Ambiente e Natura

La bellezza e il dolore del presente

segnalato da Sandro Russo da la Repubblica

La bellezza e il dolore del presente
di Concita De Gregorio – Da la Repubblica del 6 ottobre 2024

I corpi che sfilano camminano come un’umanità in viaggio, un esercito disarmato

Tutto accade nello stesso tempo, nello stesso spazio. Tutto quel che accade dice qualcosa di un pezzo di mondo, come tessere di un solo mosaico, e allora sì: vale la pena uscire dalla manifestazione che invade le città, che accende moltitudini, promette di cambiare il verso della storia, e con gli occhi ancora pieni di ragazzi in fiamme andare a vedere cosa succede di là dal confine, a Parigi, dove nella elitaria sontuosa parata di stelle che è la settimana della moda un italiano debutta alla guida creativa di una delle più antiche e prestigiose maison di Francia. Distanze siderali, mondi che si danno le spalle — agli antipodi — eppure nessuno può ignorare nessun altro in questo tempo di immagini che ci sommergono e ci convocano, e allora chiedersi: come si fa, mentre di là dal mare la sofferenza è all’apice estremo, a raccontare una storia che parli dell’oggi in una lingua che non è fatta di parole, la lingua — pure universale e così popolare — della bellezza, della moda?

Chiedersi: è possibile? Esiste un punto di contatto fra l’industria del lusso, la creatività, l’arte di chi immagina la bellezza in forma di visione e il tempo presente, così doloroso e povero di giustizia, così pieno solo di quello che ci manca? Perché se così non fosse, allora a cosa servirebbe alimentare desideri inaccessibili alle moltitudini se non ad aumentare la distanza fra chi ha tutto e chi niente?

Solo a generare profitti? È immensa, la distanza. Ma bisogna percorrerla perché tutto sta insieme a questo mondo, tutto in forme e momenti diversi ci dice, allo stesso tempo, e ci parla. Tutto è sempre qui, è sempre adesso. Tutto si tiene. La bellezza, anche e soprattutto dove non c’è, è un pensiero che ripara e ristora, sempre: è un moto a luogo, tendere verso. È movimento, dunque futuro.
A Parigi debuttava sabato scorso Pierpaolo Piccioli alla guida di un marchio francese, Balenciaga.
Cristóbal Balenciaga era un sarto basco, un couturier spagnolo che rivoluzionò per sempre e per tutti l’idea di eleganza. Semplice, artigianale, frutto di studio, essenziale. Lo fece durante l’occupazione nazista. Coco Chanel si compromise con il regime, lui assai meno, per quanto possibile: è sempre stato un equilibrio incerto e mobile, demandato alla coscienza personale, la relazione fra la bellezza altrimenti possibile, sempre possibile, e la Storia.
Dunque come, dunque cosa, adesso? Non sono un’esperta di alta moda, non sono qui a parlare di abiti ma di persone e di idee.
Racconto quel che vedo perché questo desidero e devo. L’autista del taxi che mi ha accompagnata a destinazione, a Parigi, si chiama Hassen, è marocchino. Mi ha detto voi italiani, come gli spagnoli, sentite più forte il dolore di chi soffre perché siete stati educati dalla religione cattolica, qui in Francia meno. Voi conoscete la passione di Cristo, voi conoscete la pietà. Sono rimasta a lungo a parlare con lui prima di entrare. La
Pietà di Michelangelo l’ha mai vista? No. Gliela mostro. Bellissima, grazie.

Poi di colpo l’altro mondo, che segue le regole del suo protocollo. I tappeti rossi, le principesse e le star, le tv del mondo intero. Ma. A parte tutto il celebrato resto. Ecco quel che si trova all’ingresso di questo spettacolo preparato in poco tempo, troppo poco per pensarci abbastanza, da un giovane uomo che vive a Nettuno, Roma, Italia. Nebbia. Nebbia che impedisce di vedere il cammino e barcolli. Il suono di un cuore che batte, un pulsare continuo, fortissimo, tu-tum. Una scena — il luogo della sfilata — fatta a forma di croce. Una mappa disegnata nelle retrovie: ecco come le modelle dovranno camminare percorrendo la croce. Avanti nel lato basso, quindi a sinistra della croce, poi ancora avanti, lato alto, poi destra, infine ritorno. Una croce. La passione, la colpa, il perdono.
Piccioli è nato e vive a Nettuno, dicevo. Dove un giorno del ’44 sono sbarcati gli americani per aggirare il fronte tedesco e liberare l’Italia. È nato l’anno in cui Balenciaga, che con i tedeschi aveva avuto ogni giorno a che fare durante l’occupazione di Parigi, ha disegnato la sua ultima collezione: il 1967. The end and the beginnig, ha intitolato la sua prima immagine di questo nuovo inizio.

Metto in fila ciò che vedo, allora. Corpi. Cuore — il battito del cuore come colonna sonora. Pelle nuda. Corpi liberati dal peso degli abiti. (Mi diranno, le sarte, che la grande rivoluzione di Balenciaga fu anche realizzare un tessuto che non pesava niente: due fili in orizzontale anziché uno, due in verticale. Anziché appesantire alleggerivano. Un modello di Dior pesava quattro chili, uno suo novecento grammi: liberare le donne dal peso. Meno peso più volume. Quindi: più corpo). Aria, infatti. Vento. Aria che si frappone fra il corpo e l’abito, aria che determina l’abito, lo costituisce e lo disegna. Dunque leggerezza, vedo. Figure sottili e lunghe, figure che sembrano sculture di Giacometti, Brancusi.
«Non saprei dire se sempre né perché, ma nei tempi di grande dolore i corpi, nell’arte, si allungano e tendono al cielo», dice Piccioli in un momento a tarda sera. Questi corpi che sfilano sembrano canne di bambù: puntano il cielo, si muovono al vento, si flettono e non si rompono.

Degli abiti altri diranno. Dei corpi, importa qui. Sono esposti. Indossano infradito, le scarpe del mare. Le calzature più semplici, quelle di chi non ha scarpe. Il mare, le rive, le spiagge. Ragazze in fiamme: bellissime ma in fiamme. Camminano nella pianta a croce — camminano nel cuore di Parigi, mentre un battito di cuore rimbomba la notte — come un’umanità in viaggio. Come un esercito disarmato. Hanno le pance scoperte, moltissime di loro. La prima cosa che difendi, istintivamente, quando qualcuno o qualcosa ti assale, è la pancia. È un moto universale di chiunque sia umano. È lì la sede della vita. Le ragazze di Pierpaolo Piccioli — la sua idea di mondo, di questo mondo — hanno il ventre nudo e lo esibiscono proprio come fanno le nostre figlie arrabbiate in piazza. Suonano musiche del Novecento, intanto. Musiche che tutti conosciamo e che tutti sappiamo ripetere e danzare: quelle che da giovani ci hanno resi felici. Le modelle, che portano nei volti storie di colori, etnie e genere di ogni genere, incedono marziali e determinate portando le loro infradito ai piedi sotto abiti scultura fatti di vento che non sai, non capisci come possano stare in piedi e resistere. Alla forza di gravità, oltre che a tutto il resto. Hanno le pance scoperte perché non hanno paura, pensi. Hanno pance scoperte perché nel mondo che viene, speriamo domani, nessuno sparerà.

[Concita De Gregorio, da la Repubblica del 6 ottobre 2024]


Immagine di copertina: Sfilata di moda a Milano, da https://serrapresidente.blogspot.com

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