di Bixio
–
Non c’era cosa più entusiasmante, unica direi – una volta la cartella tutta rotta a tracolla, ora lo zainetto – andare per il sentiero verso la scuola col proprio amico cane scodinzolante; entri tra i banchi, lui ti osserva attraverso il vetro della porta. Rimani con quella sensazione di calore e sicurezza. Si fermerà nel cortile della scuola ad aspettarti… Non andrà via.
Poi i salti gioiosi all’uscita… Poi riprendere a correre insieme come forsennati per i campi, verso il mare, verso la libertà.
Parto da questo flash e penso ai miei nipoti costretti a lasciare le scuole a Le Forna perché i genitori lavorano a Roma.
Si ripropone ogni volta la lacerante esperienza che in gioventù coinvolse anche noi.
Le vacanze di Pasqua stanno per iniziare, i ragazzi fremono; in special modo quelli costretti ad andare a scuola in continente, non vedono l’ora di tornare sull’isola.
La piccola banda di piazza della chiesa di Le Forna si ricompatta di nuovo!
Li ritrovo al parco giochi della piazzetta, come se si fossero lasciati il giorno prima quelli più fortunati rimasti e gli altri entusiasti di essere tornati.
Premesso questo, l’interrogativo che mi tormenta è: ma allora è tutto come allora? Tutto fermo all’infanzia antica?
Nulla è cambiato; ci spedirono in collegio a soffrire col naso schiacciato sul vetro della finestra dell’aula. Forse abbiamo imparato qualcosa? Forse… ma forse lo avremmo fatto meglio restando a casa. Continuando a giocare nella piazzetta e tra gli scogli della costa, dove ora come allora, era tutto bellissimo, incantevole. Eppure non c’è niente! Né piscina, né luci di negozi, né cinema, circo, gelaterie, teatro dei burattini. Niente! Ma allora perché la sensazione e la situazione sono sempre le stesse? A distanza di anni, di decenni, di epoche diverse… Perché?
Perché ognuno di noi vuole restare qui nella piccola aula con la minuta scolaresca col proprio nome e soprannome?
Lo strappo della partenza è una sofferenza immensa sia da bambini/ragazzini che da adulti per lavoro… Eppure, ripeto, qui non c’è niente! Non saranno i grattacieli, le luci dei negozi, la massa di gente a passeggio ad attirarci e tenerci in città. Ma allora? Cos’è che ci ammalia, ci bracca e ci stringe a sé?
Forse un mondo fantastico di cui non ci rendiamo conto. Un microcosmo da cui riceviamo affetto, rispetto e amore in silenzio e da cui è difficile staccarci. La piazzetta, la vecchia chiesa. le stradine, i sentieri, il profumo della macchia mediterranea… l’amico cane che corre con noi, il mare, gli scogli, le spiagge e le barche, le bettole fumose, gli amici e il vecchio che ripara la rete, le nasse, i racconti, le storie e le leggende come se fossimo – e forse lo siamo ancora – nel grembo materno o in un sogno mai interrotto!
Tutto questo penso osservando i miei nipoti, al ricevimento genitori seconda elementare; a scuola sono bravi, ma sono diversi, ripetono che abitano a Ponza, pur essendo ben integrati tra i compagni.
Fosse per loro tutte le mattine si imbarcherebbero sull’aliscafo per andare a scuola a Roma per poi tornare sull’isola la sera, anzi la loro piccola aula e i loro compagni non li lascerebbero proprio.
Non è cambiato nulla, il mio tempo vive ancora!
