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Nell’accezione ponzese, il termine “razza” ha un significato tutto particolare. Mi spiego meglio con qualche esempio.
Sono reduce da un soggiorno di tre giorni a Ponza da dove mancavo almeno da cinque anni; fisicamente, intendo perché poi tra il sito, gli scambi con gli amici ponzesi, le foto e i video che mi arrivano, la frequento tutti i giorni; come se non fossi mai andato via. Sull’isola ho incontrato molte persone, casualmente per strada o perché sono andato a trovarle. Tutti incontri gradevoli.
Una delle mattine, davanti alla pescheria d’u Iscaiuolo, in un gruppo che stava chiacchierando, vedo Amerigo Feola, vecchia conoscenza. È stato anche qualche volta al casale agli incontri fondativi di Ponzaracconta ed ha partecipato a diverse raccolte di kiwi.
Rimane solo un attimo interdetto, poi ci abbracciamo con trasporto. Dopo le usuali domande sulla salute, quasi a spiegare l’incertezza iniziale, mi dice:
– T’aggie canusciute d’a razza! – Ti ho riconosciuto dalla razza.
Questo è un tormentone che conosco bene. Pare che io somigli nella complessione generale, nel modo di gesticolare, di parlare perfino, al fratello di mia madre, a mio zio Elio Zecca. Me lo disse la prima volta, Pepp’ ’a Culera, seduto davanti alla sua pizzeria Il Timone, all’uscita dal grottone di Sant’Antonio, quando zio era morto da poco e io ero parecchio più giovane (erano grandi amici).
– E tu a chi appartiene? ’U ssaie che m’he fatte mètt’ a ppaura!? Ascìve d’u scure d’u ruttone e me venive incontro. Aggie ditte: “E che ce fa cca Elie Zecca? Nunn’è che m’he venute a piglia’?
I ponzesi hanno questa abilità: di isolare e riconoscere qualche singolarità, di volta in volta nei tratti del volto, una mascella prominente, un volto largo, un modo di camminare, come caratteristica familiare. A dire di mia cugina Irma io somiglio al padre più dei suoi stessi fratelli e recentemente ho ricordato come Mariarosa, di recente scomparsa, mi ringraziava a volte dopo delle cene, per averle fatto passare alcune ore insieme al suocero (Elio Zecca, appunto) cui era molto affezionata.
Quindi nel catalogo ponzese io sono “razza Zecca”.
E non solo lei. Sempre a Ponza ho voluto incontrare Bixio che è venuto apposta da le Forna, e siamo stati a lungo a parlare su una panchina davanti a Ricciolino. Tante chiacchiere, scambi e confronti di idee, su Ponza, sul mondo, sulla vita e sulla morte.
Ci siamo salutati con un abbraccio.
Qualche ora dopo mi ha mandato un messaggio whatsapp:
– Le radici, la provenienza, sull’isola si ripresentano sempre, ti riconoscono anche senza documenti, si vede subito che appartieni a quella famiglia.
Insomma, pare che i ponzesi sentano il bisogno di identificarsi per “famiglie”. Ne ha fatto le spese la moglie di mio fratello, francese, molto indipendente che nella sua prima visita sull’isola (evidentemente in una stagione diverse dall’estate, in cui certo non si fanno certe domande), quando entrava per la seconda volta da sola in un negozio le chiedevano “a chi apparteneva”. E siccome lei mostrava di non capire, le spiegavano meglio: Inzomma… ’i che razza site?
Lei evitava di rispondere, ma poi, quando tornava da Renzo – del tutto inconsapevole e innocente – se la prendeva con lui:
– E sappiate, tu e i tuoi compaesani, che io non appartengo a nessuno, e quanto alla razza, lasciamo perdere! Io qui non ci torno più!
Poi invece ha capito che la domanda non era per niente offensiva, ci è tornata molte volte e le è piaciuto molto.
Immagine di copertina. Il frontespizio di uno dei numeri della pubblicazione fascista ‘La difesa della razza’ (1) (2).
Note
(1) – La difesa della razza fu un quindicinale italiano diretto fin dal primo numero (5 agosto 1938) da Telesio Interlandi e venne stampato, con cadenza regolare, fino al 1943 (l’ultimo numero, il 117º, risulta uscito il 20 giugno 1943) dalla casa editrice Tumminelli di Roma. Esso fu il principale strumento antisemita del regime fascista, destinato a promuovere le leggi razziali fasciste (promulgate e approvate in Italia a partire dal 1938). Questo il primo numero del giornale:

(2) – Uno degli aneddoti più diffusi sarebbe quello secondo cui Albert Einstein, al suo arrivo negli Stati Uniti nel 1933, dovendo compilare il modulo per lo sbarco a Ellis Island, alla voce “razza” avrebbe scritto “umana”.








