di Sandro Vitiello
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Fino a qualche giorno fa non avevo mai sentito parlare di popolazione Osca e di un mondo di pastori che vivono nell’entroterra casertano, dalle parti di Castel di Sasso.
Pastori che conservano una tradizione antichissima nella lavorazione del formaggio di pecora. Stiamo parlando di una civiltà che viveva in quel territorio già tremila anni fa. Prima dei Sanniti e prima dei romani.
Da quelle parti ancora oggi si produce un formaggio unico che in questi ultimi anni è diventato un presidio Slow Food; il Pecorino Conciato Romano.
Di romano ha ben poco ma il nome è quello.
Un formaggio che segue un rito antichissimo nella produzione e nell’affinamento.
Materia prima solo latte di pecore allevate in libertà. Stagionatura di almeno sei mesi e poi passaggio in una preparazione di olio di oliva e aceto. Affinamento successivo con rami di timo raccolti sui monti Trebulani. Timo selvatico per capirci. Ancora altri mesi di affinamento che possono arrivare anche a tre anni in tutto.
Io ne ho assaggiato una forma che arriva dalla dispensa personale di un importante allevatore che non disdegna di farsene un po’ per uso familiare. Ringrazio l’amico Francesco Catani che me ne l’ha regalata..
Luigi -il produttore- ha tante pecore intorno Castel di Sasso e il suo formaggio rispetta in maniera rigorosa la ricetta antica. Unica concessione alla modernità, si fa per dire, l’utilizzo di contenitori in vetro anziché anfore di terracotta, quando il formaggio viene messo a bagno nella mistura di olio e aceto.
Un formaggio incredibile: ricorda il pecorino di Fossa ma ha qualcosa di diverso, qualcosa in più. Usando le parole di Slow Food: – “forte riduzione olfattiva, sensazioni alcoliche e di frutta matura al naso e grande personalità degustativa, che può arrivare anche a una piccantezza molto pronunciata”.
A me è piaciuto in maniera esagerata. Non è un formaggio per tutti i palati ma…
In condivisione con “La Casa dei Sacco” ( https://lacasadeisacco.blogspot.com/2025/10/un-formaggio-con-una-storia-molto.html )
