Viaggi

Trasferta tunisina

di Guido Del Gizzo

 

Una settimana di lavoro in Tunisia è stata l’occasione, dopo circa dieci anni, di visitare nuovamente un paese che, dal punto di vista paesaggistico, ci assomiglia molto: la strada tra Tunisi e Hammamet, a tratti, attraversa un territorio del tutto simile a quello maremmano, tra Grosseto ed Orbetello.
Colline verdissime di macchia mediterranea, oliveti e vigneti a perdita d’occhio, grano. Perfino cinghiali, che sono, anche in Tunisia, numerosissimi, altrettanto dannosi ma che non vengono consumati, perché “animali impuri”: li abbattono e basta.
Se Hammamet è una “Rimini in minore”, con la consueta sfilata di grandi alberghi moderni, sul lungomare, e un porto turistico moderno senza identità, Tunisi è una delle città più brutte che abbia mai visto.

L’elemento che più stupisce è la mancanza di identità, in un luogo che ospita il sito archeologico di Cartagine e che, per almeno tre secoli, è stato il centro commerciale del Mediterraneo.
Tunisi è caratterizzata dalla modernità fatiscente dei suoi quartieri centrali, come delle periferie: tranne l’Avenue Bourguiba, una sorta di citazione urbanistica degli Champs Elysés parigini, completamente fuori contesto, e i quartieri di recente costruzione sulla strada verso l’aeroporto, con gli immancabili mostri in ferro/vetro.
La Medina e il Suk non meritano la visita, tranne che per le ceramiche e la terrazza dell’ex residenza del sultano, oggi diventato esposizione dell’artigianato locale, che certamente esiste: ma le sue eccellenze non erano esposte lì. Nelle vie del centro si intravedono, ai bordi dell’asfalto, i resti del selciato che c’era prima e le alte palme, ai margini del marciapiede, sono più tristi dei platani del lungotevere.
Ovunque sporcizia e cassonetti stracolmi di rifiuti, dove dei riciclatori improvvisati recuperano bottiglie di plastica e cartone; fili elettrici e intonaci pendenti, che trascinano, nella loro caduta, i tentativi di caratterizzare l’edilizia “moderna” con dei segni cromatici tradizionali: qua e là gruppi di tegole smaltate di azzurro o di verde, o una fila di ceramiche sul frontone della tozze pensiline in calcestruzzo, alla fermata degli autobus.

A ovest della città il Quartiere del Bardo (dallo spagnolo pardo, giardino), in tutto simile al resto delle periferie, tranne che per un grande immobile bianco, chiuso in un parco recintato da una cancellata, con un ampio piazzale destinato al parcheggio degli autobus.
Si entra, ci si avvia all’ingresso: ed è il Guggenheim di Tunisi. Forse il più bel museo che abbia mai visitato, per qualità espositiva e fruibilità.


Emblematico è un ampio salone che ospita una grande cupola arabescata, di color oro, con un lampadario veneziano policromo al centro e, tutt’intorno e sul pavimento, i mosaici romani: la combinazione, tra l’eccellenza decorativa del mondo romano e quella araba delle ceramiche, è stupefacente.
Tuttavia, ciò che è davvero sorprendente, oltre alla ricchezza della collezione – è la fruibilità della struttura: l’illuminazione è perfetta, le opere ben evidenziate, la segnaletica efficace.
Inattesa, e anche un po’ imbarazzante, è la condizione di camminare sui mosaici: solo sui pavimenti, il museo ne ospita oltre 2000 mq.

Museo del Bardo. Video 1. Passeggiata sulle piastrelle policrome:

Forse ho avuto fortuna, ma c’è spazio per una vera fruizione museale: gli imbecilli che guardano solo attraverso i selfie del cellulare ci sono sempre, ma per ricordare una simile intensità e possibilità di emozioni, sono dovuto tornare indietro di  quarantacinque anni, alla mia prima visita degli Impressionisti che stavano ancora al Jeu de Paume, molto prima dell’orrendo – a mio parere – Musée d’Orsay.

Museo del Bardo. Video.2. Passeggiata sui mosaici romani:

E’ impossibile apprezzarlo in una sola visita, è come mangiare caviale con un mestolo da minestra: dopo un po’ si perde la concentrazione sulle cose da vedere.
Divertente una piccola sezione dedicata al lavoro di un gruppo di ricercatori siciliani, che sono andati a Tunisi a fotografare, nei quartieri, le tracce di barocco siciliano lasciate dalle generazioni dei loro conterranei, emigrati negli ultimi due secoli.
Il Museo del Bardo di Tunisi, come quasi tutti i musei, racconta degli scambi tra le culture e le persone.
Tunisi, tra il 1200 e il 1571, è stato il centro dei commerci e delle vicende mediterranee, con Genovesi, Veneziani e Pisani, oltreché Siciliani, che la frequentavano assiduamente. E non dimentichiamo i Normanni.

Le fisionomie che si incontrano per strada sono le nostre….
L’apoteosi è stata quando, arrivato in aeroporto, mi sono messo in fila al check-in: davanti a me, due signore. Una bassina, dal colorito scuro, con i capelli lisci, neri, che avevo classificato come tunisina, e l’altra alta quasi un metro e ottanta, dai capelli biondo fulvo, con le lentiggini e la carnagione chiara: nordeuropea, senz’altro. Poi hanno incominciato a parlare: in siciliano stretto, palermitano, direi.
Non c’è niente da fare: apparteniamo tutti ad un’unica razza.
Se proprio vogliamo espellere qualcuno, espelliamo Salvini verso l’Austria, a raddoppiare il viadotto di Innsbruck

Istantanee da una passeggiata mattutina per la città


Il Museo del Bardo – Il viaggio di Ulisse, mosaici murali

Museo del Bardo. Le rovine di Cartagine. Villaggio di Sidi Bou Said (immagine dal web: www.tripadvisor.it)

 

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