Foto

Quando una foto racconta e diventa storia

proposto da Enzo Di Fazio

 

Sono un appassionato di fotografia.
E sono un convinto assertore che le foto hanno spesso un valore testimoniale e possono raccontare più di tante parole.
Per avere una conferma basta sfogliare i libri di foto di artisti come Henry Cartier Bresson, Sebastiao Salgado, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Steve McCurry… per citarne alcuni tra i più famosi.
E sono convinto che chiunque abbia la passione fotografica può diventare un “grande” fotografo e può raccontare al mondo e far parlare il mondo se ha la capacità, la sensibilità e la “fortuna” di catturare, con la macchina fotografica, un’immagine che può fare da sola la storia. Quel risultato che Henry Cartier Bresson chiama sintesi tra la mente, l’occhio e il cuore.
È il caso della foto che, scattata nel giorno dei funerali di papa Francesco, dalla direttrice del protocollo presidenziale ucraino, sta facendo da ieri il giro per il mondo.
I soggetti: Trump e Zelensky, l’uno di fronte all’altro in un atteggiamento tipico di chi si confessa, senza però far capire chi sia il peccatore e chi il confessore.
Il luogo: nella basilica di San Pietro sotto a un Cristo Battezzato nelle acque del Giordano.
Il momento: quello appena prima che cominci la liturgia in onore di papa Francesco.
Della costruzione della foto, dei momenti che l’hanno preceduto e di quelli che l’hanno seguito, parla Fabio Tonacci nel suo articolo ”Le sedie, il faccia a faccia: come si è arrivati al disgelo tra Trump e Zelensky” che, pubblicato sull’edizione di ieri di Repubblica, trovo interessante proporre ai nostri lettori.
Osservando la foto e leggendo l’articolo a me è venuto spontaneo pensare:”Ecco il primo miracolo di papa Francesco…”
Buona lettura
EDF

 

Da La Repubblica del 27 aprile 2025: Le sedie, il faccia a faccia: come si è arrivati al disgelo tra Trump e Zelensky
di Fabio Tonacci

L’incontro è stato improvvisato, ma non casuale. La regia di Macron e Starmer e il ruolo del Vaticano. Il guizzo di monsignor Sapienza che porta le poltroncine e della capa del cerimoniale ucraino che scatta la foto storica nella basilica.

CITTÀ DEL VATICANO – Non è la perfezione a spingere la foto nella Storia, quanto piuttosto l’istante di verità che riesce a cogliere di una narrazione imprevista, di un incontro fuori programma ma non casuale. Organizzato all’ultimo ma pensato da tanto. Si vede nella postura curva di quei due potenti, in disparte nella basilica più sacra e nel momento più solenne, anche se l’inquadratura è un po’ storta. L’istante di verità è nella riga d’ombra che traccia le espressioni dei volti di Trump e Zelensky, seppur leggermente sovraesposti in un confessionale improvvisato dove non è chiaro chi sia il peccatore e chi l’assolutore. Si vede, ancora, nel monsignore che accosta alla parete di marmo la terza sedia che non è servita. E che non sa di essere entrato di spalle nell’immagine che tutto il mondo ricorderà.

Quando la direttrice del protocollo presidenziale ucraino che accompagna Zelensky estrae dalla borsa il telefonino e scatta la foto — la prima di una serie di tre — le esequie di Papa Francesco non sono ancora cominciate. Le 9.30. Fuori, gli altoparlanti diffondono l’Antiphona ad introitum della Schola. Dentro, due uomini siedono uno di fronte all’altro sotto a un Cristo battezzato nelle acque del Giordano.
La bara di cipresso con la salma di Bergoglio è in fondo alla navata centrale, a una settantina di metri. Attorno ai due interlocutori, a distanza, ci sono Andriy Yermak, capo dell’ufficio del presidente ucraino, il ministro degli Esteri Andrij Sybiha, l’assistente di Trump Dan Scavino e monsignor Javier Domingo Fernàndez Gonzàlez, responsabile del protocollo della Segreteria di stato della Santa Sede. Gli spettatori di un momento storico che non riescono a udire.
Il proscenio del colloquio, a tratti bisbigliato, è maestoso: la Cappella del fonte battesimale con la pala di Carlo Maratta (si trova all’ingresso della basilica di San Pietro, sulla sinistra), l’urna di porfido rosso, il mosaico dell’arma papale di Giovanni Paolo II sul pavimento, la scritta “totus tuus” che è il motto della dedizione assoluta. E due sedie di legno rivestite di tessuto damascato, rimediate in fretta da monsignor Leonardo Sapienza, curiale compassato e taciturno, che prima degli altri si è accorto che Zelensky e Trump intendevano parlarsi ma non in piedi.
Sapienza è quindi uscito sul sagrato e ha sottratto tre sedie dai filari già disposti per le autorità straniere. Tre perché riteneva, sbagliando, che il presidente degli Stati Uniti e il presidente dell’Ucraina avessero bisogno di un interprete per confrontarsi sui concetti opposti di pace giusta.
Due mesi fa il loro faccia a faccia è stato un disastro in mondovisione. Questa però non è la Casa Bianca, è la casa di Dio, non si può alzare la voce, la regola è ascoltare l’altro. E infatti la chiacchierata, durata quindici minuti, ha un altro esito. «Sono soddisfatto», riferirà poi Zelensky. Ma, come detto, l’incontro non è stato fortuito e ha cominciato a concretizzarsi alla vigilia della trasferta romana per l’ultimo addio al Pontefice della pace.

