proposto da Sandro Russo
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“Quanto più totale la società, tanto più reificato lo spirito e tanto più paradossale la sua impresa di svincolarsi dalla reificazione con le sue sole forze. Persino la più lucida consapevolezza dell’imminente catastrofe rischia di degenerare in chiacchiera inane. La critica della cultura si trova davanti all’ultimo stadio della dialettica di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie e ciò avvelena la consapevolezza stessa del perché è divenuto impossibile oggi scrivere poesia” [Theodor Adorno, “Critica della cultura e società”, 1949, pubblicato per la prima volta nel 1951; in Prismi nel 1955].
Per quanto abbiamo introiettato l’affermazione di Adorno che scrivere poesie dopo Auschwitz è un atto di barbarie, prendiamo atto che come l’istinto vitale, come la necessità di respirare, la forza del seme di germogliare, la poesia rinasce dovunque.
Ho letto queste poesie con molto rispetto e solo dopo una certa resistenza ho deciso di riprenderle qui. Decidano i lettori.
Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza
A cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti
In condivisione con Le parole e le cose – 10 aprile 2025
https://www.leparoleelecose.it/
La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza. È questo il senso più profondo delle trentadue poesie di autori palestinesi, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 e raccolte nel volume Il loro grido è la mia voce (142 pp, 12 euro) appena uscita per Fazi Editore.
Curata da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, questa raccolta propone una selezione di poesie di dieci autori palestinesi: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023). Come evidenzia lo storico israeliano Ilan Pappé nella prefazione, «la consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata».
Il volume è arricchito dalla prefazione di Pappé e da due interventi firmati dalla scrittrice Susan Abulhawa, autrice del romanzo bestseller Ogni mattina a Jenin, e dal giornalista premio Pulitzer Chris Hedges, ex corrispondente di «The New York Times» da Gaza – tradotti da Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni.
Il lavoro è anche una iniziativa concreta di solidarietà verso la popolazione palestinese.
Per ogni copia venduta Fazi Editore donerà 5 euro ad Emergency per le sue attività di assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza.
Hend Joudah
(1983)
Cosa significa essere poeta in tempo di guerra?
Significa chiedere scusa,
chiedere continuamente scusa, agli alberi bruciati,
agli uccelli senza nidi, alle case schiacciate,
alle lunghe crepe sul fianco delle strade,
ai bambini pallidi, prima e dopo la morte
e al volto di ogni madre triste,
o uccisa!
Cosa significa essere al sicuro in tempo di guerra? Significa vergognarsi,del tuo sorriso,
del tuo calore,
dei tuoi vestiti puliti, delle tue ore di noia,
del tuo sbadiglio,
della tua tazza di caffè,
del tuo sonno tranquillo,
dei tuoi cari ancora vivi, della tua sazietà,
dell’acqua disponibile, dell’acqua pulita,
della possibilità di fare una doccia,
e del caso che ti ha lasciato ancora in vita!
Mio Dio,
non voglio essere poeta in tempo di guerra
***
Ni’ma Hassan
Una madre a Gaza non dorme…
Ascolta il buio, ne controlla i margini, filtra i suoni uno ad uno
per scegliere una storia che le si addica,
per cullare i suoi bambini
E dopo che tutti si sono addormentati,
si erge come uno scudo di fronte alla morte
Una madre a Gaza non piange
Raccoglie la paura, la rabbia e le preghiere nei suoi polmoni,
e attende che finisca il rombo degli aerei,
per liberare il respiro
Una madre a Gaza non è come tutte le madri
Fa il pane con il sale fresco dei suoi occhi…
e nutre la patria con i suoi figli.
***
Yousef Elqedra
(1983)
Posso scrivere una poesia
con il sangue che sgorga,
con le lacrime, con la polvere nel mio petto,
con i denti della ruspa, con le membra smembrate,
con le macerie dell’edificio, con il sudore della protezione civile,
con le urla delle donne e dei bambini,
con il suono delle ambulanze, con i resti di un albero che amo,
con tutti questi volti che cercano i loro dispersi,
con la voce del bambino Anas sotto le macerie che dice: “Sono ancora vivo”,
con i corpi senza lineamenti,
con l’attesa, l’attesa, e ancora l’attesa!
Posso scrivere una poesia con il fragore del tradimento,
con il silenzio nudo,
con la neutralità viscosa, con l’impotenza svelata,
con il servilismo verso l’America.
Cosa può una poesia?
***
Haidar Al Ghazali
(2004)
29/02/2024
La bambina il cui padre è stato ucciso
mentre portava un sacco di farina
sulla schiena
continuerà a gustare
il sangue di suo padre
in ogni pane.
26/08/2024
Ti hanno uccisa come si uccidono le farfalle,
e l’alba ha pregato per te,
poiché da una fossetta sulla tua guancia sorge il giorno.
Ti hanno uccisa, affinché l’aurora non torni mai più,
affinché restiamo al buio, senza vedere.
Hanno detto che minacciavi il paese
con una cintura esplosiva in vita.
Solo io,
sapevo
quanto amavi
le cinture di rose.

Teresa Denurra
11 Aprile 2025 at 21:09
Poesie da Gaza. Vale la pena frugare a fondo nel sito per trovare questo. Sangue morte, fame, sofferenza, paura, distruzione. La poesia può nascere, deve nascere da qui. L’atto poetico diventa atto di resistenza e di sopravvivenza. Scrivere poesia perché la vita riesca, nonostante tutto questo dolore, ad andare avanti.
Gaza è una tragedia e una vergogna del nostro tempo.