di Rita Gasbarra
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No. Munch non è solo “L’urlo”. Ce lo racconta la bella mostra a Palazzo Bonaparte, Roma, un’antologica che ripercorre le opere della lunga vita di Edvard Munch, il suo modo di pensare e rappresentare, le tappe che modificarono la sua filosofia dell’esistenza umana e la sua arte.
Un’infanzia e un’adolescenza difficili, segnate dalla tubercolosi e da una serie di gravi lutti familiari. Il talento tenace per disegno e pittura, che lo porta a decidere a 17 anni il suo futuro di artista, lo salva. L’incontro a Parigi con le avanguardie espressioniste e le prime teorie psicanalitiche gli consentono di usare la tela come deposito di paure e pensieri negativi. Nei dipinti si affollano ombre, come fossero popolati da fantasmi, l’individuo cerca di gridare il suo dolore, inascoltato. L’amore, seppur bellissimo e confortante, finirà, separando gli amanti. Le pennellate vibrano per esprimere le emozioni. I colori decisi, a contrasto, i verdi acidi, la prospettiva stretta, le figure delineate per ampi tratti, una sensazione di non definito, evocano nell’osservatore un senso di claustrofobia e di dolore.
La fine nel 1902 della passionale ma travagliata storia d’amore con l’artista Tulla Larsen porterà Munch ad un abuso di alcool e droga, fino al risveglio, all’avvicinarsi al movimento vitalista che si andava diffondendo nel nord Europa. Il corpo visto come tempio, da curare e conservare, un microcosmo nel macrocosmo universale, una visione allargata, interdipendente del Tutto. I suoi quadri si accendono. Bagnanti, giovani donne, panorami prendono il posto delle stanze dei morenti, pur rimanendo la riflessione sul tempo della vita, sui cambiamenti del corpo, sulla morte.
L’ultimo autoritratto, con la figura umana stretta fra un letto e un orologio, fra ciò che è vivo e il tempo che scade, con a sfondo le sue opere , è il testamento di un uomo che, consapevole di aver avuto una vita piena, lascia questo mondo senza rimpianti.
Edvard Munch (1922) Starry Night – Munch Museum Oslo [1]
[1] – Da questo quadro il ritaglio della locandina della mostra (anche immagine di copertina). Non può non richiamare, anche nelle intenzioni dell’autore la “Notte stellata” di Van Gogh.

Teresa Denurra
1 Maggio 2025 at 22:34
Grazie a Rita Gasbarra per quel che ha scritto. Ho visto la mostra a marzo, organizzata in modo perfetto. Tutto mi ha coinvolto: le opere e la storia personale. È proprio così: Munch non è solo l’Urlo. “Il grido interiore” è stato un momento di riflessione intensa, per me durato sino al momento in cui una delle persone addette alla vigilanza, con gentilezza, mi ha detto: “Signora, dobbiamo chiudere”.