Venerdì Zelensky non è ancora sicuro di partecipare. Kiev è presa di mira dai droni di Mosca, dodici morti, la fase è complicata. Oltretutto non ha intenzione di stare a pochi metri da Trump senza la garanzia di riprendere il discorso interrotto in malo modo a Washington. Il tycoon però lancia un segnale prima di salire sull’Air Force One che lo porta in Italia. «Se incontrerò Zelensky? È possibile». A quel punto — come riferiscono a Repubblica fonti qualificate ucraine — i diplomatici si mettono a lavorare per organizzare un bilaterale vero, coi crismi dell’ufficialità. La sede c’è: Villa Taverna, residenza dell’ambasciatore americano nel quartiere Parioli, a poche centinaia di metri dall’hotel dove Zelensky soggiornerà con la first lady. «I tempi però erano stretti, Trump prevedeva una permanenza a Roma troppo breve per un vertice». Dal suo arrivo alla ripartenza, infatti, non trascorreranno più di 15 ore.

La soluzione quindi è il colloquio al volo. Breve ma di contenuto. E che sia protetto, riparato, dove i due presidenti cioè si possano guardare negli occhi senza intrusioni e senza un vicepresidente provocatore come J.D. Vance ad attizzare gli animi. È un’idea che il premier inglese Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron coltivano da tempo: si sono convinti che Trump, fuori dal suo inner circle, sia più ragionevole, meno impulsivo. Stavano lavorando da un po’ per mettere Zelensky e il tycoon in condizioni di parlare senza interferenze e i funerali papali diventano l’occasione ideale. La Santa Sede viene informata dell’incontro nella notte tra venerdì e sabato e gli alti prelati sono d’accordo: la diplomazia vaticana si mette a disposizione per facilitare il dialogo tra i due, dovunque essi vogliano vedersi. San Pietro appare a tutti un luogo consono.

Zelensky atterra a Roma alle 7.20 di ieri mattina, in valigia al posto della solita mimetica – oggetto di scherno durante il vertice alla Casa Bianca – ha un abito nero che richiama una divisa ma adatto per una cerimonia. E’ firmato dello stilista ucraino TM Viktoranisimov. Trump è arrivato la sera precedente. Ha dormito con la moglie Melania a Villa Taverna. Il piano è vedersi trenta minuti prima dell’inizio della liturgia, previsto per le 10. Nella basilica si fanno trovare, non a caso, sia Macron sia Starmer, che infatti incrociano il contemporaneo arrivo di Trump e Zelensky e quasi li accompagnano a sedersi sulle sedie rimediate da monsignor Sapienza. Poche battute, poi l’inglese e il francese lasciano da soli l’ucraino e l’americano.
Si fanno le dieci, la messa sta per iniziare, Trump e Zelensky hanno preso posto loro assegnato nella prima fila. La piazza gremita è silente, composta. La capa del protocollo di Stato ucraino pubblica le tre foto sul profilo ufficiale, mentre l’assistente di Trump posta un breve video dell’incontro.
Le immagini che rimarranno nella Storia cominciano a circolare sui social. «In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti…», scandisce il cardinale decano.

1 Comment

1 Comments

  1. Franco Ferraiuolo

    28 Aprile 2025 at 17:48

    Ciao Enzo, ho letto l’articolo sulla foto di Trump e Zelensky nella Basilica di S. Pietro. Ho avuto anch’io la stessa sensazione, immediata, che hai avuto tu e cioè che fosse il primo miracolo di Francesco. Tant’è che al riguardo ho pubblicato un post sul mio profilo fb. Spero proprio che quell’incontro sia veramente propedeutico all’affermazione della pace.

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