Il personaggio
Uruguay, addio a Pepe Mujica il presidente tupamaro, faro dell’America del Sud
di Daniele Mastrogiacomo
I dodici anni in carcere poi la guida del Paese che aveva modernizzato e l’amicizia con Lula
«Sono un contadino nell’animo»; «ho dato un senso alla mia vita, morirò felice»; «ho il destino dell’avanguardia».
Filosofo e politico, José Alberto Mujica Cordano, da tutti chiamato Pepe Mujica, ci ha lasciato grappoli di frasi che amava sparare come aforismi. Il noto ex guerrigliero tupamaro, faro della sinistra latino-americana, più volte ministro e quindi presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, si è spento ieri, 13 maggio a pochi giorni dei 90 anni che avrebbe compiuto il 20.
«Il tumore all’esofago sta colonizzando il fegato. Non posso fermarlo. Perché sono anziano e ho due malattie croniche», aveva detto a gennaio ai giornalisti che erano accorsi alla storica casa di campagna nella periferia di Montevideo, dove ha vissuto fino alla fine con la sua compagna e moglie Lucía Topolansky. Aveva concluso con una rivendicazione: «Il mio corpo non ce la fa più. Il mio ciclo è finito e un guerrigliero ha diritto a riposare».
Figlio di un padre di origini basche e di una madre con lontane radici italiane (Favale di Malvaro, in provincia di Genova), il presidente «più povero al mondo», come amava descriversi visto che donava a organizzazioni di solidarietà il 90% dei suoi 8.300 euro al mese di stipendio da capo di Stato, trascorse un’infanzia segnata dalla povertà. Grazie allo zio materno, Agel Cordano, fervente nazionalista e peronista, si appassionò alla politica. Nei primi anni Sessanta aderisce al neonato Movimiento de Liberación Nacional, un’organizzazione marxista-leninista ispirata alla rivoluzione cubana e alla difesa dei diritti dei lavoratori della canna da zucchero. Il gruppo divenne noto come Tupamaros e Mujica partecipa a numerose azioni.
Viene arrestato nel 1979. È ferito da sei colpi. Chiacchierava con alcuni amici in un bar di Montevideo. Un parrocchiano li riconosce come guerriglieri. Avvisa la polizia che arriva e inizia a sparare. È ricoverato all’ospedale militare, lo salverà un chirurgo. «Era un compagno, un Tupa del basso – rammenta – mi ha dato un secchio di sangue e mi ha salvato. È come credere in Dio». Ateo fino in fondo, lo arresteranno altre tre volte. Sarà condannato e per 12 anni rinchiuso in un carcere, costretto a rimanere quasi sempre in piedi o piegato per il soffitto basso. In isolamento, senza cibo, con uscita all’aria aperta una volta al mese. È liberato, grazie ad un’amnistia, solo nel 1985 quando è ristabilita la democrazia. «La morte rende la vita un’avventura», amava ripetere. «È la cosa più preziosa, l’avventura di essere vivi. La vera domanda è come trascorriamo il nostro tempo nella vita».
«Stiamo costruendo società auto-sfruttate – ricordava – hai tempo per lavorare ma non per vivere». Per questo viveva in sobrietà. La sua casetta di campagna che curava con la moglie anche da presidente, il suo maggiolino Wolkswagen del 1987 che non ha mai venduto, l’amicizia con Lula.
L’impegno politico lo ha portato a conquiste sociali rivoluzionarie per un Paese come l’Uruguay nei 5 anni da presidente: l’aborto legalizzato, la libera unione tra persone dello stesso sesso, la depenalizzazione dell’uso della marijuana.
Mujica è morto in pace con se stesso. Ha vissuto fino all’ultimo quell’esistenza che amava e che è riuscito a non sprecare.
[Daniele Mastrogiacomo – Da la Repubblica del 14 maggio 2025]
Abbiamo ricordato Pepe Mujica sul sito, a proposito del film : Una notte di dodici anni:
Sandro Russo: All’anteprima del film Una notte di 12 anni, del gennaio 2019
Lorenza Del Tosto intervista il regista: Alvaro Brechner, prigioni e libertà (gennaio 2019)
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