Cinema - Filmati

Cinema e papato (seconda parte)

di Gianni Sarro

Per la prima parte, leggi qui

I due papi (Ferdinando Meirelles, 2019), invece, affronta il momento successivo del Conclave: quello in cui un pontefice, Benedetto XVI (Anthony Hopkins), decide di lasciare. Il film, pur prendendosi diverse licenze narrative, immagina un dialogo serrato e umano tra Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio (Jonathan Pryce), prima che quest’ultimo diventi Papa Francesco. Il conclave qui è meno centrale, ma la sua ombra aleggia su tutta la narrazione. Meirelles non mostra tanto la ritualità esterna, quanto il travaglio interiore, le divergenze ideologiche, la tensione tra conservazione e cambiamento. Il Vaticano diventa teatro di uno scontro filosofico, ma anche di un incontro umano profondo.

Nota a margine: quando si parla di Chiesa cattolica, le categorie di “progressisti” e “conservatori” hanno un valore tutto relativo. Forse l’unico vero progressista, nel senso pieno del termine, è stato il cardinale Carlo Maria Martini [1], a lungo arcivescovo di Milano: una mente lucida, aperta al dialogo, capace di visioni profetiche. La sua ascesa al soglio pontificio fu fermata da una malattia degenerativa, i cui segni erano già evidenti durante il conclave del 2005 — quello che porterà all’elezione di Joseph Ratzinger.

In entrambi i film, Habemus Papam e I due papi il conclave non è solo un evento, ma un pretesto narrativo per parlare di responsabilità, solitudine, e del rapporto tra potere e coscienza.

Sorrentino. The Young Pope (2016)

 Anche Paolo Sorrentino si è lasciato sedurre dal mistero del conclave e dai suoi simbolismi, da un lato e con l’esperienza della serialità dall’altro. È, infatti, del 2016 la serie The Young Pope, bissata nel 2020 dal sequel intitolato The New Pope. Un progetto ambizioso, scritto e diretto dallo stesso Sorrentino, che con il suo stile inconfondibile — visionario, ironico, provocatorio — ha saputo reinventare l’immaginario vaticano per la contemporaneità.
La storia si apre con un’elezione a sorpresa: Lenny Belardo (interpretato da Jude Law), giovane e carismatico arcivescovo di New York, diventa Papa Pio XIII (attenzione al nome scelto da Larry: Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli fu uno dei papi più ‘interventisti’ nella politica secolare italiana). Una scelta inaspettata che destabilizza gli equilibri interni della Chiesa e inaugura un pontificato segnato da mistero, autorità e contraddizioni profonde. Lenny è affascinante, enigmatico, capace di gesti rivoluzionari quanto di richiami a un’idea di Chiesa rigidamente tradizionale.
Attraverso di lui, Sorrentino esplora i temi del potere assoluto, della fede come lotta interiore e della solitudine che accompagna chi è investito di un ruolo quasi divino. La serie non si limita a raccontare la politica vaticana: costruisce un grande affresco simbolico, in cui la religione si mescola alla psicologia, alla sessualità e alla ricerca disperata di un Dio che, forse, tace.

Anche tra i cardinali che siederanno nel prossimo conclave, in apertura il 7 maggio, non mancheranno rappresentanti nordamericani, divisi — semplificando — tra simpatizzanti e oppositori dell’area trumpiana. Che sia la volta di un papa a stelle e strisce?

Sorrentino. The new Pope (2020)

Con The New Pope, Sorrentino prosegue il suo discorso portando in scena un nuovo pontefice (John Malkovich), ma mantenendo intatta quella tensione ambigua tra sacro e profano che aveva reso The Young Pope un oggetto unico nel panorama televisivo.

John Malkovich – Jude Law

Conclave (da leggere anche l’interessante intervista a Robert Harris, autore del romanzo che ha ispirato il film) si apre come un thriller vestito di porpora: elegante, teso, carico di presagi. Lo capiamo subito dalla prima scena. In un tunnel freddo, illuminato da luci al neon, un alto prelato — riconoscibile dalla fascia porpora che gli stringe la veste — avanza a passo rapido, quasi nervoso, il volto contratto, l’eco dei passi che rimbomba nel vuoto. È l’annuncio visivo di un mistero che sta per dispiegarsi, e che si consumerà tutto dietro le porte chiuse del conclave. Il regista Edward Berger porta su grande schermo il romanzo omonimo di Robert Harris sfruttando bene la magnificenza dei luoghi (i meravigliosi interni della Reggia di Caserta in sostituzione degli originali). L’approccio di Berger è radicalmente diverso da quello visionario di Sorrentino o intimista di Moretti: qui il conclave diventa un vero gioco di tensioni, sospetti, manovre e colpi di scena, in cui i cardinali sono ritratti come uomini pragmatici, spesso più politici che spirituali.
Non tutti hanno gradito, di questo film, il finale che spezza, con un cambio di registro, l’abbrivio costruito con cura lungo tutto il film. Resta però tutto ciò che lo precede: un racconto teso, elegante, che fa di Conclave un eccellente thriller in abito cardinalizio.

