Racconti

La casa e il tempo (prima parte)

di Sandro Russo

Take nothing, only memories
leave nothing, but footprints
– Non prendere niente, solo ricordi; non lasciare niente, solo impronte –
[Scritte su tanti cartelli, con parole diverse ma dello stesso tenore, in riserve e parchi nazionali americani]
.

L’occasione si è presentata durante una “andata” a Cassino, mia città natale, per far visita ad una mia cugina molto malata. Una circostanza abbastanza triste, in verità. Per andare a casa dei miei parenti di parte paterna – venivo da Roma – la mattina sono passato davanti la mia vecchia casa, sulla Casilina, pochi chilometri da Cassino in direzione Napoli. Quasi non l’avevo riconosciuta, completamente ricoperta di vegetazione sul fronte strada.
È stato ripassandoci davanti che mi è balenata l’idea di andarla a visitare: la casa dove sono nato, dove ho vissuto i miei primi diciotto anni e sono uscito per sempre – emotivamente – da cinquant’anni ormai. È stata comprata circa venticinque anni fa da parenti che poi non ne hanno fatto nulla; lasciata chiusa, cristallizzata lì com’era, come in una bolla temporale.
È che con la mia partenza dal paesello natale alla volta di Roma per l’università, ho tagliato il cordone ombelicale e interrotto la fascinazione della casa paterna, quella cui senti di appartenere e dove vuoi tornare; quello che solo senti casa. Ancora di più quando da Roma mi sono spostato in campagna, in una casa veramente mia, un casale del ’600 passato per tante mani e di cui ho curato la ristrutturazione muro per muro, metro per metro di giardino. Così ti ‘appropri’ di un posto.
I nuovi proprietari, anch’essi miei parenti, sono stati gentilissimi. Sentita la mia richiesta, hanno tirato fuori un vecchio borsello con le chiavi e mi hanno accompagnato personalmente nel mio pellegrinaggio sentimentale.

Dopo quasi trent’anni la casa è alquanto deteriorata, coperta dalla vegetazione in più punti. Siamo entrati di lato e ci siamo trovato sul piazzale posteriore; abbastanza ampio tanto che intorno casa potevano girare i camion.

Sul piazzale, a 20 m circa dalla casa, c’è un pozzo. Era stato fatto scavare la mio padre al momento della costruzione; parliamo del 1945-46, la guerra era appena finita e lì aveva colpito duro. La vecchia Cassino era arroccata, sulle pendici del monte (Montecassino) ed era stata completamente distrutta dai bombardamenti alleati. La città nuova, dov’è adesso, in pianura, è stata edificata e si è accresciuta dal dopoguerra in poi.
Il pozzo per  l’acqua e un grande scavo per preparare la calce erano indispensabili, prima ancora di mettere mano alla costruzione. Poi di pietre ce n’erano tante, a causa delle distruzioni della guerra; bisognava solo andarle a prendere, infatti la casa è in pietra, né mattoni né foratini.  Manovalanza a parte, la casa era stato progettata e supervisionata da mio padre, solo con buon senso comune, perché non era il suo mestiere. Quando fu pronta, fu lì che portò la sua sposa ponzese. Io sono nato in quella casa, nel 1947.

Il pozzo, quasi sommerso dall’erba alta. Le piante d’acanto (Acanthus mollis), ora in fiore, prima non c’erano

A sinistra del pozzo, guardando dal retro della casa, c’era un capannone di costruzione successiva alla casa, in parte crollato e poi demolito

Il muro posteriore del capannone, ancora in piedi. Lì dietro ho avuto il mio primo giardino, da ragazzino

Dietro al pozzo c’era l’orto di casa. Ora c’è un boschetto di bambù, di nuovo impianto. Ai tempi miei lì c’era terra coltivata, con alberi da frutta

Gli esterni della casa mi si sono presentati gradevoli, anche se molti diversi da come ricordavo.. Negli immediati dintorni della casa l’erba è stata tenuta rasata da un guardiano; oltre non mi sono avventurato; dell’orto che curava mio padre, dietro e in adiacenza del pozzo, è scomparsa ogni traccia. L’acqua del pozzo era sorgiva (Cassino ha un sottosuolo molto ricco di acque), sempre fresca e noi la bevevamo. Ci si metteva anche ‘in fresco’ il cocomero d’estate, all’uso ponzese. Servirebbe tempo per un’archeologia botanica, cercare nel terreno e in diverse stagioni i segni di passate coltivazioni. Molte piante inselvatichiscono; forse potrei trovare le fragoline di bosco che erano una passione di mio padre (passata a me)… Le superstiti piante da frutta (quelle di amarene e di fichi ricordo ancora dov’erano), ma poco più.
Ma gli esterni, grazie alla vegetazione che copre tutto, hanno una propria dignità e anche bellezza, che si sovrappone ai nostri ricordi.
Cosa che non è per gli interni.
Quella casa non è stata svuotata prima di venderla. Alla morte di mio padre, mia madre non ha voluto continuare a viverci da sola; mio fratello e io, entrambi a Roma, non potevamo starle vicini e lei si era trasferita in un appartamento in affitto, in città. Ci tornava spesso, in quella casa dove erano tutti i suoi ricordi, e qualche volta ci dormiva pure. Questa situazione si è mantenuta per anni. Andavano anche noi con lei, le volte che tornavamo, ma di fatto era una casa disabitata. Si diceva che era meglio venderla, ma nessuno si sentiva di prendere la decisione.

Quando anni dopo capitò l’occasione, il passaggio di proprietà avvenne repentinamente, quasi da un giorno all’altro, senza che la casa fosse stata prima svuotata. E così si è mantenuta. I nuovi proprietari erano più interessati al terreno intorno e non hanno mai trovato un uso per la casa in sé.

È stato entrare in casa il momento più emozionante. Entrarci, a distanza di quasi trent’anni è stato una specie di viaggio nel tempo.

[La casa e il tempo (1) – Continua qui]

 

 

 

1 Comment

1 Comments

  1. Sandro Russo

    5 Giugno 2025 at 14:00

    Angela Caputi
    Bello il tuo memoir, Sandro. Per caso hai visto Here di Zemekis?

    Risponde Sandro
    HERE… certo che sí. Lo cito nella seconda parte!

    Angela
    Non ce l’ho… Non lo trovo!

    Sandro
    Certo che non ce l’hai. Non è ancora stato pubblicato! Lo sto scrivendo!

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