segnalato in Redazione da Luciano del “Gruppo Dialettica”
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Onda lunga
Trump e il “fascio-capitalismo”: prodotti finali del neoliberismo
di Giovanni Dosi – da Il Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2025
Nei ’70 è partita la reazione al trentennio che ha visto un po’ di redistribuzione.
La sinistra ha sposato la narrazione tatcheriana finendo per farsi carico dei suoi fallimenti
Per spiegare l’attuale deriva autoritaria nei Paesi Occidentali bisogna prenderla un po’ da lontano.
C’erano una volta le ormai mitizzate ‘gloriose tre decadi’ dopo la seconda guerra mondiale, caratterizzate da una crescita molto alta dei redditi in occidente, spinta in Europa dalla ricostruzione e negli USA da spese militari ma anche infra-strutturali e sociali. La produzione di massa ed il forte aumento della produttività del lavoro rendevano per la prima volta accessibili beni di consumo durevoli a buona parte della popolazione. E l’“ascensore sociale” funzionava, anche se non benissimo.
Tutto questo si reggeva (non in Italia come vedremo) su un patto sociale implicito che potremmo chiamare socialdemocratico o new deal e implicava una complementarità tra gli obiettivi di liberté, égalité, e fraternité. I sindacati erano forti e i guadagni di produttività venivano distribuiti in termini di aumenti salariali, la piena occupazione era un obiettivo politico condiviso; sanità, educazione e welfare erano considerati diritti universali, almeno in Europa, a cui lo Stato doveva provvedere. Lo Stato stesso forse nella prima volta nella storia moderna smette di essere il “comitato d’affari dei capitalisti” (Lenin) e diventa luogo di mediazione di interessi contrastanti, che fa tra l’altro politiche fiscali altamente progressive e redistributive. Non molti sanno per esempio che con il Presidente Eisenhower l’aliquota fiscale marginale sui redditi personali era del 92% e quella sui profitti attorno al 60%. Naturalmente non era tutto rosa e fiori, ma questo è l’unico periodo che potremmo definire di ‘capitalismo dal volto umano’.
L’Italia è un’eccezione. È caratterizzata per quasi tutte le tre decadi da un capitalismo particolarmente retrivo ed una struttura statale in buona parte ereditata dal fascismo che non disdegna la sovversione e le bombe come meccanismo di controllo sociale. L’Italia in quel periodo credo abbia avuto più morti ammazzati dalla polizia di tutti gli altri Paesi democratici europei messi insieme. L’Italia entra per un breve periodo nel patto obtorto collo, sotto la spinta delle rivendicazioni operaie e delle pressioni popolari. E sperimentiamo anche noi una brevissima “età dell’oro”: Sistema Sanitario Nazionale, Riforma Fiscale Visentini (molto progressiva), Statuto del Lavoratori, Divorzio, Aborto etc.
Questa stagione finisce nella maggior parte dei Paesi alla fine degli anni ’70, per diverse ragioni. Le aspettative collettive aumentano più che proporzionalmente ai risultati ottenuti e le lotte sociali si intensificano; persino parecchi socialdemocratici iniziano a parlare di “fuoriuscita dal capitalismo”; e sicuramente le classi dominanti e un bel pezzo di classe media prendono paura e vedono questi sviluppi come la dimostrazione che il compromesso non ha funzionato come garante dello status quo. Meglio tornare alle vecchie pratiche liberal-autoritarie del secolo passato. Non molto più tardi cade l’Unione Sovietica e con questo scompare quella minaccia silenziosa che aveva provvisoriamente domato le tendenze più acquisitive dei capitalisti (dopo l’evento un alto funzionario del governo americano mi disse: “Questa volta non facciamo prigionieri”).
La veloce demolizione del vecchio aveva però anche bisogno di una ideologia che legittimasse un ‘nuovo’: e qui entra in scena il neoliberismo. Subito emergono politologi che vendono sciocchezze quali il liberalismo come ‘la fine della storia’ (Fukuyama). L’ideologia però ha essenzialmente origine tra gli economisti e presto si diffonde metastaticamente nel resto della società.
