Botanica

A lezione dalle piante (prima parte)

segnalato da Fabio Lambertucci, da www.iltascabile.com

Scienze
Cosa hanno da insegnarci le piante
di Fabrizio Baldassarri  (*) – del 21.10.2025 da www.iltascabile.com

Dall’intreccio tra cultura indigena, scienza occidentale e mondo vegetale, una riflessione su come ripensare il legame tra esseri umani e natura.

Jacob van Geel, Paesaggio con grande albero, 17° secolo, Museo Puškin di Belle arti, Mosca (via Wikimedia Commons)

Nella prefazione al libro di Monica Gagliano, Così parlò la pianta (2022), testo di riferimento per gli studi sulle modalità attraverso cui le piante sentono e comunicano tra di loro, Suzanne Simard, professoressa di forest ecology presso la University of British Columbia (Vancouver, Canada), annota uno spunto illuminante su cui è opportuno soffermarsi. Simard mette in relazione le recenti scoperte scientifiche sulla sensibilità e sull’intelligenza vegetale ‒ rese note da Gagliano, Stefano Mancuso, Daniel Chamovitz, Eduardo Kohn, Anthony Trewavas, ma anche Paco Calvo ed Emanuele Coccia ‒ con la saggezza degli aborigeni del Nord America, depositari dei segreti della vita delle piante e delle foreste. Prima di qualsiasi brevetto scientifico occidentale, è stato il sapere delle comunità indigene a rivelare la dimensione relazionale della vita vegetale, il profondo legame tra uomo e piante, individuando nella vita e nel comportamento delle piante quegli aspetti che oggi riscopriamo attraverso gli occhi della scienza, della filosofia e della biologia vegetale, e soprattutto mostrando la necessità di preservare l’interdipendenza tra ambiente naturale ed esseri viventi.

Autrice di un importante contributo dell’ecologismo mondiale e oggi direttrice del The Mother Tree Project, Simard lavora al tentativo di ristabilire la connessione rigenerativa tra l’uomo e le foreste, cioè con la natura, in un periodo in cui i cambiamenti climatici segnano un profondo mutamento dell’ambiente naturale. Partendo dal concetto di collaborazione delle piante, Simard suggerisce di compiere una vera e propria reimmersione nel mondo vegetale e nelle sue interrelazioni. L’intelligenza e la saggezza della foresta che Simard svela nel suo libro è data dalla relazionalità e dallo scambio di informazioni che la vita sotterranea indica, e che l’autrice ha brillantemente individuato nelle reti micorriziche, sistemi fungini sotterranei che collegano gli alberi e consentono lo scambio di informazioni e sostanze nutritive. Sulla base di queste comunicazioni vegetali, la tesi centrale di Simard intende mostrare che queste reti invisibili rivelano come la cooperazione, e non la competizione, costituisca il cuore dell’evoluzione e della vita naturale.

Prima di qualsiasi brevetto scientifico occidentale, è stato il sapere delle comunità indigene a rivelare la dimensione relazionale della vita vegetale, il profondo legame tra uomo e piante.
La tesi di Simard, tuttavia, affonda le sue radici in un sapere che supera la tradizione scientifica occidentale a cui fa riferimento. Si tratta, infatti, della saggezza indigena dei nativi americani, che aveva già individuato nella collaborazione tra corpi il sistema della natura. Se questo aspetto sfugge, in qualche modo, alla storia della cultura europea, e se questi spunti sono assenti nei curricula accademici e scolastici dei nostri Paesi, sono invece le tradizioni non europee a rivelarne l’importanza. Questo nesso è stato esplorato da Robin Wall Kimmerer nel suo: La meravigliosa trama del tutto (2022). E su questo aspetto meno diffuso tra i lettori vorrei focalizzare l’attenzione.

Direttrice del Center for native peoples and the environment, Wall Kimmerer nel suo libro rivela un magnifico intreccio tra il sapere scientifico, l’insegnamento accademico che ha ricevuto come studiosa di botanica da un lato, e la saggezza indigena dei nativi americani che ha ereditato e acquisito nell’incontro con i membri della sua famiglia, mostrando come queste due vie non siano alternative ma possano coesistere e completarsi. La prima ci permette di conoscere le piante e la natura, in una precisa divisione tra classi e generi, e nello studio oggettivo di come funziona la vita delle piante. Ma agli occhi dell’autrice questo sapere riduce le piante a oggetti separati, distinti dalla vita umana, veri e propri oggetti pronti all’uso. Il rischio concreto è di ridurre coerentemente questo approccio allo sfruttamento della vita vegetale.

