Detti e Filastrocche

Nun me fide cchiù…

di Francesco De Luca

Sempre più spesso mi vedo spinto a riportare alla ribalta della coscienza popolare ponzese frammenti di preghiere, riti, detti e tiritere con cui la comunità isolana del Novecento esorcizzava il futuro, si corazzava contro l’incertezza del domani, tentava di difendersi dalle avversità. Superstizioni, credenze, sollazzi, paure.
Succede a me perché, forse, sono circondato dalla nomèa di colui che non disdegna il gusto delle cose antiche, di ciò che in passato aveva un suo valore ‘umano’.
Per un verso questo mi gratifica perché mi situa all’interno della comunità isolana con una funzione socio-culturale, per un altro verso mi avvedo che i ricordi del passato sono stracarichi di tristezza. Come qualcosa che si è persa e non ha modo di ri-vivere se non nel dolore della perdita.
Questo che presento è un canto suggeritomi da una signora. Come ci siamo arrivati?
Scende a fare la spesa dagli Scotti. E’ novantenne ma ha una ‘carica’ vitale forte. Al supermercato ci va da sola, poi viene il figlio e la riporta a casa con la spesa. Sempre cordiale. Anche in questo periodo in cui le pratiche religiose indulgono alla contrizione perché si è nella Settimana Santa. In lei il supporto religioso non è esclusivo. E’ una donna che sa dosare la sua salute, quella dei figli, il tempo liturgico e il tempo meteorologico. Tengo n’aità, figliu mio. Così dice a me che ne ho quasi ottanta.
E’ leggera nello spirito ma l’età l’aggrava. Il cielo è plumbeo, le campane non tinnano perché legate dalla Settimana di Passione, le rondini non allietano perché assenti e il grido stridulo del falco pellegrino sa di sciagura.

Cara Madre
e gran Regina
se volete voi potete
fatelo per pietà
Regina de lu cielo
divina maistà
chesta grazzia ca te chiedo
fammella pe pietà
Fammella, o Maria
me la faie pe carità
pe chillu dono ca receviste
dalla Santissima Trinità

Canta sommessa e si inceppa. Poi mi guarda e bisbiglia:

Madò’, fammella ‘sta grazzia, ind’u core nun tengo cchiù spazzio pe rire.
Levammella, Mado’, ‘sta vita, nun me fide cchiù, nun me fide…

E io rimango di sale!

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