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Un piede nel futuro e uno nel Medioevo

segnalato da Sandro Russo da la Repubblica di ieri

Il futuro ‘distopico’ di tanti libri e tanti film visti è già qui. Vediamo realizzate molte delle agnizioni di “1984”, di George Orwell (del 1949), abbiamo ‘il grande fratello” e tanti degli aspetti de Il mondo nuovo – Brave new world, di Huxley (1932), tanto per citare soltanto i due romanzi fondamentali che hanno anticipato i mondi distopici a venire. Per non parlare dei film su cui si è formato il nostro immaginario visivo… Ora quelle distopie le stiamo vivendo; ci siamo immersi fino al collo.
Concita De Gregorio le immerge nella vita di tutti i giorni, nella necessità di spiegarle ai bambini.

Vivere barcollando sulla voragine irreparabile
di Concita De Gregorio – Da la Repubblica del 23 giugno 2025

“La generazione che stiamo allevando cresce con un piede nel futuro e uno nel Medioevo”

I bambini sanno ancora fare quello che gli adulti hanno dimenticato. Diventare adulti, nel tempo che stiamo vivendo, non è più difatti un processo di crescita. È l’inverso. Il passare degli anni e delle stagioni della vita è divenuto un percorso di progressiva omeopatica dimenticanza, di cecità e sordità. Di indifferenza, fino a che il pericolo non ci tocca. Una forma di difesa rispetto all’impotenza, certo. Involutiva, tuttavia, come ogni chiusura. I bambini invece non sono ancora bardati per la guerra. La guerra vera, intendo: non il gioco della guerra. Non hanno l’esoscheletro, la corazza di indifferenza. I bambini piangono, hanno paura, si svegliano la notte e fanno domande alle quali non possiamo rispondere. Domandano chi ricostruirà le case distrutte che vedono in tv, dove andranno a dormire quei bimbi che camminano scalzi sulle macerie, chiedono se possiamo prenderli noi a casa.
– E se scoppia la bomba, moriremo tutti?
– Tutti anche noi?
Mi è successo giorni fa, di parlare coi bambini della guerra. Nessuno degli adulti aveva le risposte. Ammutoliti, i genitori hanno detto dai, adesso andiamo a giocare. Ma loro non volevano giocare. Non mi va, torniamo a casa, hanno detto.

Bisogna fermarsi prima che la guerra diventi una voragine irreparabile, dice il Papa. Ma è già, una voragine irreparabile. Che generazione sarà quella degli orfani della Striscia di Gaza? Con quali sentimenti cresceranno, gli adolescenti amputati della famiglia e delle gambe che negli ospedali chiedono ai medici lasciami per favore morire? Chi semina odio, cosa potrà mai raccogliere. E noi, tutti, non siamo forse in guerra? Certo che lo siamo, senza averne però mai conosciuta una nella carne.

Siamo spettatori inerti e inermi di una guerra mondiale che non somiglia a nessun’altra mai. Perché, sento dire, ogni generazione ha avuto le sue guerre, ogni Paese ha conosciuto dolore distruzione sterminio. Quasi ogni Paese, sì. L’Italia di certo. Ma non è uguale. I nostri nonni e bisnonni hanno combattuto con le baionette, i nostri padri e nonni con i carri armati e con le bombe a mano. Noi, l’esercito che Trump vuole benedetto da Dio, combatte coi droni una guerra che pare un videogioco, i missili contro le basi nucleari, la bomba atomica ogni giorno evocata. E se con la baionetta uccidi un uomo e con un carrarmato forse cento, con l’atomica puoi sterminare l’umanità. È la prima generazione, la nostra, che vede concretamente all’orizzonte la possibilità della fine del mondo. Ed è anche, quella dei ragazzi che stiamo crescendo, una generazione che vive con un piede nella fantascienza e uno nel medioevo: dal cielo piovono ordigni telecomandati da migliaia di chilometri di distanza ma a terra, nella distruzione che provocano, lo stupro il saccheggio e la ferocia fra umani sono quelli dell’inizio della Storia. Non è una posizione comoda, questo bilico fra asettica tecnologia e umana bestialità. È difficile da pensare, è impossibile trovarci un posto, è difficile indovinare una via d’uscita. Cosa possiamo fare, noi. Ciascuno di noi. Il sentimento di rabbia e di impotenza genera un’ansia nuova, un’incertezza irrimediabile: il futuro non è più quello di una volta. Il futuro non contiene alcuna speranza: sarà certamente peggiore del presente, già orribile.

