoluzione geologica quindi ben più prevedibile.

Basterebbe osservare ed avere notizie su come è stato il comportamento delle pareti rocciose nel tempo e fare indagini con accertamenti diagnostici non distruttivi per verificare la stabilità delle pareti.

Per il restante 5% anche l’uomo ha comunque avuto la sua parte nel disgregarsi delle rocce perché in questi ultimi 10 anni anche il cambiamento climatico, causato da tutti noi, ha accelerato i dissesti. I ripetuti periodi di pioggia intensa e prolungata  hanno certamente contribuito a mettere in crisi il territorio nazionale e quindi anche le coste di Ponza che per loro natura sono destinate allo sgretolamento progressivo.

Alcuni eventi recenti parlano chiaro:

  1. Il crollo a Cala dell’Acqua il 13 luglio del 2007

[2]

  1. Il crollo a Palmarola nel 2008 della parete sulla spiaggia delle Gradelle centrale lato est fronte Ponza.
  2. La frana nel 2009 del costone di Monte Guardia
  3. Il crollo a spiaggia Aurora dietro la scogliera di Cala Feola nel 2009
  4. Il crollo a Cala Fonte nel dicembre 2017

[3]

  1. Il 6 giugno 2018 un cedimento di blocco alla caletta delle piscine.


[4]

  1. l’evento del 28 luglio 2018 quando in piena estate ha ceduto con gran fragore un’unghia di parete rocciosa nella zona centrale.

Neanche la fugace visita del 6 giugno 2018 degli esperti sismologi e geologi Barberi e Carapezza ha risolto i problemi dopo il giro  in barca a distanza dalla costa. Avranno visto quello che è uno sgretolamento costiero diffuso per il quale è difficile mettere la firma per autorizzare la praticabilità del sottocosta.

Senza un sistema di monitoraggio dettagliato e continuativo nel tempo, chi assumerebbe mai la responsabilità per riaprire almeno quelle zone di sbarco che appaiono senza pericoli.?

Piccole spiagge e zone di scoglio da individuare, delimitare e riaprire all’approdo ora precluso.

Luoghi di approdo che potrebbero ridare vita a un turismo di costa oggi mortificato dalle boe di distanziamento che non fanno distinzioni di sorta .

Per questo oggi a Ponza siamo in chiusura totale.

Occorre quindi fare una distinzione importante; quelli elencati prima sono tutti cedimenti rocciosi avvenuti come crolli globali (prima tipologia). Sono unghie di roccia che si staccano in blocco; ci sono poi gli sgretolamenti superficiali (seconda tipologia) che provocano invece la caduta di singoli sassi di parete.

Per prevedere un cedimento globale (prima tipologia) ci sono certamente strumenti e conoscenze geomorfologiche e geotecniche: il monitoraggio in continuo eseguito coi moderni metodi non distruttivi di indagine, come la “tomografia geoelettrica” e l’applicazione di sensori di movimento per rilevare e restituire in remoto i dati ad una centrale operativa.

Il dettaglio in tempo reale dei movimenti fessurativi e un sistema di allarme per la decodifica automatica dei segnali possono dare informazioni preventive al crollo con largo margine di anticipo.

E’ ovvio che quando poi viene rilevato un movimento attivo e veloce, il fenomeno globale innescato non lo può fermare più nessuno e l’area va evacuata ed interdetta.

Quindi un sistema di sensori ed una centrale di raccolta dati potrebbero certamente servire per riaprire qualche tratto oggi precluso.

L’abbiamo dimenticata, ma anche la meravigliosa discesa di Cala Inferno da Le Forna sta lì da 30 anni chiusa e impraticabile dopo l’ennesimo crollo. Eppure, proprio per questo luogo, come per altri intorno all’isola, una rete di sensori per il monitoraggio in continuo e poche opere provvisionali potrebbero forse restituire anche questo tesoro nascosto ai più.

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[6]

Per gli sgretolamenti superficiali (seconda tipologia), invece, hanno efficacia reti e barriere paramassi come esistono sulla costiera di Terracina, agli ingressi delle gallerie della panoramica di Gaeta-Sperlonga e ovunque nei tratti di valico nelle zone alpine.

