di Francesco De Luca
Segreto? E’ un modo di dire. Di segreto non ha niente. Dimenticato sì, negletto, perché lo apro di rado.
C’è un libricino che acquistai con impeto. Avevo 14 anni e stavo in seminario. Mi fu consigliato dal mio ‘Prefetto’ – così erano chiamati i preti che vigilavano sulle ‘camerate’ (dormitori). Nella mia eravamo in quattordici e il Prefetto era don Ettore Santoro. Un pretino ordinato da poco.
Don Ettore, l’unico prete di cui ho un ricordo soltanto di ammirazione. Aveva lasciato gli studi brillanti a 21 anni e, dopo tre anni di seminario ad Anagni, era stato ordinato sacerdote.
Rigoroso, brillante, comprensivo, illuminato. Tutto dedito agli altri in cui vedeva Dio.
Me lo consigliò lui. Un libricino dalle pagine delicate. Imitazione di Cristo. Un libro inutile. Tanto devoto quanto irreale. Riempie la testa e svuota l’animo, o, riempie l’animo e svuota la testa.
C’è anche questa poesiola. Zì Veruccella, ossia zia Silveria. Senza marito, né figli, sola… e noi nipoti… vicini col corpo, lontani col cuore.
Zi’ Veruccella
Lampe e truone ( 1 )
stregneno
comme nu chiappe ‘u cuollo,
e attuorno
a paura ce fa pitte pitte ( 2 ).
“Misere a nuie”-
murmuliava zi’ Veruccella,
e gerava ll’uocchie
‘a chille squarce ‘i luce
c’ arapeveno ‘u cielo.
“ Che simmo ncopp’ a sta terra!
Porvere ca ‘u viento sperde!”
Note: 1 – tuoni; 2 – piccoli piccoli.
Versione recitata