Il governo americano sostiene quello israeliano in una guerra contro l’Iran che viene propagandata come l’ennesima battaglia per sgominare il peggiore dei nemici: due democrazie contro una teocrazia dispotica e totalmente illiberale. Non ha mai funzionato, però. Mai, nella storia anche recente. Da ultimo nella storia del Novecento. La forza contro il pensiero, l’idea cheil più forte abbia sempre ragione, che abbia comunque ragione chi vince — non importa come.

Non ha mai portato durevole progresso. Gli interessi economici, quelli che governano ogni cosa, prevalgono sull’interesse dei popoli. Chi ha vince su chi non ha, nel silenzio degli astanti. È la fine dell’idea di progresso. È la sconfitta della proposta democratica su quella tirannica.

È vero. Nessuno di noi può salvare moltitudini e neppure cambiare il corso delle cose. Però possiamo sempre provare ad aiutare qualcuno, anche solo uno. Possiamo persino cominciare dentro casa. A fare finta che, per esempio.

Facciamo finta, dalle sedie su cui siamo seduti davanti ai nostri computer, che suoni un allarme che avvisa che tra mezz’ora la nostra casa sarà distrutta. Proviamo a pensare rapidamente. Cosa faremmo in mezz’ora, chi chiameremmo, cosa metteremmo in salvo e come, dove andremmo.

Facciamo finta che uno dei nostri figli, o nipoti, o bambini da noi amati si trovi in un ospedale senza antibiotici, antidolorifici, senza bende e senza letti e che debba essere operato senza anestesia, poi lasciato solo a urlare di dolore. Immaginiamo di trovarci a dover scegliere se imbarcarci di notte su un gommone che non può contenerci tutti, di essere poniamo una madre con un neonato in braccio, e di dover decidere se partire comunque verso una sorte incerta o restare nella morte certa. Cosa fareste voi se l’edificio andasse in fiamme e la porta fosse chiusa da fuori. Chi si butta dalla finestra, in un incendio, è perché sa che se resta morirà nel rogo. Non è ragione, è istinto. È la tensione verso il male minore.

È un muscolo, l’immaginazione. Bisogna esercitarlo anche per fare in modo che al primo rifiuto, al primo ostacolo, al primo lutto si trovi pronto ad affrontarlo. Proviamo poi a immaginare di avere otto anni, o dieci, o sedici, e di vivere così.

Di fronte allo spettacolo perpetuo dell’insensatezza. Della forza e del denaro al comando. Della disumanità. Un mondo dove i fragili soccombono e i tronfi, i vanagloriosi, i millantatori vincono. Come vi sentireste, come devono sentirsi loro. No, non è uguale ai lutti e alle disgrazie delle guerre puniche, della rivoluzione francese né di quella d’ottobre, alle guerre mondiali del Novecento. L’orizzonte è il mondo intero, oggi, e il mondo intero è nelle mani di ciascuno. È in quello smartphone, in quelle immagini incessanti. Abbiamo tutte le possibilità virtuali di partecipare, assistere e nessuna possibilità reale, concreta, di intervenire. I bambini lo sanno molto meglio di noi. Gli adolescenti lo patiscono assai più di noi. Gli adulti si voltano, cambiano canale. Ma la fine dell’umanità, reale e simbolica, è già qui. La voragine irreparabile è il crinale su cui stiamo barcollando.

[Concita De Gregorio – Da la Repubblica del 23 giugno 2025]

Immagini dal film Mad Max: Fury Road (2015, George Miller)

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