di Francesco De Luca
Viviamo un periodo storico di turbamento. Perché le certezze istituzionali dominanti in Occidente, dal dopoguerra ad oggi, stanno manifestandosi inadeguate al compito di ri-strutturare l’assetto geopolitico degli Stati. Non più imperniato sull’Occidente. Altri Paesi (Russia, Cina, India, Brasile, con a fianco Corea del Nord, Iran) vogliono sganciarsi dalle sudditanze (economiche e politiche) e impadronirsi del loro destino. Il che determina/determinerà una molteplicità di poli.
Gli strumenti politici utilizzati scimmiottano la ‘democrazia’ come è stata da loro assunta. Di essa hanno compreso il fattore di ‘successo’ nel popolo. Il ‘potere’ si mette in sintonia col volere del popolo e lo realizza a suo piacimento. Sono ‘democrazie’ mediatiche, sono populismi.
Il fenomeno qualcuno lo definisce ‘nuovi imperi’. Perché? Perché, a) centrati su un paese territorialmente vasto;
b) comandati da un autocrate; c) fittiziamente eletto dal popolo; d) con un governo fantoccio; e) con una politica nazionalistica; f) con un arsenale bellico potente.
In contemporanea le democrazie occidentali (quelle liberali, per intenderci) hanno visto logorati i principi fondamentali della loro esistenza: 1 – la ‘rappresentanza’, espressa nel voto, si è rattrappita nelle percentuali. Per cui il 30 per cento del popolo diserta le urne, il 70 per cento si divide fra maggioranza e minoranza. Nessuna delle due espresse in un solo partito. Per cui occorre organizzarsi in coalizioni. Con più partiti, ognuno con un programma politico differenziato. Ne consegue che 2 – il Bene Comune, unico obiettivo che dovrebbe essere realizzato dal Governo, è frammentato in traguardi che interessano caste, categorie, stati sociali; 3 – la predominanza del Parlamento sui partiti è diventata un’idea umoristica; 4 – la divisione dei poteri – legislativo, esecutivo, giudiziario – con i relativi paletti da rispettare nell’equilibrio dei poteri, sono messi in discussione spesso. Ingenerando confusione e instabilità sociale. La qual cosa limita la capacità delle ‘democrazie’ a tenere il passo coi mutamenti. Quelli economici giacché i fattori di ricchezza stanno cambiando non più il petrolio bensì le terre rare, l’acqua); quelli sociali giacché si sta modificando il quadro sociale delle popolazioni (più poveri, meno classe media, più classi ricche); quelli politici giacché le migrazioni stemperano le identità religiose e razziali (per un verso) o le esasperano.
Le democrazie si sono accomodate su un modello consolidato (dal dopoguerra ad oggi), funzionale allo stato delle cose, ma refrattario al cambiamento dei tempi. Oggi esse manifestano la loro inadeguatezza, dando campo a forze (ideologiche, economiche, politiche) miranti ad un potere autocratico, illiberale, in contrasto con le idee più difficili da coniugare e realizzare – libertà, uguaglianza, fratellanza.
Questo in Italia, in Europa, nel mondo.
L’analisi non ha scopi accademici e retorici. Vuole invitare a riflettere affinché l’impegno politico sia più partecipativo.
