Raniero da Ponza

Insieme a Raniero da Ponza

di Francesco De Luca

 

Riprendo il filo delle riflessioni da dove l’ho interrotto nell’ultimo articolo dedicato a Raniero da Ponza (leggi qui).
C’è da meditare… e sì perché la nomina a cardinale, al tempo di Raniero, non era ( e non lo è oggi ) una carica di poco conto.

Raniero, pur esercitando la funzione di Legato pontificio per conto di papa Innocenzo III ( 1161 – 1216), lo fa da semplice monaco benedettino.

Prima nel regno di Navarra ( il 16 aprile Innocenzo III scrisse al «dilecto filio Rainerio», inviandolo in Spagna e affidandogli lo scioglimento del matrimonio tra Alfonso IX, re di León, e Berengaria, figlia di Alfonso VIII di Castiglia; avrebbe dovuto inoltre ristabilire la pace tra quest’ultimo e Sancho VIII, re di Navarra ), dove c’è da dipanare una questione dinastica. Poi in Linguadoca ( Nel 1200 gli venne affidata la missione speciale della predica contro gli eretici nella Francia meridionale[6], nella Contea di Tolosa – catari albigesi in Linguadoca e Provenza[7]–  incaricandolo di procedere contro i ribelli con la scomunica e l’interdetto, ma con la possibilità di sciogliere dalla condanna i pentiti. Il Pontefice nutriva ancora la speranza di ottenere risultati positivi mediante l’intervento di questo cistercense, che aveva conosciuto direttamente il tormento e l’angoscia che hanno caratterizzato i movimenti ereticali e di rinnovamento…) dove la pressione del Catarismo è forte e non fa sconti all’ Autorità papale.

Papa Innocenzo III

Sono anni di un tramestìo difficile nelle comunità cristiane. Dove il Clero cerca proseliti sui quali imporsi. E dove i Nobili cercano di erodere l’assoggettamento del popolo alla Chiesa per subentrare nel comando.

Per il popolo il potere spirituale si concretizzava nell’ossequio al culto, ai riti, alle devozioni. Il che comportava anche offerte, lasciti, dazi, da dare alla Chiesa, o meglio, ai rappresentanti  della Chiesa, ovvero al Clero.

Il potere materiale si concretizzava sul popolo con i dazi e con le leggi e con l’obbligo dell’esercizio militare, ove richiesto.

Si raggiungeva così una  combinazione esiziale per il popolo. La nobiltà si affiancava al clero. E, insieme, affamavano il popolo.

Le sortite di ribellione che esplosero nel corpo della cristianità ( mi riferisco a Gioacchino da Fiore, a san Francesco, a san Domenico, ai Catari, agli Umiliati,  di cui ho scritto nell’articolo precedente ) furono tutte nel segno della povertà. Quella lodata dai Vangeli. E’ questa condizione esistenziale che si cercò di spiattellare in faccia ai Potenti affinché essi rigettassero l’ingordigia, l’avidità, l’arroganza.

Antica xilografia raffigurante Gioacchino da Fiore nel suo studiolo (da Wikipedia)

Raniero da Ponza, è chiaro in quale zona si attestò, fra il privilegio e l’intransigenza, fra la povertà e il comando.

Non voglio appesantire lo scritto ma mi preme sottolineare come la scelta di frate Raniero non sia stata una cosuccia da poco. Permanere nello stato monacale pur essendo investito dal Papa di responsabilità enormi, come si evidenziò nella storia del Cristianesimo la crociata degli albigesi, sia da giudicare un comportamento oltre che  ‘distintivo’ di un carattere, anche di grande valore morale.

Per essere chiari: Raniero non riuscì nell’intento di riportare in seno alla Chiesa i Catari. Abbandonò la Linguadoca e ritornò in Italia.
Il Catarismo riprese vigore e si scontrò col Vaticano che organizzò contro la crociata albigese. Sanguinosissima ed efferata.

Se ne riparlerà.

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