di Fabio Lambertucci
Presentazione dell’Autore
Dal carcere borbonico di Santo Stefano, Ventotene nel 1960 evase il noto bandito ergastolano Benito Lucidi (Villa Santo Stefano, FR, 1923 – Anzio, Rm, 1997) detto “il re delle evasioni” assieme al “mostro di Vignanello” Antonio Piermartini. Le sue gesta criminali riempirono le pagine dei giornali e dei rotocalchi illustrati alimentandone la leggenda. Ho voluto raccontarne la vicenda, immaginando un suo momento di tranquillità negli ultimi anni di una sciagurata vita, vissuti da libero cittadino, avendo finito di scontare la sua pena nel 1985.
F.L.
A Ivano Romiti, mia guida.
A cavallo della tigre
Anzio (Roma), casa di Benito Lucidi, domenica 5 agosto 1990. Stasera potrò finalmente vedere in tv, assieme alla mia amata compagna Anna, il film del 1961 “A cavallo della tigre” di Luigi Comencini con il grande Nino Manfredi, ciociaro come me. Quando uscì nelle sale purtroppo ero rinchiuso in carcere!
Mi dissero che gli autori si erano ispirati alle mie famose evasioni che venivano raccontate con delle belle tavole a colori dalla “Tribuna illustrata” e dalla “Domenica del Corriere”.
Mi chiamavano allora “il re delle evasioni”: il bandito ed ergastolano Antonio Italo Benito Lucidi detto “Mino il Marinaio” di Villa Santo Stefano in Ciociaria, classe 1923, ex marinaio della Decima MAS di Junio Valerio Borghese, omicida per rapina a Roma nel 1946 dell’industriale Casimiro Santiangeli e autore di altre rapine a mano armata.
La mia prima clamorosa evasione fu da Regina Coeli nel 1954 assieme al bandito sardo Luigi Dejana, la seconda nel 1960 dal famigerato carcere borbonico di Santo Stefano, l’isolotto vicino a Ventotene, facendo perdere il posto al buon direttore Eugenio Perucatti, e l’ultima, fallita, nel 1965 dall’isola di Pianosa. Poi non sono più riuscito a fuggire dal carcere di Portolongone sull’isola d’Elba e infine sono stato messo ai domiciliari prima a Villa Santo Stefano poi qui ad Anzio.
A scuola ero una peste – pisciavo nei calamai! – e il terrore della maestra Teresa che mi ha bocciato più volte. Mio padre Stefano mi portò così a lavorare con lui ad Anzio in un asilo infantile e colonia estiva gestita da suore.
Venne la guerra e fui arruolato in Marina. Dopo l’8 settembre 1943 ritornai al paese e vendetti armi ed esplosivi, la mia passione, che avevo rubato in caserma. Il 18 ottobre la mia bellissima sorella minore Ada Milena purtroppo fu dilaniata da una bomba a mano! Che immenso dolore!
Mi misi a fare l’apprendista calzolaio nella bottega del sor Domenico ma non faceva per me e un giorno gli rivelai che volevo andare al Ponte delle Mole a sparare ai tedeschi con il mio mitra! Il sor Domenico mi scongiuro’ di non farlo per evitare la rappresaglia contro i paesani. Decisi così di arruolarmi nella X MAS del comandante Borghese nella RSI. Nel marzo del ’44 venni inviato ad Anzio a combattere contro gli anglo-americani.