Nel silenzio ovattato della Cappella Sistina, tra marmi antichi e sguardi sospesi, il conclave resta una delle ultime liturgie del mistero, capace di tenere insieme fede, potere e spettacolo. Ed è proprio in questo intreccio che il cinema ha trovato materia fertile, restituendoci non solo un’istituzione, ma soprattutto l’umanità — fragile, contraddittoria, a volte sorprendente — di chi si muove al suo interno. Tra sacro e profano, tra visione e critica, il racconto del conclave continua a parlare al nostro presente. E forse anche a interrogarlo.

Ho citato solo alcuni dei film, una scelta forse discutibile, ma non capricciosa. Tra i numerosi titoli rimasti fuori, merita di essere menzionato Il tormento e l’estasi (Carol Reed, 1965), che ruota attorno alle figure di Michelangelo (Charlton Heston) e Papa Giulio II. Il film si svolge nel periodo in cui il genio toscano è impegnato nell’affresco della volta della Cappella Sistina.
Un altro titolo interessante è Angeli e demoni (Ron Howard, 2009), con Tom Hanks, tratto dall’omonimo bestseller di Dan Brown. La trama è complessa, e il conclave vi gioca un ruolo centrale, arricchito da numerosi colpi di scena. Va sottolineato che, anche in questo caso, la Reggia di Caserta ha saputo egregiamente sostituire la Basilica di San Pietro.
Nel 2015 il regista Daniele Luchetti ha girato Chiamatemi Francesco, film poi trasposto anche in una serie tv Chiamatemi Francesco – Il Papa della gente , sempre nel 2015 con l’attore Rodrigo de la Serna che interpreta Bergoglio.
Quello di Luchetti, che descrive il percorso che ha portato il figlio di una famiglia di immigrati italiani a Buenos Aires alla guida della Chiesa Cattolica, è uno sguardo laico e profondamente partecipe.


Note

[1] – Carlo Maria Martini (Torino, 1927 – Gallarate, 2012) è stato un cardinale cattolico e teologo italiano. Biblista ed esegeta, è stato arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. Oltre a essere stato un uomo di grande cultura teologica, fu anche uomo del dialogo tra le religioni. Il cardinal Martini, in un’intervista rilasciata poco prima della morte (pubblicata postuma dal Corriere della Sera, 1° settembre 2012), affermava: «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. […] Le nostre chiese sono grandi, le nostre case religiose vuote, l’apparato burocratico della Chiesa cresce, i nostri riti e i nostri paramenti sono sontuosi. Ma tutto ciò esprime quello che noi siamo oggi?»
Una riflessione che continua a interpellare, forse più oggi che allora.

[2] – Attenzione, a non confondere (disambiguazione da Wikipedia):
Robert Dennis Harris (Nottingham, 1957) è uno scrittore e giornalista televisivo inglese.
Nel 1992 è diventato noto per il thriller ucronico Fatherland, a cui han fatto seguito numerosi romanzi spesso adattati per lo schermo, come Conclave, appunto, romanzo del 2016, e
Thomas Harris (Jackson, Tennessee, 1940) – nome completo William Thomas Harris III, è uno scrittore e giornalista statunitense, la cui opera più celebre è il romanzo Il silenzio degli innocenti. Ma anche Red Dragon, 1981 (in italiano Il delitto della terza luna), il primo romanzo in cui compare il personaggio di Hannibal Lecter.

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Trailer del film Conclave (2024) del regista Edward Berger, con Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini.

