di Luigi Maria Dies
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Il riferimento è a quest0 articolo pubblicato dai giornali:
“La spiaggia di cala Feola nella bufera”
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Quaranta anni, ma anche di più, con “i vriccilli” sotto i piedi e la certezza di non aver arrecato nessun danno al pianeta.
E allora qualcosa devo dire.
Ciao umanità. Mi vergogno di appartenere alla tua specie.
È luogo comune darsi questo atteggiamento quando ci troviamo a leggere di come le persone si comportino da principali distruttori di se stessi. Mi vergogno di essere ponzese. Mi vergogno di essere meridionale. Mi vergogno di essere italiano. Io mi vergogno di appartenere al genere umano.
Esagerato!? E perché poi?
È stato portato alla luce il misfatto del secolo.
La spiaggia di Cala Feola quale ombelico del pianeta di degrado ambientale ed ecologico.
“Sotterrati rifiuti che mettono a rischio la sopravvivenza dell’ecosistema universo”.
Ma smettiamola.
Non voglio sorvolare ma il sensazionalismo che ogni volta trasuda da certi articoli, dove lo scoop è più importante della verità, non fa bene sicuramente al pianeta e fa sicuramente soltanto male gratuito a Ponza e a quei tanti ponzesi che oggi sono in affanno e già molto demoralizzati dalla non certo rosee prospettive lavorative sui litorali dell’isola.
Da trecento anni la vita dei pescatori arrivati a Ponza con l’unica prospettiva di spaccarsi la schiena per mettere un piatto in tavola si è svolta sui molto pochi accessi possibili al mare, quali calette e spiagge.
Sulle spiagge le barche dei pescatori nascevano e venivano alla fine lasciate a consumarsi alle intemperie e all’agente corrosivo del tempo. Dal mare veniva l’aiuto all’oblio con le onde che accrescendo la spiaggia con l’accumulo di sabbia davano una qualche pietosa sepoltura ai relitti. Come a cala Feola così al “Ninfeo di Augusto” sotto la Torre borbonica, altro arenile in grotta sequestrato. Considerato anche a rischio frane ma mai limitato dalle famigerate boe arancioni. Forse per non vedersi costretti ad evacuare tutto l’abitato che si affaccia sul crinale sovrastante.
E vi posso raccontare di entrambi i luoghi.
Ponza. Cimitero, grotte Pilato e Torre borbonica
Ho frequentato nel tempo la grande grotta sotto la torre. Ho impresse nella mente le sue pareti di roccia dove ancora è visibile il lavoro dello scalpello romano e dove invece i distacchi hanno cancellato le linee originali del tempio/santuario/ninfeo. Posto ricco di storia anche quello che qualcuno potrebbe anche pensare di riscoprire e valorizzare.
Angoli ancora con le forme strutturali leggibili. Cunicoli di intercomunicazione e ricambio acque scavati a colpi di piccone e scalpello. Su alcune pareti i graffi dell’utensile sono ancora nitidi. I cunicoli interni ostruiti ormai per il 90% della propri altezza ma che ancora riescono a raccontare la storia.
Quella che non si vede più è la grande vasca/piscina. Il “Ninfeo di Augusto”, ormai sepolto sotto metri di ciottoli accumulati al suo interno dal mare. Queste spelonca un giorno sfarzosa e vissuta da matrone ed ancelle ciarliere, questo sorriso sul mare di leggiadre fanciulle imperiali, è stato per i quasi trecento anni ultimi recenti, teoricamente un ricovero ma in pratica, poco più che un cimitero di imbarcazioni destinate ad esaurirsi lentamente.
C’è spazio per venti e anche più, piccole imbarcazioni che forse inizialmente mai nessuno ha pensato di lasciare lì abbandonate in modo definitivo. A volte mancavano gli spazi sugli alaggi che sono sempre stati liberi finché non sono diventate indecenti le imbarcazioni e decorative le automobili. Quasi sempre c’era la volontà di tornare a riprendere la propria piccola barca per dargli un’altra stagione di vita. Ma tante casualità hanno fatto sì un poco alla volta la grotta diventasse un cimitero.
Quando si è colmata, le barche successive sono state sovrapposte agli scheletri collassati delle più vecchie.
Il caro re Carlo duca di Parma e Piacenza, signore delle due Sicilie, né tanto meno Ferdinando IV di Borbone, hanno mai avuto il tempo di fare un regio decreto che condannasse all’impiccagione chi non rimuoveva da ogni genere di spelonca o sito i resti di un naufragio previsto o imprevisto.
Fatto sta che sotto gli strati di tre secoli di vita litoranea isolana ci sono tre secoli di accumuli di storia che ora diventa cancrena.
Ma mettiamo pure l’accento sugli anni più recenti. È chiaro che a quelli di due secoli fa, che gli fai? Ti fai ridere dietro, mentre questi li hai a tiro, li acchiappi e li fai piangere.
Ma chi acchiappi? Quelli che hanno operato alla luce del sole? E tutti i fantasmi che hanno ruotato negli stessi luoghi facendo le stesse operazioni se non peggio, in quanto agivano come ombre, dove li vai a prendere?
Quelle che qualcuno definisce “aree di cantiere” erano, tra l’altro, per buona parte dell’anno, lasciate al libero uso di semplice arenile balneare… e non solo.
Il sequestro di questi giorni a Cala Feola
Personalmente posso affermare – avendo per decenni alato e varato la mia imbarcazione a Cala Feola – di aver ogni anno visto con i miei occhi, proprietari di vicine imbarcazioni fare ciò che anche io facevo. Prendere ognuno sulla sua barca tutto quello che c’era da portare via dalla parte di spiaggia dove ognuno aveva sostato, per conferirlo poi in discarica. E molte delle scorie che portavamo via erano state portate a riva dalle mareggiate. Se qualcosa è rimasto sotto la sabbia e la ghiaia è soltanto perché il mare è stato più veloce a ricoprirlo sottraendolo alla vista.
Altre scorie di impatto ambientale maggiore non sarebbero mai state occultate dai titolari i quali, ricordo perfettamente, come vivessero con l’ansia dei controlli e dei sequestri. Sicuramente altre figure poco raccomandabili e meno responsabili hanno agito con totale menefreghismo.
Sarebbe il momento di fare meno i pontefici con chi ha sempre rischiato in proprio e pagato tanto e invece rivolgersi a quei poco raccomandabili furbetti che fanno dell’anonimato e dell’invisibilità uno stile di vita che danneggia chi si prende e si è sempre preso le proprie responsabilità. Non facciamo dell’anti-inquinamento una forca per chi lotta tutti i giorni da cittadino alla luce del sole.
Questi censori che alzano il sedere e fanno e scrivono, invece che di penna, potrebbero armarsi di pala e rastrello. Basterebbero due ore sottratte all’esibizionismo ciarlatano e dedicate ad una sana sudata. Ed ecco che quella spiaggia sarebbe riportata al suo splendore, che tra l’altro non ha mai perso.
Sarà tutto vero. L’inquinamento è una cosa terribile. Ma da qui a pensare di risolverlo, ammazzando ogni tanto il ladro di polli di turno, è ancora più terribile.