Alla fine della guerra raggiunsi a Roma mia madre Augusta che faceva la serva del chirurgo Pietro Valdoni che abitava ai Parioli. Io invece andai a vivere nel popolarissimo quartiere di Torpignattara tra la via Casilina e la Prenestina e cercai di arruolarmi nella Polizia e nelle Guardie di custodia ma non mi vollero! Incattivito cominciai così a frequentare i piccoli malavitosi di San Lorenzo, del Pigneto e di Centocelle e divenni un rapinatore! Intanto mia madre riuscì a farmi assumere, grazie a Valdoni, come autista e meccanico dall’industriale Santiangeli. Però lui infine mi licenzio’ perché ero troppo ribelle! Una sera di dicembre nel suo garage in via Archimede lo affrontai perché volevo essere ben ripagato, quello stronzo reagì e fui costretto a sparargli due colpi, uccidendolo! Mi aveva però strappato un bottone dall’impermeabile e fu quello che mi fregò! Dalla rapina avevo ricavato un milione di lire e una penna stilografica d’oro e fuggii in Liguria perché volevo contattare gli ex commilitoni della Decima che arruolavano per la Legione Straniera francese. Invece, mentre rubavo un’auto, fui arrestato da due carabinieri. Mi processarono a Latina, confessai l’omicidio e al manicomio criminale di Aversa mi fecero la perizia psichiatrica che diceva che ero un povero pazzo ma i giudici non la tennero in conto: ergastolo! Prima della sentenza d’Appello nel 1954 mi tagliai le vene con una lametta da barba ma mi salvarono. La condanna fu confermata e in attesa di destinazione quei fessi mi misero in cella nel terzo braccio di Regina Coeli con il noto bandito sardo Luigi Dejana che aveva ammazzato un operaio di una cava di pietra di Allumiere durante la rapina delle paghe e un tale Luigi Angelini, in attesa di interrogatorio.
Io, mezzo matto ma non scemo, mi ero portato un libro con dentro un seghetto! Aiutato dal Dejana segammo le sbarre della finestra e la notte del 18 febbraio 1954 ci calammo lungo il muro di cinta con le lenzuola annodate. “Due evasi di notte!” avrebbe detto Toto’!
La Tribuna Illustrata. 18 febbr. 1954. Lucidi Deiana. Fuga da Regina Coeli.
La foto segnaletica del Lucidi apparsa nella stampa nazionale. Da Momento Sera
Andammo da “er Gorilla”, già mio complice, ma quell’infame non ci volle aiutare per non avere problemi con la Polizia, ci disse. Raggiungemmo comunque gli impervi Monti della Tolfa, dove Dajana doveva aver nascosto il suo favoloso tesoro, i trenta milioni del bottino della rapina alla cava! Lì però ci separammo. Lui voleva ritornarsene in Sardegna, io mi diressi verso Genova destinazione Legione Straniera. Si era però scatenata una caccia all’uomo nazionale con due milioni di taglia! Le frontiere erano supercontrollate e dovetti tornare a Roma per farmi aiutare da mia madre. Le feci recapitare il luogo dell’appuntamento: davanti al cimitero del Verano, dove molto ben armato mi ero nascosto. Nel pomeriggio del 6 maggio 1954 si scatenò così una delle più cruente sparatorie della storia criminale di Roma. Infatti mia madre per paura che la Polizia mi uccidesse pensò bene di tradirmi! Uno sbirro tentò di abbattermi a terra ma mi divincolai e sparai, riparato dietro una colonnina di marmo, due caricatori finché si inceppo’ la pistola e lanciai tre bombe a mano. Loro invece mi sparavano con i mitra! Fui colpito a una spalla e a un piede, portato al Policlinico mi operò Valdoni!
La Tribuna Illustrata del 16 maggio 1954. Arresto Lucidi, Verano
Roma, Cimitero Monumentale al Verano: la colonna di granito scheggiata dai colpi di arma da fuoco della Polizia il 6 maggio 1954 (foto 2008, di M. Felici)
Da Il Resto del Carlino: Benito Lucidi, in gravi condizioni, dopo la sparatoria al Verano, viene trasportato all’ospedale
La prima pagina del Messaggero di Roma di venerdì 7 maggio 1954. A Benito Lucidi, in seguito alle sue evasioni, la stampa nazionale dedicò sempre grandissimo risalto
Avevo con me una scatola contenente esplosivi e il questore si convinse che volevo far saltare in aria le case dei giudici che mi avevano condannato. Mi chiese di Dejana però io non ne sapevo più niente di lui. Mia madre convinse poi Valdoni a farmi ricoverare per la convalescenza nella sua clinica privata sulla Cassia. Povera mamma, capii il suo gesto, voleva salvarmi, il Natale seguente le mandai un grande panettone per farle capire che l’avevo perdonata!
