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Cinema e papato (prima parte)

di Gianni Sarro

La morte di Papa Francesco, l’apertura della Sede vacante e il richiamo al ruolo spirituale e politico del papa.

Lunedì mattina si è spento Papa Francesco, lasciando molti — anche se non tutti — fedeli nello sconforto. È un sentimento naturale, che accompagna ogni volta la scomparsa del leader di una grande comunità, com’è quella della Chiesa cattolica.
Il papa è, a tutti gli effetti, un monarca assoluto: regna fino alla fine dei suoi giorni. Una regola infranta solo nel 2013, quando Benedetto XVI, con un gesto tanto rivoluzionario quanto inatteso, decise di dimettersi. E fu proprio Joseph Ratzinger, considerato un conservatore, a rompere una tradizione secolare.

Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, è stato il primo pontefice proveniente dal continente americano e il primo gesuita a salire al soglio di Pietro. Il suo pontificato, iniziato nel 2013, è stato segnato da una forte spinta al dialogo, all’inclusione e a una Chiesa più vicina agli ultimi. Con il suo stile diretto, spesso informale, e con gesti simbolici di grande potenza, ha saputo parlare a credenti e non credenti, suscitando ammirazione ma anche critiche.

Il suo nome, Francesco, ispirato al santo di Assisi, non era una scelta casuale: era il manifesto di un pontificato che voleva essere evangelico nella sua essenza, sobrio nella forma e radicale nei valori. Il suo messaggio, centrato sulla misericordia, sulla giustizia sociale e sull’ecologia integrale, ha lasciato un’impronta profonda, anche tra coloro che si sono spesso trovati in disaccordo con lui.

Il fascino del conclave e contesto storico. L’attrazione collettiva per la ritualità del conclave e la sua estetica.
Il periodo che ora si apre per la Chiesa — o, meglio, per lo Stato del Vaticano (perché è bene ricordarlo: il Papa è sì il capo spirituale dei cattolici, ma anche un capo di Stato a tutti gli effetti) — è quello della Sede vacante. Una fase regolata con precisione dal Codice di diritto canonico, che durerà fino a quando i cardinali, riuniti in conclave, eleggeranno il nuovo pontefice. Ricordiamo anche che il per tutto il primo millennio è innanzi tutto il vescovo di Roma. È solo dopo l’anno mille che cambia qualcosa: il Papa s’inventa che Dio gli ha attribuito la prerogativa non solo di essere il capo spirituale della cristianità, ma anche di governare il mondo cristiano.

È stato Papa Gregorio X, durante il Concilio di Lione del 1274, a istituire — con la Costituzione Apostolica Ubi Periculum — le norme che, in larga parte, regolano ancora oggi l’elezione del pontefice. Tra queste, l’obbligo per i cardinali elettori di riunirsi entro dieci giorni dalla morte del papa nel palazzo in cui risiedeva. Una misura volta a evitare lunghe vacanze di potere, come accaduto in passato.

Un’altra consuetudine che si è affermata nei secoli è quella di assumere un nome diverso da quello di battesimo: il primo a farlo fu Mercurio di Proietto, che nel 533 d.C., ritenendo il proprio nome pagano poco adatto al ruolo, scelse il nome pontificale di Giovanni II. Da allora, cambiare nome è diventato un gesto simbolico che segna l’inizio di una nuova missione spirituale.

Ciò che continua ad affascinare milioni di persone, anche non credenti, è il sapore antico di questo momento: un fascino rétro, intriso di mistero, legato a una tradizione millenaria che, in apparenza, si ripete sempre uguale a sé stessa. A partire dalla solenne sfilata dei 136 cardinali elettori, con i loro abiti bianchi e rossi, che catturano lo sguardo con la forza cromatica di un rituale senza tempo.

È proprio questo intreccio di ritualità, silenzi e simboli visivi — la teatralità involontaria del conclave — ad aver colpito l’immaginazione di registi e sceneggiatori. Il cinema, con il suo occhio curioso e spesso irriverente, ha provato più volte a entrare dietro quelle porte chiuse, restituendo al pubblico non solo l’immagine di un evento sacro, ma anche le tensioni umane, i dubbi, i giochi di potere che si celano sotto le vesti cardinalizie.

Da Moretti a Meirelles, il conclave è diventato scenario ideale per riflessioni sull’identità, sul peso del ruolo papale, e persino sulla fede stessa. Perché il conclave, al cinema, non è mai solo il luogo in cui si elegge un uomo: è lo specchio, spesso spietato, di una Chiesa in trasformazione.

Il cinema e il conclave
Tra le rappresentazioni cinematografiche più incisive del conclave spiccano due film: Habemus Papam (2011) di Nanni Moretti e I due papi (2019) di Fernando Meirelles. Entrambi raccontano il cuore del Vaticano, ma lo fanno con tonalità opposte: il primo con ironia e malinconia, il secondo con introspezione e dialogo.

In Habemus Papam, l’autore mette in scena l’elezione di un papa riluttante, interpretato magistralmente da Michel Piccoli. Il conclave, in questo caso, non è solo un luogo di decisione, ma anche una gabbia dorata da cui il protagonista tenta di fuggire, letteralmente. Moretti gioca con il paradosso: un uomo scelto per guidare il mondo cattolico, che però si scopre troppo umano per sostenere un peso così immenso. Il film smonta la retorica dell’infallibilità e ci restituisce, con grazia e ironia, l’immagine di un papa smarrito, fragile, e per questo incredibilmente vicino allo spettatore.

Il film non è interessato a mostrare gli ingranaggi del conclave in chiave cospiratoria o politica. Al contrario, si concentra sulla solitudine del potere e sulla paura di non essere all’altezza. La macchina del Vaticano — austera, rituale, impersonale — diventa la scenografia immobile su cui si muove un personaggio che cerca disperatamente di non essere ridotto a un simbolo.

[Cinema e papato (1) – Continua]

 

Segnalato tre giorni da Paolo Palazzi del “gruppo Dialettica” il video seguente – da ottolinatv.it –  è stato visionato dalla Redazione e da Gianni Sarro che ne caldeggia la pubblicazione:

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