YouTube player

 

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Nota aggiuntiva del 30 apr. (cfr. Commento di Sandro Russo)

“La consegna delle chiavi” di Pietro Perugino, 1481–1482. Questo dipinto, che si trova nella cappella Sistina, dimostra i concetti base della prospettiva lineare. Viene ripreso in altri quadri famosi, delle stesso artista e di altri (cliccare sulle immagini, per ingrandirle)
Per approfondimento qui, su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Consegna_delle_chiavi_(Perugino)

Lo stesso impianto  venne riutilizzato nello Sposalizio della Vergine, con la variante ancora più scenografica della porta centrale che lascia vedere il paesaggio:

4 Comments

4 Comments

  1. Sandro Russo

    30 Aprile 2025 at 07:31

    Magistrale secondo pezzo su “Cinema e papato” di Gianni Sarro che è stato un piacere guarnire di immagini e pubblicare.
    E qui è sorto un problema, ovvero una curiosità – suggestione e approfondimento, che poi sono valori aggiunti degli articoli sul sito… Ricordare quale quadro famoso, visto mille volte e mai studiato davvero, fosse rappresentato nella seconda immagine che ho preso dal web, relativa a The Young Pope di Sorrentino e scelta a mani basse.
    Ebbene, dopo aver scartabellato in lungo e in largo su internet – almeno un quarto d’ora – l’ho finalmente trovato (ritrovato!). Uno dei più famosi, che ripete la visione panoramica con un vasto spazio in cui la prospettiva è elemento prioritario. Ripete perché anche altri grandissimi artisti cambiando personaggi l’hanno dipinta.
    Per i curiosi: nell’articolo di base un approfondimento tratto da Wikipedia.

  2. Fabio Lambertucci

    30 Aprile 2025 at 16:53

    Da indefesso ricercatore di perle cinefile e come ringraziamento / regalo a ‘mastro’ Gianni, a questo sito che ci ospita e ai suoi lettori, propongo un video di poco più di 20 min.(…ma che va giù come l’acqua!) da Nell’anno del Signore di Luigi Magni del … con una storia sull’elezione del Papa che com’è vero che “la Chiesa è un’istituzione senza tempo”, ci sembra attualissima:

    L’episodio “Il Santo Soglio” da “Signore e Signori buonanotte”, film collettivo del 1976.
    Straordinaria interpretazione satirica di Nino Manfredi e Mario Scaccia, qui diretti da Luigi Magni, ispirata alle vicende dei papi Sisto V e Pio V.

    https://youtu.be/qaPJ5CKRnvQ?si=jg5ezpUk03HP3xJj

    • Gianni Sarro

      2 Maggio 2025 at 18:31

      E grazie anche a Fabio, il cui talento di ricercatore di perle cinematografiche è indiscusso e, per nostra fortuna, inesauribile. L’episodio con Manfredi che cita Fabio è un piccolo gioiello inserito nel film collettivo intitolato Signore e signori buonanotte. Il santo soglio è diretto da Gigi Magni ed è ambientato nella Roma papalina: siamo in pieno Rinascimento, i cardinali riuniti un conclave non riescono ad eleggere il nuovo papa, pensano allora di eleggere il vecchio e malato cardinale Felicetto de li Caprettari (Nino Manfredi) che una volta salito al sacro soglio rivela di essere sano e capace come nessuno altro di esercitare il potere sconfinato che, incautamente, gli è stato conferito

  3. Gianni Sarro

    2 Maggio 2025 at 18:19

    Vorrei ringraziare ancora una volta Sandro, sia per aver continuato a pubblicare i miei articoli, sia — in questo caso — per averli corredati con fotografie davvero splendide. In particolare, mi riferisco all’immagine de La consegna delle chiavi del Perugino, prodigio della pittura rinascimentale.

    Questo dipinto ci rimanda a uno degli aspetti fondamentali della rappresentazione filmica: la dislocazione nello spazio di personaggi e oggetti. È un’arte che il cinema eredita, anzi — mi piace dire — saccheggia dalla pittura. Tra gli strumenti più preziosi di questa eredità, spicca la prospettiva.

    Potremmo dire che la prospettiva rinascimentale è una forma di regia “fissa”: ciò che Perugino realizza con la pittura, il cinema lo ottiene attraverso l’uso della cinepresa. Proprio come in un dipinto, anche nel cinema la composizione dell’inquadratura guida lo sguardo: il regista utilizza la prospettiva per dirigere l’attenzione dello spettatore.

    Tra i registi che più hanno esaltato l’uso compositivo della prospettiva c’è senza dubbio Stanley Kubrick. Pensiamo, ad esempio, a 2001: Odissea nello spazio, in particolare alla celebre scena in cui l’astronave si avvicina alla stazione spaziale — un vero e proprio “utero” cosmico — sulle note de Il bel Danubio blu di Johann Strauss. Anche Orson Welles in Quarto potere fa un uso magistrale della prospettiva, come anche, per citare un regista più vicino a noi, Wes Anderson: andate a riguardare I Tenenbaum o Gran Budapest Hotel: innanzi tutto perché sono due bellissimi film, dove Anderson fa largo uso della prospettiva centrale e della profondità di campo.

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