di Francesco De Luca
La parola scritta ha forza maggiore della parola oralmente tramandata. Perché la parola scritta è meno suscettibile di essere dimenticata, di subire modifiche legate alla sua memorizzazione. Essa è codificata in modo quasi imperituro.
E tuttavia, se ci si tiene fermamente ancorati a questa premessa, appare difficile, almeno così è per me, trovare il significato del nome Gavi, dato all’isoletta quasi legata a Ponza e da essa distante 130 metri circa.
E’ uno scoglio con superficie ridotta, che non ha guadagnato, nella storia dell’ arcipelago, un’importanza tale da risultare identificata.
Fu la colonizzazione borbonica a dare importanza alla sua consistenza territoriale e ad attribuirle un rilievo degno di nome proprio. E il Mattej, che voleva pubblicizzare i territori periferici del Regno di Napoli nel 1847, denomina quello scoglio isola di Gabia o Gavi.
Da allora, nei libri ove si parla dell’arcipelago ponziano, è nominato Gavi. E non è più mutato.
Ma, per quanto abbia tentato, ho trovato impossibile attribuire un significato alla parola Gavi.
Ora, poiché sono dell’opinione che specie i nomi dei luoghi, debbano avere un significato che li giustifichi, ho elaborato questa ipotesi.
Essa parte però non dall’espressione scritta bensì da quella orale, dialettale.
Orbene in ponzese l’ isola di Gavi si dice Lesigavie, tutto intero. E’ una espressione che comprime l’equivalente italiano di isola di Gavi.
L’espressione dialettale nella sua semplicità evidenzia però una particolarità.
Spiego: per dire andiamo a Palmarola diciamo: iammo a Parmarola; per dire andiamo a Zannone diciamo:: iammo a Zannone; per dire andiamo a Gavi diciamo: iammo a Lesigavie.
Cosa voglio sottolineare? Voglio sottolineare che Palmarola e Zannone vengono denominate singolarmente, mentre per
Gavi si ricorre ad una espressione contratta, appunto Lesigavie. Segno, forse, che all’origine nella denominazione ci fosse imprescindibilmente l’espressione isola di …
Se questa ipotesi fosse giusta occorrerebbe spiegare soltanto quel Gavi cosa significhi. Ebbene gavia vuol dire gabbiano e isola delle gavie è un modo per dire isola dei gabbiani.
Ho già assicurato che questa mia è una semplice ipotesi esplicativa. Non ha la presunzione di primeggiare su altre, nel caso ci fossero. Essa tenta di togliere dall’ignoranza una denominazione, e vuole avvolgerla di un significato, come è doveroso che sia.
Se l’ipotesi presentata è corretta conseguono altre considerazioni. La prima è che l’isolotto, appellato dai monaci benedettini di Santa Maria nel 1200, San Martino, mancava di un toponimo consolidato, e la sua identificazione, da parte dei monaci, era del tutto strumentale, per cui l’isolotto era stato, per così dire, messo, con quel nome, sotto una qualche protezione divina.
Passato il momento storico dell’occupazione monacale delle isole, del nome di san Martino non si trova più traccia. Bisogna attendere il Tricoli e il suo Arcipelago ponziano del 1857 , per rivederlo comparire negli scritti.
D’ altra parte ci si ricordi che il nome Ponza deriva dall’indicazione greca delle cinque isole. E dunque da Penta. Poi, i Volsci assunsero il nome Penta trasformandolo in Puntia ( vede Raffaele Castrichino—Grecità toponomastica delle isole ponziane, delle paludi pontine, del Circeo e di Terracina—Arti grafiche Caramanica—Scauri 1988 ).
Le cinque isole ( Ponza—Ventotene—Palmarola—Santo Stefano—Zannone ) senza Gavi. Essa trasse importanza con la colonizzazione borbonica e la conseguenza spartizione del terreno ( tutto quello possibile ) ai coloni. Ai quali erano state date particelle di terreno in conseguenza del censimento.
Ma lasciamo questi argomenti che, seppur attinenti, non sono pertinenti all’argomento.
E dunque, Gavi fu nominata tale dai coloni, o meglio, bisognerebbe dire, fu indicata con un nome per i coloni, per rendere loro la vita più agevole. Da chi? Da chi diede ad essi anche un santo Protettore, una chiesa, un presidio militare, un cimitero e altro, ossia dall’ Autorità statale e da quella religiosa.
E si spiega perché non fu utilizzato il termine comune gabbiano bensì quello più ricercato di gavia.
Non fu il popolo a decidere.
Anche se si prese la rivincita perché, dall’espressione aulica isola delle gavie, coniò quella dialettale e più orecchiabile di Lesigavie.
Il Mattej tradusse in italiano l’espressione che ascoltava dai paesani e, senza farsi domande
ulteriori, trascrisse L’isola di Gavi. Sbagliando, perché italianizzò l’espressione dialettale senza capirla.
Lo stesso errore lo commise allorché tradusse il nome dialettale dello scoglio più grande delle scoglietelle ( fra Gavi e Zannone ), lo scoglio chiamato ruosso, lo tradusse scoglio rosso. Rosso, come il colore. Mentre in dialetto significa grosso. Lo scoglio grosso, ossia più voluminoso.
Un’altra considerazione mi viene da presentare.
Gavia non è parola tanto distante dalla storia dei ponzesi perché verosimilmente così venne chiamato lo scoglio che
nella conca del porto si mette in mostra. Parlo di quello scoglio che viene chiamato RAVIA ( così lo chiama anche il Mattej ) il cui significato appare incomprensibile.
Mentre già l’espressione presentata dal Tricoli ( Monografia per le isole del gruppo ponziano—1857 ) è più condivisibile, Lo chiama lo scoglio della Rada.
RADA dunque, da cui è facile poter passare, per modifiche dialettali, ‘a RAVIA.
Decisamente più vicina e condivisibile è l’ipotesi che forse lo scoglio ebbe nome Gavia.
Non lo dico io. Questa è una cartolina datata. E dice proprio GAVIA.
Io condivido questa denominazione proprio perché la ricercatezza del vocabolo, non venendo compresa dagli isolani, venne storpiata dal dialetto. Il cui intento è più ‘indicativo’ che ‘conoscitivo’. O Gavia o Ravia l’importante è capire e farsi capire.
So bene che questa mia tesi è più sentimentale che scientifica, perché non si addentra nelle fonti storiche, che son poche e tutte indistinte.
Non c’è un autore che per Gavi presenti un significato certo. Così come per Ravia.
Ecco perché mi sono lasciato tentare da quanto suggeriva l’espressione dialettale Lesigavie.








