di Giuseppe Mazzella di Rurillo
Ho seguito con molto disincanto e svogliatezza il congresso delle isole minori con l’enfatica denominazione “Stati generali” svoltosi di recente nell’isola di Lipari per iniziativa del ministro Musumeci, siciliano, titolare di un dicastero denominato “del mare e della protezione civile” che unifica le competenze dell’ex ministero della Marina mercantile e della Protezione civile.
Che le isole minori dovessero avere una legislazione speciale fu richiesta, circa 40 fa, da alcuni sindaci di comuni di queste isole nell’ambito della associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci).
Per quanto vissuto personalmente, Enzo Mazzella (1937-1990), sindaco del Comune di Ischia (dove per Ischia si intende il nome del capoluogo e non i sei Comuni di cui l’isola partenopea, la più grande e più complessa dell’arcipelago campano, fa parte), fu uno dei protagonisti dell’ istituzione, nell’ambito dell’ ANCI, di una sezione particolare che assunse la denominazione ANCIM, cioè Associazione dei Comuni delle isole minori italiane, di cui fanno parte anche le due isole più grandi del vicino arcipelago ponziano.
Enzo Mazzella sosteneva una legislazione particolare delle isole minori.
Essendo suo Amico – senza alcun rapporto di parentela e senza alcuna appartenenza alla sua parte politica – gli feci notare che Ischia, ottava isola italiana,
per la sua dimensione territoriale (46 km2),
per la sua popolazione (oltre 40mila abitanti),
per la sua vicinanza al Continente (Napoli dista solo 18 miglia marine e Pozzuoli 15)
e, buon ultimo, per il suo sistema economico imperniato sul turismo termale con (almeno) 40mila posti-letto, 3mila imprese, 14mila lavoratori iscritti al Collocamento che oggi si chiama Centro per l’impiego,
per tutto questo non era un’isola “minore” ma piuttosto la più piccola delle “grandi isole” con problemi di consolidamento dello sviluppo anziché di avvio di un sistema socio-economico completamente nuovo.
Ritenevo allora che la dimensione e la problematica dell’intera isola d’Ischia divisa in sei Comuni avrebbero dovuto trovare degna attenzione nell’ ANCI insieme ai grandi, medi e piccoli Comuni. Meglio una forte Unione di tutti i Comuni italiani che cerca sintesi rivendicativa in se stessa, conciliando le diverse richieste, che un’ associazione di settore o corporativa di isole minori o di minori Comuni che hanno scarsa voce di fronte ai problemi giganteschi dei grandi Comuni o Metropoli e che non possono fare altro che presentare ad ogni incontro un quaderno delle lamentele tanto per non usare il francesismo famoso “cahier des doléances“.
Enzo Mazzella mi fece notare che per il contesto – anni 80 del 900 – con la Cassa per il Mezzogiorno in liquidazione e con le competenze trasferite alle Regioni occorrevano strumenti nuovi per far sentire al Governo la voce del Sud. Perché il Mezzogiorno, che per 40 anni aveva avuto un “intervento straordinario”, non aveva più un forte sostegno finanziario dello Stato Centrale. Era quella di Enzo Mazzella un’ osservazione valida da parte di un economista ed un commercialista quale era con mente lucida sui problemi concreti.
Forza all’Anci
Ischia ha problemi di una grande isola perché densamente popolata e dal maturo sviluppo turistico. Capri, pur essendo di solo 12 km2, ha un over tourism e chiede addirittura nell’alta stagione una diminuzione dei collegamenti marittimi. Insomma la “continuità territoriale” della Repubblica, che è il tema comune delle isole minori, ha diversa interpretazione, attuazione e fattibilità finanziaria. Anche i temi di sviluppo economico sono diversi sul settore prevalente. Quello che resta necessario per tutto un sistema del Mezzogiorno e per le aree in ritardo di sviluppo come le isole ponziane, che fino al 1931 erano parte dell’area napoletana per legami storici, è un nuovo intervento straordinario ed un efficiente assetto istituzionale accorpando i Comuni polvere. Ma su questi temi abbiamo più parole che fatti dalle classi politiche.
Il mare divide
La diversità delle piccole isole è la loro distanza dal Continente. Il mare purtroppo divide. Non è possibile trasferire in una piccola isola scarsamente abitata i servizi al cittadino di cui usufruisce un abitante di Napoli o di Roma o di Palermo. I diritti del cittadino – soprattutto quello alla Salute scritto nell’art.32 della Costituzione – sono enormemente costosi per le pubbliche finanze. Così è la dimensione del territorio, la vicinanza alla città continentale, la quantità della popolazione che fanno la differenza.
Ischia ha oltre 60mila abitanti ed ha un sufficiente sistema sanitario pubblico e privato col sistema delle convenzioni con la medicina privata. Ischia ha una economia turistica complessa che deve consolidarsi sempre di più. Ma Ponza e Ventotene, a circa 30/36 miglia dal Continente e a 20 miglia tra loro, con una popolazione residente, insieme, di poco più di 3mila persone che d’inverno diventano mille a Ponza e trecento a Ventotene, non possono, per costo finanziario pubblico, avere gli stessi servizi pubblici delle isole densamente abitate a prevalente economia turistica.
Il turismo per le isole minori non ha alternative per lo sviluppo economico. Se Ischia punta alla massimizzazione della sua risorsa ambientale altrettanto lo fanno le altre due isole ponziane ma in una economia di mercato è chiaro che la redditività è diversa. Tuttavia non c’è alternativa al turismo. E’ impensabile una miniera a Ponza o Ischia.
Oltre 10 anni fa un grande meridionalista, come Carlo Borgomeo, dette alle stampe un saggio importante che intitolò “L’equivoco del sud” edito da Laterza di Bari. Lo presentammo a Lacco Ameno in Villa Arbusto con una buona partecipazione di cittadini. Purtroppo le proposte non hanno trovato applicazione. La classe politica è scadente qui come ovunque. Carlo Borgomeo scelse un’osservazione di Giorgio Ceriani Sebregondi (1916-1958), un giovane meridionalista morto troppo presto. Diceva: “dobbiamo evitare di cadere nell’errore di chi, trovandosi di fronte ad un albero che dà pochi frutti, invece di provvedere a curare la malattia dell’albero, provvedesse ad appendere dei frutti sui suoi rami”.
Un monito scarsamente ascoltato.











