Personaggi ed Eventi

Tre ricordi di Fulco Pratesi

a cura della Redazione

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Il giudizio sulle grandi personalità può essere divergente e divisivo, anzi, spesso lo è perché chi molto fa è possibile che molto sbagli. Si usa in morte di una persona evocarne solo gli aspetti positivi – De mortuis nihil nisi bonum (dicendum est) – dicevano i latini: “Dei morti niente si dica se non il bene”.
Non per contravvenire a questa massima, ma per dare una testimonianza diversa tra tante positive, pubblichiamo nello stesso articolo tre scritti: rispettivamente di Michele Serra che non ha bisogno di presentazioni per i nostri lettori, un’intervista di Elena Dusi a Luciano Di Tizio (attuale presidente del WWF ) e uno del nostro amico bastian contrario Guido Del Gizzo.

L’amaca
Le oasi di Fulco
di Michele Serra – Da la Repubblica del 2 marzo 2024

Quando se ne vanno quelli come Fulco Pratesi la tristezza è compensata dalla gratitudine, e dalla felicità di sapere che persone come lui sono esistite, esistono, esisteranno. Dire pioniere è dire ancora poco.
Ha letteralmente inventato, quasi dal nulla, il naturalismo nel nostro Paese, gli ha dato forma, passione, cultura. Gli ha dato intelligenza.
Nel 1966, quando Pratesi fondò il Wwf in Italia (il World Wildlife Fund era nato in Svizzera cinque anni prima) ecologia e ambientalismo erano parole sconosciute. Il boom economico pareva un galoppo trionfale e irriflessivo, e figurati quanto poteva pesare il punto di vista di un giovane architetto che amava disegnare gli uccellini.
L’idea di concepire “oasi” dove proteggere la fauna e la flora selvatica è sua: oggi le oasi del Wwf sono più di cento e anche a questa lunga e tenace lotta si deve la salvaguardia della biodiversità italiana, che grazie alla varietà climatica (dalle Alpi a Lampedusa) è tra le più rilevanti del pianeta.
Dire che l’orso e il lupo erano un bene da proteggere poteva sembrare, oltre mezzo secolo fa, una stravaganza, il lussuoso passatempo di una minoranza che non aveva altre urgenze da risolvere. Era, invece, un atto di amore per la natura, per la sua completezza, per la sua magnificenza e dunque per noi stessi, che ne siamo parte integrante. Se oggi lo abbiamo capito in tanti è anche per merito di Fulco, della sua gentile ostinazione, del suo irremovibile agire dentro princìpi non negoziabili.
Quanto all’idea di oasi, cosa c’è di più moderno?
Dentro lo squasso del mondo, creare zone di rispetto, di convivenza, di sicurezza, di silenzio. Vale anche per noi uomini, non solo per l’edredone e il falco pecchiaiolo.

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L’intervista di Elena Dusi al successore – ancora da la Repubblica del 2 marzo 2025
“La sua lezione: tutti noi facciamo parte della natura” 

“Era un cacciatore pentito, incantato da ogni forma di vita Non sopportava la disinformazione”

Roma. Luciano Di Tizio, presidente del Wwf Italia, ha conosciuto Fulco Pratesi nel 1973. Faceva il giornalista e doveva intervistare uno dei primi simboli dell’ambientalismo.
Cosa gli chiese?
«Come mai avesse avviato una campagna per il lupo. Con pochi illuminati ha ideato l’operazione san Francesco, che ha portato al monitoraggio e alla difesa di una specie della quale era innamorato al di sopra, se possibile, di ogni altra».
Era stato cacciatore in gioventù.
«Un cacciatore pentito. Si è reso conto che la natura aveva bisogno di aiuto. Ha fondato prima il Wwf nazionale, che oggi è arrivato alla soglia dei 60 anni, poi anche la Lipu per la difesa degli uccelli. Negli ultimi mesi usciva meno di casa, ma bastava che un passero si posasse sul balcone perché si incantasse ad ammirarlo».
Com’era nella natura?
«Una volta abbiamo fatto una passeggiata nell’oasi di Penne. Avremmo percorso sì e no 300 metri. Ogni filo d’erba, canto d’uccello, lucertola era occasione per incantarsi e raccontare. Amava le oasi della natura, finché ha potuto ha trascorso il suo tempo cercando luoghi adatti per istituirne una».
Come viveva personalmente il rispetto dell’ambiente?
«Era convinto che ciascuno di noi potesse fare la sua parte. Aveva capito che la difesa dell’ambiente è interesse anche nostro. Non serve impersonare l’essere umano buono che difende le bestie selvagge. Anche noi siamo parte di questo mondo».
Cosa pensava dei tempi di oggi?
«È stato lucidissimo fino a pochi giorni fa. Si rammaricava per le proposte di legge della maggioranza, che sta cercando di eliminare le barriere per la caccia. Il nostro è l’unico Paese in cui ai cacciatori è concesso di entrare nei terreni privati altrui. Chi fa una passeggiata non può farlo, chi porta un fucile sì. Non lo sopportava, né tollerava la disinformazione, soprattutto quando si cercava di propagandare il nucleare pulito, tacendo il fatto che la tecnologia adatta non esiste ancora».
Qual è il ricordo più bello di lui?
«Gli raccontai di una specie di pesce che stavo studiando, lo spinarello. Fa il nido per deporre le uova, come gli uccelli. Dopo qualche giorno mi spedì un acquerello disegnato da lui, che tengo appeso in casa».
Vi ha lasciato un messaggio?
«Di tenere la barra dritta, perché le strade giuste alla fine hanno successo».