Ora tornando a Chiaia di Luna, la storia dice che per il primo tratto pari a circa un terzo della parete è una roccia compatta e le “piccole” pietre che si staccano per il degrado della superficie rocciosa vengono comunque trattenute dalla rete metallica che appare a vista in buone condizioni di ancoraggio.

Non dovrebbero esserci fenomeni di cedimento globale perché tutta la zona adiacente al foro del tunnel è rimasta libera almeno da duemila anni da quando i romani scelsero di fare lì la perforazione per unire il versante del porto esposto ad Est con Chiaia sul lato ovest per gli approvvigionamenti con ogni tempo di mare.

Il restante tratto di 2/3 della parete rocciosa è invece instabile proprio per il tipo di formazione rocciosa che tende sistematicamente a distacchi di grandi mas se e crolli periodici. [7]

Ci sono foto che richiamano il ripetersi di questi crolli particolarmente nella parte centrale: la foto dello sbarco di mezzi militari del 1944 pubblicata di recente su Ponzaracconta dove si vede la massa accumulata sulla spiaggia e i soldati distesi in adiacenza al tunnel.

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La seconda foto è quella del 20 luglio 2018 quando un’unghia di parete è caduta fragorosamente a mare. 

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Nessuno ha mai pensato o potrà mai pensare di poter fermare questo fenomeno erosivo.

Ma c’è anche da riflettere se una scogliera realizzata  in mare per ripascere ed allargare la spiaggia abbia veramente o meno una qualche utilità per la frequentazione dei bagnanti in quel tratto.

Una enorme unghia di roccia friabile che crolla da 50-70 metri di altezza non lascia alcuno spazio di praticabilità neanche ad una spiaggia larga 60 metri.

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La soluzione della barriera di massi al largo per aumentare la larghezza della spiaggia non è quindi un rimedio certo.

Non è il costo, ma la sicurezza che comunque non verrebbe garantita, senza considerare poi che la scogliera fronte spiaggia certamente potrebbe deturpare irreversibilmente l’ambientazione naturale come è stato per il Frontone e come è per il litorale di Fiumicino-Ostia e in tutti quei luoghi dove tali barriere producono peraltro effetti imprevedibili sulle correnti marine e lo spostamento delle spiagge o anche ristagni d’acqua inquinata.

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Per questi motivi la situazione del primo tratto di Chiaia di Luna potrebbe considerarsi già in piena sicurezza e comunque certamente luogo più sicuro  rispetto agli altri tratti di costa che oggi sono ancora praticabili.
In questo primo tratto la formazione geologica è palesemente più stabile.

Ben venga quindi quella verifica di limitata spesa per constatare le condizioni della rete e degli ancoraggi. In questo primo tratto non sembrano presenti fratture profonde interne al masso roccioso che potrebbero innescare un fenomeno di cedimento globale ad “unghia”.
Perché quindi tenere interdetta Chiaia di Luna?

Una perizia dei geologi che nel 2010 hanno valutato la messa in sicurezza di quel tratto iniziale dove è stata messa la rete deve pur esserci a garanzia?
Non possono essere state eseguite all’epoca  le perforazioni profonde dei tiranti senza avere accertato la consistenza del masso roccioso. Si dice che fossero gli stessi rocciatori alpini che realizzarono l’opera. Quale garanzia migliore?

Rinnovare la perizia geotecnica dell’epoca sarebbe oggi un buon supporto per le decisioni che devono essere assunte dall’Amministrazione per la riapertura anche quest’anno.
Una solida barriera ed una cartellonistica per delimitare l’area di spiaggia praticabile completerebbero l’opera in breve tempo.

Seguono poi però le altre domande:
– il tunnel romano è agibile?

– che fare del tratto di spiaggia reso praticabile? Lo spazio è ridotto. Riempirlo di lettini ed ombrelloni oppure lasciarlo libera spiaggia per bagnanti con solo telo da mare e per la discesa dei naviganti intenzionati ad una passeggiata al porto?

Certamente anche la sola accessibilità parziale al luogo di straordinaria bellezza  e la possibilità di percorrere il tunnel dell’antica Roma di collegamento diretto est-ovest darebbe un nuovo ampio respiro al turismo ponzese.
Non serve molto per farlo.