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Lettera sulla “napoletanità”

di Paolo Mennuni
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Il riferimento è all’articolo di Tano Pirrone [2] di qualche giorno fa

Caro Tano,
non ho seguito in TV il “Natale in casa Cupiello”, ma ho letto con molto interesse il tuo articolo e mi sono convinto di aver fatto bene a non abboccare ai reiterati inviti a seguire l’interpretazione di Castellitto.

Ricordo che nel lontano 1967 ebbi modo di vedere, dal vivo, al teatro S. Ferdinando di Napoli, l’edizione con Eduardo de Filippo in carne ed ossa (attore e regista), Pupella Maggio, Enzo Turco ed altri grandi dell’epoca.
Non ho quindi difficoltà a comprendere quale sia il fascino esercitato da un grande commediografo come Eduardo; ma da questo a farne addirittura l’archetipo della napoletanità… scusa, ma ci passa!
Pertanto, da napoletano DOC, quale mi ritengo, perché nato in quel di Mergellina, mi corre l’obbligo di fare qualche riflessione sulla “napoletanità” che tu giustamente richiami nel tuo scritto ma di cui, appunto, fai Eduardo (De Filippo) addirittura l’archetipo

Con tutto il rispetto dovuto ad Eduardo, che della napoletanità è una validissima espressione, “la napoletanità” stessa è un qualcosa di vasto e complesso che si è andata sedimentando nel corso dei millenni, prima ancora della fondazione di Roma, attraverso gli Osaci, i Greci, i Romani e così via fino ai nostri giorni passando per l’avvicendamento di altri popoli con i quali Napoli ed il Sud si son confrontatati nel corso della storia per cui, a mio modesto avviso, appare come riduttivo ascrivere, o meglio ancora circoscrivere, tutta la napoletanità al Nostro.

Voglio anche ricordare per inciso come, in questo grande rivolgimento storico e culturale, sia nato addirittura l’italiano come lingua colta, ancor prima che Dante le imprimesse il suo tocco definitivo (e forse titubasse ancora tra l’italiano ed il provenzale!). La Napoletanità è stata forgiata da Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Austriaci fino all’annullamento distruttivo e barbarico praticato nel corso del cosiddetto Risorgimento.

La Napoletanità è storia, è cultura, è letteratura, è arte e, in definitiva, è quel denominatore comune che ha consentito a noi “Terroni” di conservare decoro e dignità ad onta degli assalti dei vari Garibaldi, Cavour e Savoia.
Credimi, caro Tano, che continuerò a leggerti con piacere, interesse e curiosità, ad onta di questa sfuriata amichevole.

Tuo aff.mo Paolo

 

Immagine di copertina: da https://napoliparlando.altervista.org/ [3]

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Il Chiostro maiolicato delle Clarisse, in “Santa Chiara”, a Napoli