Ambiente e Natura

Jane Goodall, in due brevi memorie di Concita De Gregorio

segnalati da Sandro Russo, due scritti di Concita De Gregorio da la Repubblica del maggio 2024 e di ieri, 3 ottobre 2025

La lezione di Jane Goodall
di Concita De Gregorio – Da “D” di Repubblica del 27.05.2024

“Un abbraccio, il pianto, lo sguardo”

Cosa ho imparato in cinque minuti sull’amore, che non avevo capito in cinquant’anni. (Sull’amore sulla parola e sul corpo, sul legame coi figli e per estensione con chi si ama: in cinque minuti. Si vede che era arrivato il momento, finalmente).
I fatti sono questi. Sono andata ad ascoltare Jane Goodall, 90 anni, etologa, antropologa, inglese. Doctor Jane, così tutti la chiamano, aveva poco più di vent’anni quando è partita per l’Africa e ha iniziato a studiare il comportamento dei primati. Scimpanzè, gorilla. I primati sono, nella catena evolutiva, gli esseri viventi più prossimi all’uomo. Manca loro soltanto la parola, dice Doctor Jane. Alcuni video assai celebri la mostrano mentre li abbraccia. Uno, in particolare: si tratta di un gorilla enorme, nero. Jane Goodall è piccola di statura, esile di struttura, è bionda, ora bianca, e ha la pelle chiarissima. Il contrasto non potrebbe essere maggiore. Questo gorilla era in cattività fin da cucciolo. Jane lo ha riscattato e poco a poco, per mesi, è andata con lui nella foresta: ogni volta un poco più avanti, accompagnandolo in silenzio. Un giorno alle soglie della selva il gorilla si è fermato, si è voltato verso Jane, l’ha abbracciata. Sono rimasti così, lei ad occhi chiusi, poi lui è andato via da solo. Lei ha sorriso.

Alla fine di questa mattinata mi sono avvicinata per salutarla. Le ho chiesto se potessi abbracciarla, non so cosa mi sia preso ma le ho chiesto proprio questo: posso? Lei ha fatto un cenno con la testa e ho ricevuto il suo abbraccio. Cerco di spiegarvelo: è un abbraccio fermo ma largo, lascia uno spazio minimo che corrisponde, mi è parso, a un ascolto. Se vuoi restare resta, se vuoi andare vai, intende dire. È un abbraccio che non trattiene. Cinge ma non costringe. In quel preciso momento, dentro quelle braccia che mi contenevano ma non mi obbligavano, sono scoppiata a piangere. Un pianto a singhiozzi, non saprei dire perché né ricordo di aver pianto così da molti anni. Lei non ha detto niente, non mi è parsa sorpresa: è semplicemente rimasta lì, immobile, a guardarmi. C’erano centinaia di persone attorno, tutti volevano salutarla, fare una foto, darle un dono. Ma lei è rimasta ferma fino a che non ho smesso di piangere, poi con un piccolo sorriso mi ha fatto una carezza e lentamente si è rivolta altrove, è scomparsa sovrastata da adolescenti più alti di lei. Cinque minuti: l’abbraccio, il pianto, lo sguardo che vede. In quei cinque minuti ho sentito la sua vita e la mia.

I primati non parlano. La relazione che puoi stabilire con loro passa dal corpo: lo sguardo, i gesti. Dal rispetto. Un gorilla ti uccide, se si sente minacciato. Un gorilla non lo puoi trattenere né stordire di parole: lo devi amare lasciandolo libero. Per me, nella vita, lasciar andare le persone amate è stata la cosa più difficile. Ho parlato tanto, troppo. Ho stretto e trattenuto. Non ho rispettato il desiderio di chi voleva andare, ho anteposto il mio. Non è servito, naturalmente. Adesso lo so, come è fatto l’abbraccio e lo sguardo di chi c’è, se vuoi, ma ti lascia se lo desideri. È meraviglioso, fa piangere di felicità.

Invece Concita
Miss Jane e il potere del corpo
di Concita De Gregorio – Da la Repubblica del 3 ottobre 2025

“I bambini gli abbracci e la similitudine con la Flotilla”

Jane Goodall era fatta di vetro e di acciaio. Era piccola e candida, la pelle nivea come i capelli, lisci e lunghi, raccolti in una coda. Gli occhi stupiti e ridenti, curiosi e mobili, occhi di bambina adulta. Quando un anno fa, era il 2 maggio del 2024, aveva 90 anni, è arrivata a Roma e fra le moltissime attività di quei giorni ha incontrato, a un certo punto, centinaia di bambini di molte diverse scuole. I bimbi, tutto attorno a lei, la sovrastavano in altezza. Ci spariva in mezzo. Sembrava, a vederla, di non poterla toccare, si sarebbe rotta altrimenti: come certe porcellane di biscuit che stavano in salotto, a casa della nonna, su un centrino di velluto. Invece era fortissima. La sua stretta di mano era come una morsa che si stringe attorno alla tua fino a un attimo prima di farti male, poi si ferma, ha sentito il punto esatto, e resta lì. Il suo abbraccio, identico: un abbraccio che contiene senza trattenere. Che Jane — così la chiamavano tutti i bambini, Miss Jane — sia morta nel giorno in cui le barche della Flotilla venivano abbordate dai militari israeliani e gli attivisti a bordo, seduti in cerchio con le mani in grembo, mani disarmate, venivano portati via di peso mi ha fatto pensare al potere dei corpi. Questo hanno in comune le persone che sono partite per mare e la minuscola immensa Miss Jane. Il corpo in campo, esserci col corpo. Che è forte e fragile, che suda e soffre, che ha fame e sete, si ferisce e si rimargina. Che sembra che un scimpanzé possa stritolarlo — non metterti in pericolo! — che un drone possa colpirlo a morte — non farlo, torna indietro! — e invece no. O certo sì, è una possibilità, ma più grande è la capacità del corpo di resistere, enorme è il suo valore quando si manifesta. Quel giorno Miss Jane parlò ai bambini dei sentimenti degli animali, che certamente — disse — “hanno una personalità, proprio come noi, e sono tristi e felici e cosi via”. Quando ci congedammo le chiesi se potevamo abbracciarci. “Dobbiamo, tutti dovrebbero”, rispose.

 

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