di Tano Pirrone
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Si è andati alle urne per dovere civico, spesso senza conoscere i termini delle questioni in gioco, forse solo per il V, quello della cittadinanza per gli stranieri. Ci si buttati nell’agone con tanti dubbi, ma senza quello fondamentale sulle condizioni reali dei rapporti di forza in campo.
Fare nomi è inutile: oltre ad essere lo sport principe dell’Italia in decubito irreversibile, rappresenta la strada maestra per non capire i veri nodi della questione. Eppure di ciò bisognerebbe parlare, e della fragilità di chi mena la danza delle opposizioni senza spartiti convincenti e con strumenti scordati e clowneschi.
Quel che invece credo oggi vada fatto è finalmente aprire una riflessione a tutto campo e convincersi che il tempo in cui si è convinti che basta riunirsi davanti a un gazebo e poi pubblicare foto in rete sia finito per sempre.
Cosa deve succedere ancora per vedere che chi mima l’opposizione oggi non ha un corpo sociale? Non si possono sentire le atrocità ripetute con idiota convinzione: «Ripartiamo da qui, abbiamo preso più voti di loro, hanno votato comunque un po’ di milioni di persone, eccetera eccetera». Sempre la stessa solfa a commento di un referendum perduto.
Ora il nodo vero. Le cose che si fanno riguardano temi, non soggetti. È invece dai soggetti che occorre ripartire. In particolare da chi incarna le nuove forme del lavoro di oggi, cioè i nuovi lavoratori in carne e ossa; dalla loro funzione nella produzione e la riproduzione sociale del capitalismo contemporaneo. È un nuovo movimento del lavoro che deve rientrare in campo, con i suoi soggetti e i suoi conflitti. Anche per stringere gli avversari a un nuovo compromesso sociale. Senza questa nuova e inedita irruzione operaia, a competere a modo loro con il capitale continueranno ad essere le destre sovraniste, che non a caso – piaccia o no – hanno di fatto sottratto ai soggetti storici il consenso dei ceti popolari. Mi sembrano nell’essenziale questi i nodi dai quali ripartire. I fili da districare. E a questa grande inchiesta sul lavoro vanno dedicati tutti gli sforzi.
Fu la classe operaia degli anni ’60 – ’70, che divenne protagonista sociale di massa trascinando studenti e intellettuali, a dare forza e nerbo a sindacati e sinistre. Quella stagione è ormai lontana, tramontata da tempo.
Le grandi trasformazioni del capitalismo, le formidabili innovazioni scientifiche, fino alla odierna Intelligenza Artificiale, hanno definitivamente spiazzato la forza di un tempo. Non c’è rendita di posizione che tenga.
O si riorganizza il nuovo mondo del lavoro, quello di chi lavora nei mille mestieri dell’economia attuale, o la sinistra è finita. Certo che è difficile: il corriere che ci porta la merce a casa, o il rider della pizza, il giovane che viene a ripararci il PC a domicilio o gli addetti ai grandi depositi della logistica, non sono gli operai di un tempo. Spezzettati, spesso precari e senza organizzazione, neppure sappiamo cosa pensano, se davvero intendono organizzarsi o se a loro va bene così.
Chi si preoccupa di interrogarli, avvicinarli, capire come vivono il proprio lavoro e che bisogni hanno? Il loro spesso è un lavoro super sfruttato, faticosissimo, governato da lontano dalle grandi piattaforme tecnologiche del nuovo capitalismo transnazionale.
Per provare a intercettarne gli umori ci vogliono cose serie, impegnative, lavoro paziente. Che non possono essere le ormai ridicole ansie propagandistiche dell’allegra urlante brigata delle nostre opposizioni politiche e sindacali?
In fondo, ridotto all’osso, questo ci dice l’esito – già scritto – di questo referendum; altro che le cose che si leggono sul popolo che non comprende e così via. O peggio, chi legge la sconfitta tutta in chiave politicista. Dando responsabilità a chi nel PD avrebbe tradito la Schlein. Qui a continuare a non capirci niente siamo noi. E dico noi così, per modo di dire. Ma continuare ad essere sordi e ciechi ormai non è più consentito. Cosi come non si può continuare con una opposizione solo mimata in favore di telecamere, né andare dietro a talk ossessionati da Meloni, che invece tacciono sui veri nodi politici.
E basta con la delega a rappresentare la sinistra concessa a buon mercato ai gruppi economico – finanziari del capitalismo nostrano ed europeo. È il momento di andare al dunque, al cuore del problema, senza demagogia e provare a riorganizzare un nuovo blocco sociale: se si sarà capaci e fortunati si tornerà in campo, altrimenti si perderà.
E non certo per colpa del popolo.
Immagine di copertina: Vignetta di Mauro Biani all’indomani dei risultati del referendum, su la Repubblica del 10 giugno 2025
