Racconti

Il resto del giro dell’isola (2). Nella mia fanciullezza…

di Pasquale Scarpati

Nella mia fanciullezza, di Cala dell’Acqua, Cala Feola (o meglio abbasci’u camp’), Cala Fonte, ne avevo solo sentito parlare. Andando qualche volta, rigorosamente a piedi, alle Forna per la festa dell’Assunta, dall’alto avevo visto i faraglioni di Lucia Rosa.
Le Forna, per me, terminavano, infatti, sul sagrato della chiesa. Oltre… c’era un mondo del tutto sconosciuto! Così Le Felci ed altre località della zona mi erano del tutto sconosciute anche di nome. Quando in famiglia si parlava della Calacaparra era come se si parlasse della Patagonia o come ha detto papa Francesco della… “fine del mondo”: lontanissima. Punta Incenso non esisteva neppure, nel dizionario di casa! E che dire dei “fornesi”!? Parafrasando don Abbondio: “Chi erano costoro?” …Persone che avevano addirittura un altro idioma! A casa di nonna Tummetella si parlava di una “fornese” per antonomasia che abitava nelle sue vicinanze! Si esprimevano addirittura in un modo un po’ strano per noi del Porto. Salvo poi sapere, in età adulta, che nelle mie vene corre anche sangue fornese per via dei miei avi sia materni che paterni. Chissà cosa pensavano e dicevano i “fornesi” di noi del Porto! Probabilmente ci dipingevano come persone un po’ snob! Non so. Forse già allora vi era una sorta di stacco a causa della… distanza tra i due centri che sfociava in una…. rivalità palese e/o strisciante!
Quando li conobbi di persona (per ciò che ho detto prima) ne ebbi una felice e gradevole impressione. Persone gentili, a modo, sempre disponibili e soprattutto accoglienti. Dal carattere gioviale, inclini alla risata come chi non ha malizia di sorta. Dovunque si andasse ci accoglievano come in famiglia e chi poteva o se si aveva tempo non era raro che ci offrissero anche il caffè, cosa non molto usuale in quel tempo. Noi volentieri scambiavano con loro quattro chiacchiere e ricordo che nella “Cantina degli amici” di Ciccillo (che aveva anche un furgone con cui veniva a caricare la merce da mio padre) addirittura ci sedevamo per sorseggiare qualcosa specialmente nella calura estiva. Da Stella, poi, si era di famiglia avendo lei “casa e puteca” o meglio “puteca e casa” perché ’a puteca era antistante la strada e la casa subito dietro. E via… sulla Chiana e poi Augusto ed Aprea (che erano già negozi più grandi), passando per Pagano fino a Carecazzola e Nar’ ’i Ciomm’ ed oltre. Solo per citarne alcuni. Anche quello era un… giro dell’Isola anche se per via terra!
Bando alle digressioni e  riprendo il percorso marino…

Cala Fonte, com’era prima

Quando drizzavo la prua verso la costa orientale dell’Isola avendo abbondanza di tempo a disposizione, non facevo sosta né nelle invitanti e belle Grotte Azzurre, né sugli scogli bassi vicino a ’u Casecavall’ dove a volte, per diletto, grattavo il sale nelle piccole cavità, né “scendevo” verso Frontone ma, lavorando di schiena, drizzavo la prua verso la Chiana Bianca abbagliante sotto i vivaci raggi del Sole. L’acqua limpidissima, non alterata da nessun’onda, lasciava baluginare il fondale marino nella sua grande diversità.


Mi diceva: “Toccami”. Ed io, molto volentieri esaudivo il suo desiderio. Ma quanti sforzi per raggiungerlo! Né maschere, né pinne mi aiutavano. Ad occhi aperti mi immergevo. Ma quello sembrava irraggiungibile. Ancora uno sforzo ed ecco che riesco a toccare il fondo facendo attenzione a qualche riccio malandrino. Qualche volta, qualche medusa se ne va pigramente. La guardo terrorizzato avendo ben conosciuto la sua puntura.
La ricordo bene! Mi colse all’intrasatta (all’improvviso) in quel di Frontone mentre nuotavo per raggiungere una palla lanciata in acqua. Da una parte un bruciore intenso, dall’altra una certa comicità nel vedermi che il petto si gonfiava come una… donna! Zia Sabettina, accorsa prontamente, aveva il rimedio a portata di mano: una spalmata d’olio!
Proseguendo… l’antico “pertugio” della grotta del “Core” con il suo sigillo in alto. Spiagge ampie, petrose, poco accoglienti, per me. La nera parete di Cala d’inferno mi rattristava. Non un anfratto. Un pertugio da cui si dipartivano ripide scale. Era d’obbligo fermarsi comunque, perché la fatica sui remi era tanta. Dopo mezzodì si avvertiva una rinfrescante “refola” di vento. La superficie dell’acqua poteva diventare più scura ed un po’ increspata. Voleva dire che dall’altro versate si era alzato il maestrale: “Vento di buon tempo” – dicevano i padri. Specialmente quando alzavano la vela verso Terracina. Arrivato allo Spaccapurpo: altro attraversamento festoso sotto un arco di… trionfo.

Ma già era ora di tornare con maggiore fatica perché le forze cominciavano a scemare. Zannone – delle 6, altra sorella minore – era anch’essa molto lontana e Gavi, sebbene più vicina, non mi attraeva. Rientrato, non mancava la voglia di rifare di nuovo il “mio “ giro dell’Isola. Mi fermo per prendere fiato.

Veruccio mi guarda e dice: Tutto qui!? Dov’è il giro dell’Isola?
Aggiunge: – Hai impiegato tanto tempo per descrivere… che cosa? Appena un mezzo giro!?
Gli rispondo ridendo: – Eh già! Ma quello era un giro… lento o lento giro, oggi tutto il periplo dell’Isola si fa in un… quarto d’ora! Si prende il vento in faccia che ti schiaffeggia ma soprattutto ti fa lacrimare: Non vedi nulla o quasi!
Se ne va ridacchiando sotto i baffi.

Buona Pasqua e Pascone a tutti!
A proposito dove ci si dirige, per… Pascone? Ai miei tempi, per noi del Porto: ’u Chian ’i Riol per gli “strappatelli-adolescenti” dove tutto era spianato: alla luce del Sole; il Fieno per la gioventù innamorata (o quasi) che si andava ad…”infrattare” tra i numerosi vastaccett’ e/o grotte.
Ah! I ricordi!

[Il resto del giro dell’isola (2). Nella mia fanciullezza… – Fine]

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