di Gianni Sarro
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Nel giugno del 1975 esce Lo squalo: è un successo planetario che lancia Spielberg nell’olimpo dei grandi della settima arte. Abbiamo colto alcuni spunti che ci sembrano interessanti per spiegare perché il film è un capolavoro.
Il mostro assente: la suspense nel fuoricampo
Ne Lo squalo, Spielberg sceglie di mostrare il meno possibile il pescecane. L’elemento centrale della suspense è proprio l’assenza visiva della minaccia: celarla alla vista il più a lungo possibile. A generare tensione è la domanda insistente: quando arriverà lo squalo? In realtà arriva subito, ma non lo vediamo mai chiaramente. È evocato, suggerito, temuto — e questo ne acuisce la presenza nella mente dello spettatore.
Nel caso di Lo squalo, l’operazione fu sostenuta anche da un’abile campagna promozionale della Universal, iniziata molto prima dell’uscita in sala. Il pubblico sapeva quasi tutto, tranne un dettaglio cruciale: il pescecane sarebbe apparso solo dopo più di un’ora di film. Una celebrità annunciata, che si fa attendere come una diva: e proprio per questo, la sua comparsa ha un impatto devastante.
Sguardi sommersi: l’identificazione disturbante
Il buio dell’oceano, ne Lo squalo, sembra provenire dagli abissi più profondi e tenebrosi — ma non possiamo esserne certi. Lo sguardo della macchina da presa che esplora il fondale è una soggettiva. Ma di chi? È lecito pensare che sia dello squalo. Spielberg apre il film facendo coincidere il nostro sguardo con quello del killer. Un’identificazione disturbante: forse, come lui, anche noi stiamo cercando una preda. Quale? Forse il nostro desiderio voyeristico di vedere finalmente lo squalo in azione. Una pulsione quasi sadica, in cui il pubblico diventa complice invisibile.
Questa soggettiva viene poi abbandonata, ma non del tutto: torna almeno in due momenti chiave — l’attacco iniziale alla ragazza e quello al bambino sul materassino. Due vittime fragili. Forse Spielberg vuole suggerire che il vero predatore sia l’uomo, che si accanisce sui più deboli con una ferocia che supera persino quella dell’animale. Lo squalo, in fondo, è solo natura: l’uomo invece sceglie di cacciare.
Il fuoricampo come regno della paura
La figura dominante ne Lo squalo è però il fuoricampo. È lì che si condensa la minaccia, è lì che si annida il nostro desiderio di vedere il pescecane, è lì che nasce la suspense. Lo squalo, protagonista indiscusso – non a caso il titolo originale è Jaws, «Fauci». Termine che suggerisce un’immagine più profonda della semplice parola “squalo”: evoca una bocca spalancata, una fila di denti acuminati che emergono dal profondo, forse dall’inconscio -, brilla per la sua assenza.
È evocato costantemente — dalla soggettiva iniziale, dal buio da cui emerge durante l’attacco alla ragazza, dallo sguardo terrorizzato di Brody nella celebre sequenza sulla spiaggia. Il montaggio, frammentando l’azione e lo spazio, interrompe la continuità narrativa e intensifica l’emozione. Il montaggio alternato tra l’attacco dello squalo e ciò che accade sulla spiaggia crea un senso di simultaneità che aumenta la tensione. Le pause inserite nell’azione del predatore introducono una sospensione che dilata l’emozione e ne prolunga l’effetto.
Il carrello combinato con lo zoom crea una distorsione visiva che simula lo sbandamento emotivo di Brody. In questo caso Spielberg ha usato il cosiddetto Effetto Vertigo (così definito perché usato da Hitchcock nel suo La donna che visse due volte, del 1958), ovvero un carrello all’indietro combinato con uno zoom in avanti.
Come detto, è il fuoricampo il vero protagonista del film: è lì che cresce la suspense, è da lì che attendiamo l’irruzione in scena del mostro, che coinciderà con una violazione ulteriore — quella del corpo. Il film ci mostra la progressiva entrata in campo dello squalo, ma anche la sua invasione degli spazi, la rottura della quiete, della fiducia, della sicurezza.
Il finale: quiete apparente
Il finale: Brody e Hooper nuotano sorridenti verso riva. Ma una lieve inquietudine riaffiora. La macchina da presa li segue da dietro, a filo d’acqua. Forse qualcuno — o qualcosa — li osserva? L’ultimo stacco è sulla spiaggia, deserta e tranquilla. La paura sembra svanita. Ma il sospetto rimane. E forse è proprio quello che Spielberg voleva: lasciare un’eco, una tensione latente.
Lo squalo come specchio del nostro desiderio
In Lo squalo, Spielberg non ci mostra solo uno squalo. Ci mostra il nostro desiderio di vederlo. E ci ricorda che ciò che davvero ci terrorizza… è ciò che resta nascosto.
Note, trailer, colonna sonora (a cura della redazione)
Lo squalo (Jaws) è un film cult del 1975 diretto da Steven Spielberg con Robert Shaw, Roy Scheider, Richard Dreyfuss, Lorraine Gary, basato sull’omonimo romanzo di Peter Benchley. Il film ha vinto tre premi Oscar: per il montaggio, il sonoro e la colonna sonora di John Williams.
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Colonna sonora de Lo squalo – Jaws Theme Song – Audio Spectrum Effect – jaws soundtrack
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