proposto da Enzo Di Fazio
Quante volte tra amici, parenti o conoscenti, incontrandoci, il discorso scivola su come stanno i figli o i nipoti e su cosa fanno.
E quante volte, parlando di studi, esce fuori che Andrea sta seguendo un corso Erasmus di economia avanzata a Bruxelles e Gianna, laureanda in bioingegneria, andrà presto a Berlino per lavorare su esperimenti di biologia molecolare, studi utili per la tesi che sta preparando…
Discorsi comuni che ci capita di fare sicuramente spesso.

L’Erasmus è una delle opportunità – quella relativa agli studi e alle prospettive di lavoro – che, in tempi di isolazionismi e di chiusura, hanno tutti i giovani che appartengono alla bistrattata Europa. Ne tenessero conto gli inossidabili euroscettici.
Non tutti sanno, però , che se abbiamo l’Erasmus lo dobbiamo ad una italiana, a Sofia Corradi, una pedagogista dell’Università Roma Tre che ha dedicato una parte importante della propria vita universitaria alla realizzazione di un sogno. Quello dello scambio culturale tra i giovani europei.
L’idea ebbe origine nel 1969 quando Sofia Corradi era consulente scientifico della Conferenza permanente dei rettori delle università italiane, un ruolo che le permise di far conoscere la sua idea in ambito accademico e istituzionale.
Nel 1976 il progetto approdò presso la Comunità Economia Europea e dopo un periodo di sperimentazioni (il decennio che va dal 1976 al 1986) il modello di mobilità degli studenti con riconoscimento di crediti divenne il Programma Erasmus che negli anni si è poi ampliato e diversificato diventando quello che oggi conosciamo come Erasmus+.
Sofia Corradi due giorni fa è morta. Aveva 91 anni e ormai tutti la conoscevamo come mamma Erasmus.
In ossequio alla cultura e a chi si adopera per diffonderla, nella consapevolezza che più cultura vuol dire più libertà, propongo la lettura dell’ articolo che Elena Dusi, le ha dedicato attraverso le pagine di Repubblica
Addio mamma Erasmus, la prof che inventò i viaggi studio all’estero di Elena Dusi (da la Repubblica del 19/10/2025)
È morta a 91 anni Sofia Corradi, pedagogista di Roma Tre. Disse: “Ho provato a rendere migliore il futuro dei giovani”
Il progetto Erasmus per Sofia Corradi «non era tanto uno strumento per trovare lavoro, ma un innamoramento». La docente di pedagogia dell’università Roma Tre si era battuta 18 anni per rendere concreto lo scambio di studenti universitari europei varato nel 1987. Ieri, quando la famiglia ha dato notizia della sua morte a 91 anni, Corradi è stata salutata con il soprannome che si era guadagnata per questo impegno: mamma Erasmus. «L’ho fatto con spirito materno, come fa ogni mamma che prova a rendere migliore il futuro dei figli» è la spiegazione ufficiale, da lei fornita nel libro Erasmus ed Erasmus plus, la mobilità internazionale degli studenti universitari, fruibile gratis sul sito sofiacorradi.eu (dove il suffisso europeo non è casuale).
È anche vero però che dagli incontri fra i 16 milioni di studenti che hanno partecipato al programma in quasi 40 anni sono nate molte famiglie e — secondo un calcolo totalmente non ufficiale — un milione di bambini. Tutti figli dell’Erasmus e quindi, indirettamente, di Corradi.
«Aveva una personalità esplosiva, un entusiasmo travolgente. Credeva nell’educazione e nei giovani» ricorda Massimiliano Fiorucci, rettore di Roma Tre. Sempre a proposito di innamoramenti, è stata una cotta per un ragazzo americano a spingerla a partire per New York. Il padre, ingegnere delle ferrovie, viaggiatore per definizione, accettò purché fosse accompagnata dalla sorella. Alla Columbia studiò per un anno, tornando con un master in Diritto Comparato. Quando chiese alla Sapienza il riconoscimento, si sentì ridere in faccia, come chi fosse appena tornato da una gita di piacere. La rabbia per quel rifiuto è stato l’atto di nascita del progetto Erasmus.
Ce ne sarebbe voluta di fatica, ancora. «Il fattore che negli anni Sessanta caratterizza il sistema universitario italiano — scrive Corradi nel libro — è l’inerzia. Le difficoltà legali, regolamentari e amministrative sono quasi insuperabili». Lei nel frattempo diventa docente e a partire dal ’67 inizia a distribuire in centinaia di copie ciclostilate il suo progetto a rettori e ministri: «Lo studente, anche se non appartenente a una famiglia residente all’estero, può chiedere di svolgere parte del suo piano di studio presso università straniere, presentandolo all’approvazione del Consiglio di Facoltà. Il Consiglio di Facoltà potrà dichiarare l’equivalenza, che diventerà effettiva dopo che lo studente avrà prodotto la documentazione degli studi compiuti all’estero e degli esami ivi superati».
Il progetto pilota è stato approvato da Bruxelles nel 1976 ed è diventato definitivo 11 anni più tardi. I primi studenti sono partiti con una borsa di studio da 2 milioni di lire, da far bastare per un anno. «Al ritorno — spiegava lei — lo studente di Ingegneria che partecipa all’Erasmus non diventa tanto un migliore ingegnere, quanto una migliore persona»