Non posso qui descrivere come modelli assurdi ma apologetici delle virtù del perseguimento incondizionato del profitto si siano sviluppati in alcune università e fondazioni dell’estrema destra americana . Il punto è che diventano velocemente una “filosofia del mondo”, che copre ogni aspetto della vita sociale, prescrive l’espansione del mercato anche nel dominio di quelli che erano diritti e la precarizzazione di ogni rapporto sociale.“Lo Stato non è la soluzione ma il problema” (Reagan). Égalité e fraternité scompaiono dagli obiettivi collettivi e liberté si riduce alla libertà economica. Emerge velocemente una élite globalizzata, insofferente per gli Stati eccetto che per le politiche espansive dello Stato imperiale dell’Occidente). Quello che è impressionante è il veloce cambio di casacca di tanti intellettuali progressisti ed il “tradimento”, o quanto meno l’imbolsimento dei partiti socialdemocratici e democratici occidentali .
E così arrivano le “terze vie”, Blair, Clinton, Schroder, il secondo Mitterand e poi Holland, e persino, si parva licet, Veltroni.
Potremmo chiamarlo il neoliberismo con la vasellina. Ma con ciò la (ex) sinistra si fa carico dei fallimenti sociali del neoliberismo stesso. Le diseguaglianze nei redditi esplodono, le aspettative di una ‘vita migliore’ che aveva caratterizzato la stagione dei baby boomer si affievoliscono, l’ascensore sociale si ferma, il lavoro si precarizza, la ‘buona’ occupazione industriale si riduce . E con ciò aumenta l’insicurezza e la paura. La ex-sinistra sembra non veder tutto questo. Il risultato è che “il partito democratico ha tradito gli operai, e gli operai hanno tradito il partito democratico” (Bernie Sanders). In Italia solo il 7% degli operai vota Pd.
In questo vuoto sociale e politico si inserisce l’estrema destra rampante. Dal punto di vista delle politiche economiche è in totale continuità con i neoliberali, anzi ne è la forma estrema: le seghe elettriche dell’anarco-capitalismo di Jabier Milei sono ben condivise da Donald Trump, per esempio. Ma il fascio-capitalismo reintroduce una sua perversa versione di fraternité, di identità collettiva. Un tempo c’erano un “noi” (per esempio gli operai) ed un “loro” (per esempio i capitalisti). Adesso Margareth Thatcher e i neoliberali ci hanno raccontato che la società non esiste ma solo gli individui, e questi interagiscono sui mercati. Ma è una storia che non può convincere. Ci vuole un “noi” ed un “loro”. Il “noi” sono gli “Americani veri”, così come gli “Italiani veri”. “Loro”, colpevoli delle nostre disgrazie sono gli altri, gli immigrati, i diversi e gli infiltrati (i “comunisti”, il deep state, per esempio). Andrebbe riletta la lezione di Umberto Eco sull’Ur-Fascismus: il fascismo eterno (leggi sul sito) Tra il “noi “e il suo capo c’è una unione quasi mistica, c’è stata l’investitura del popolo e pertanto ce ne freghiamo dell’equilibrio dei poteri, delle istituzioni democratiche, dei corpi intermedi, anzi sono tutti ostacoli all’attività salvifica del nuovo regime”.
Il fascio-capitalismo si è affermato in alcuni Paesi ed enormemente rafforzato in altri, perché non c’è una opposizione capace di riscoprire la centralità dell’égalité e della fraternité, e ridefinire la nozione di liberté, che non è solo libertà economica (anzi quella va regolata e gestita) o libertà di esprimerci come vogliamo, ma è anche libertà dall’insicurezza economica, sanitaria, educativa e dalla paura del domani.
[Giovanni Dosi, da Il Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2025]
L’articolo da il Fatto Quotidiano, in formato .pdf: Il_Fatto_Quotidiano_24_Febbraio_2025. Trump e il *fascio-capitalismo- prodotti finali del neoliberismo