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La mia esperienza con il WWF
di Guido Del Gizzo

Mentre scrivo, sulla parete accanto ho, da oltre trent’anni, quattro stampe di Fulco Pratesi, molto belle: suoi disegni di uccelli acquatici.
Ho avuto a che fare, con Fulco e Isabella Pratesi, esattamente nel 1990.
All’epoca, circa 500 ha di demanio pubblico, intorno all’area umida del “Padule” – storpiatura dialettale del termine palude , che però poi è diventata un toponimo locale – tra i comuni di Castiglione della Pescaia e Grosseto, erano stati occupati abusivamente da residenti locali, che li coltivavano in maniera dissennata.
Mais su mais ogni anno, creando, già all’epoca, il problema della risalita del cuneo salino, cioè il richiamo di acqua salmastra – siamo vicini alla linea di costa – nella falda acquifera, per effetto delle irrigazioni eccessive ed incontrollate.

La Direzione Generale del Demanio, proprietaria dei terreni, convocò una riunione con il CNR, che suggerì l’intervento dei Consorzi Città Ricerca, di recente nati da un accordo tra IRI, CNR ed ENEA, per definire un progetto di valorizzazione dell’area.
Il progetto – 100 milioni finanziati dal CNR – fu affidato all’AIAB, Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, che suggerì un progetto di reintroduzione, nell’area intorno alla zona umida protetta, dell’allevamento brado del bufalo da latte, presente nell’area fino agli anni ’50, con un carico di bestiame bassissimo e con una “cintura” di foraggere naturali, a salvaguardia del tutto.
Un progetto all’avanguardia, per l’epoca: allevamento brado, estensivo, con emissioni di CO2 quasi inesistenti e bassissimo carico di azoto.
I due comuni interessati dall’area erano, ovviamente, d’accordo e interessati all’iniziativa.
Ma avevano fatto i conti senza l’oste: Fulco ed Isabella Pratesi avevano presentato un progetto europeo per la salvaguardia degli uccelli che frequentavano l’area umida, mentre, miracolosamente, Francesco Rutelli, in quel tempo,  per due giorni era stato nominato ministro dell’Ambiente: fummo tutti denunciati per violazione della Convenzione di Ramsar, concepita dall’UE a difesa delle aree umide, e dovemmo andare a difenderci davanti alla Commissione Europea.
Ovviamente, fummo tutti assolti, ma il progetto andò a monte: nessuno aveva voglia di iniziare una guerriglia con il WWF e io stesso venni quasi alle mani con il genero – allora – di Pratesi, un ingegnere di cui ho dimenticato il nome.

Com’è finita?
I terreni sono stati sfruttati nei decenni successivi e poi abbandonati: rilevati dalla Provincia di Grosseto, alcuni anni fa furono venduti all’imprenditore Farchioni, che immaginò di usarli per la corbelleria agronomica dell’ultimo decennio: la coltivazione intensiva a spalliera degli ulivi, in pianura, con fabbisogni idrici simili a quelli del mais.
I piantoni di ulivo sono stati massacrati dalla siccità degli ultimi anni e sono lì, desolantemente secchi, i campi abbandonati a sé stessi.
Però ho ascoltato una trasmissione radiofonica, qualche tempo fa, nella quale Isabella Pratesi spiegava al mondo l’opportunità di adottare tecniche di allevamento a basso impatto ambientale.
Parafrasando il presidente francese Clemenceau, che si riferiva alla guerra e ai generali, la difesa dell’ambiente è una faccenda troppo seria per farla fare agli ambientalisti…
Che riposi in pace.

 

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