A Tolfa a settembre la Polizia catturò con un trucco quel fesso di Dejana: lo avvicinarono travestiti da tre giornalisti che volevano fargli un’intervista e delle foto in cambio di tre milioni di lire e gli saltò addosso uno sbirro esperto di lotta giapponese!
La Domenica del Corriere.n° 38 del 19 settembre 1954. La cattura del bandito Dejana
Io invece prima nel carcere di Volterra poi nel luglio 1960 in quello borbonico dell’isola di Santo Stefano che mi sembrava proprio il castello d’If, quello del conte di Montecristo! Il direttore Perucatti, napoletano, cattolico, padre di dieci figli, lo stava rendendo più umano per gli ergastolani però con la mia incredibile fuga gli feci perdere il posto! Conobbi infatti un altro ergastolano, Antonio Piermartini detto “Il mostro di Vignanello” per aver ucciso tre uomini, tra cui il padre, a colpi di mitra! Con lui il 17 novembre 1960 segai le sbarre della finestra, ci calammo con le corde lungo una parete di roccia di 11 metri… il resto non posso però rivelarlo! Stavolta la taglia fu di 5 milioni!
Tribuna Illustrata novembre 1960. Lucidi e Piermartini, fuga da Ventotene
La fuga dal carcere dell’isola di Santo Stefano con le versioni del Piermartini e della Polizia
La prima latitanza la passai al mio paese poi andai a Roma da una zia che viveva nel borghese quartiere Prati. Mi stavo facendo fare un passaporto falso quando il 29 dicembre 1960, sicuramente tradito dal falsario, in via Silla fui arrestato da decine di poliziotti! Cinque anni buono buono al carcere dell’isola di Pianosa, poi con una camera d’aria presi il largo. Mi fregarono le correnti e fui subito catturato!
Da Il Messaggero. La fuga solitaria da Pianosa, il Lucidi incontrò sfavorevoli condizioni climatiche e venne catturato il giorno seguente
Trasferito a Portolongone, ora Porto Azzurro, all’isola d’Elba, nella cella solo la brandina, all’aria da solo legato con quattro catene a quattro carabinieri! Eppure nel 1977 durante un permesso d’uscita fui tanto idiota da fare una rapina a mano armata a viso scoperto in un negozio di Livorno, subito arrestato! Conobbi in questa galera il noto bandito torinese Pietro Cavallero che appassionato di pittura mi regalò dei suoi quadri. Anche sulla sua banda hanno fatto un film nel 1968: “Banditi a Milano” di Carlo Lizzani con il grande Gian Maria Volonte’ e Tomas Milian.
Infine nel 1985, due anni prima della famosa rivolta carceraria, i domiciliari e il mio nuovo mestiere imparato in carcere: rilegatore di libri.
Inizia il film…
Ultima foto. Benito Lucidi 1923 – 1997
Note (a cura dell’Autore)
Ringraziamenti.
Molte delle foto e delle notizie riportate, oltre che dalla stampa dell’epoca (ibidem) sono state ricavate dall’accurato saggio del prof. Ernesto Petrilli: Benito Lucidi, il re delle evasioni. Su: https://www.villasantostefano.com/villass/benito_lucidi/, dal sito del Comune di nascita di Benito Lucidi: https://www.villasantostefano.com/
A cavallo della Tigre. Comencini. 1961. Copertina dvd
A cavallo della tigre, il titolo che ho voluto dare a questo racconto basato su fatti realmente accaduti è ripreso da un film del 1961, diretto da Luigi Comencini, di cui riporto il parere critico di Morando Morandini (autore di una Enciclopedia del Cinema).
«In bilico tra ironia e patetismo, è un apologo grottesco e dolceamaro sul malessere sociale nell’Italia del miracolo economico. Manfredi esordisce bene nel registro drammatico in un personaggio diviso tra un sistema che non gli appartiene (il carcere) e un altro (la società, la famiglia) che non gli è mai appartenuto. Prodotto in cooperativa da Age, Scarpelli, Alfredo Bini, Mario Monicelli e lo stesso Comencini, fu un fiasco: troppo sgradevole e provocatorio»
Una scena del film A cavallo della tigre, con Mario Adorf, Nino Manfredi e Raymond Bussières
Fabio Lambertucci ®, 2025