In modo diverso, la saggezza indigena svela l’importanza della relazione degli esseri umani con la natura e le piante al fine di conoscerne la bellezza, una relazione che non si limita a un metodo di conoscenza, ma pervade tutte le nostre modalità di comprensione ‒ nel comprendere, infatti, la nostra conoscenza diventa relazione. La radice ecologica risiede nella capacità di individuare e valorizzare questa relazione, ma vi è qualcosa di più, proprio perché questa relazionalità può collegarsi alla scienza della natura. Come sottolineato da Gregory Cajete, nel libro Look to the Mountain: An Ecology of Indigenous Education (1994), questa prospettiva di conoscenza integrale deve coinvolgere le quattro modalità della nostra esistenza, il cervello, il corpo, le emozioni e lo spirito, e se l’aspetto scientifico privilegia due di queste vie va integrato a una sapienza che metta in risalto la relazione con la natura.

In questo orizzonte, Wall Kimmerer colloca la riflessione sulla vita delle piante, alla luce della relazione profonda che la natura instaura tra i diversi corpi. Nella visione indigena, il mondo naturale non è una scala di esseri, nella tirannia del più forte secondo la logica individualista della separazione, ma è una democrazia di specie, quasi come se fosse una circolarità naturale. Al di là della logica dell’economia di mercato, regolata dallo sfruttamento e dalla separazione dei beni, il modello che si sviluppa a partire dalla relazione con il mondo vegetale si fonda sulla cura, sullo scambio e l’incontro, in un abbraccio che segue la logica del dono e della reciprocità: coltivare la natura o raccogliere un frutto non è, quindi, una mera appropriazione, anche se quel frutto poi verrà mangiato dal suo raccoglitore, e non lo è nella misura in cui si stabilisce una rete relazionale profonda e uno scambio mutuale, sostiene Wall Kimmerer.

Nella visione indigena, il mondo naturale non è una scala di esseri, nella tirannia del più forte secondo la logica individualista della separazione, ma è una democrazia di specie, quasi come se fosse una circolarità naturale.

Se la scienza occidentale ha piuttosto distinto e isolato l’altro, l’autrice mostra un ulteriore intreccio con l’insegnamento delle piante, che svela come funziona l’interrelazione vitale tra i diversi corpi. La coordinazione che, per esempio, si nota tra la fruttificazione e la raccolta di frutti compiuta da alcune specie animali, denota secondo l’autrice una sincronicità che va oltre la mera relazione ambientale, e sembra piuttosto confermare l’attività comune e la capacità di dialogo tra i diversi corpi naturali. Un insegnamento che si acquisisce dalla natura, e che quindi abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ma che è stato codificato in modo efficace della sapienza tradizionale indigena. Tra gli esempi, vi è quello di un’erborista Navajo che sostiene vi siano legami duraturi tra determinate piante, così rivelando una sorta di simbiosi e di scambio comunicativo in una relazione sostenibile con l’ecosistema. Da ultimo, questo insegnamento trova conferma negli studi sulla simbiosi con i funghi – sono infatti i lavori di Simard ad aver mostrato l’importanza delle reti micorriziche nel costruire una catena di interrelazioni e reciprocità mediante cui le piante comunicano tra di loro e stabiliscono una connessione vitale fondamentale per l’intero ecosistema.

Che cosa altro ci dice questo aspetto? Secondo Wall Kimmerer, la vita delle piante indica la possibilità di ripensare la natura non come oggetto da sfruttare, ma come relazione. C’è di più: l’autrice definisce questa relazione come un dono, la cui caratteristica centrale è lo scambio reciproco e l’attenzione e la cura dell’altro (di chi coltiva la pianta, ma anche della pianta stessa verso chi la abita). In tal senso, questa relazione apre implicitamente l’orizzonte a un sistema economico e sociopolitico fondato sullo scambio e sulla cooperazione, e quindi contrapposto a certe, numerose derive dell’economia di mercato e della globalizzazione, come ad esempio le pratiche di sfruttamento delle risorse naturali, che sono alla base della crisi ecologica attuale. In alternativa a queste relazioni negative tra uomo e ambiente, sviluppatesi nella cultura occidentale, Wall Kimmerer riporta una serie di storie della tradizione orale indigena americana, al fine di mostrare le possibilità di una relazione positiva con l’ambiente, che non è utile solo a preservare la natura ma serve, in qualche modo, anche agli esseri umani: la ricerca della felicità, per esempio, trova la propria realizzazione in una relazione sostenibile con l’ecosistema naturale, in una reciprocità ultima che l’autrice ha sperimentato raccogliendo fagioli.

A lezione dalle piante (prima parte) – Continua

(*)  Fabrizio Baldassarri è fellow presso Villa I Tatti (Harvard University) e dirige un progetto di ricerca “Constructing the Environment” presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università Statale di Milano.

L’articolo è ripreso da: https://www.iltascabile.com/scienze/

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