proposto da Fabio Lambertucci da www.artribune.com del 25.11.24. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Enrico Berlinguer. La grande ambizione, film di Sergio Segre 2024.
Sul sito leggi Tano Pirrone -> qui e Sandro Vitiello -> qui
8 parole chiave per raccontare gli Anni Settanta (a partire da Berlinguer)
di Ludovico Pratesi
Il denaro, la cultura, l’autenticità, i lutti, da Aldo Moro a Pasolini, cosa sono stati gli Anni Settanta, attraverso otto parole chiave e un film
Il film Berlinguer. La grande ambizione (2024) di Andrea Segre ha suscitato non poche polemiche dalla sua uscita in sala. Eppure, la visione del film offre l’opportunità di riflettere in maniera approfondita su quelli che sono stati gli Anni Settanta. A partire da una serie di parole chiave.
Anni Settanta: Autenticità
L’Italia degli Anni Settanta era autentica, non ancora ammaliata dalle sirene della sofisticazione che ha cominciato a stordirla a partire dagli Anni Ottanta. Niente flash o riflettori, né tappeti rossi o Isole dei Famosi: i politici non erano leader ma segretari, vivevano in appartamenti normali con le loro famiglie, non in ville dorate o palazzi nobiliari. Le mogli non erano soubrette o modelle, ma semplici donne e madri, spesso insegnanti di scuola: una professione del tutto onorevole e non bistrattata come oggi. E loro, i leader, si sentivano al servizio della res publica, e non viceversa.
Anni Settanta: Cultura
La cultura era un valore da condividere, il motore di discussioni e confronti dialettici tra le persone, che spesso cominciavano le loro discussioni ai tavoli dei bar la mattina, dopo aver letto i quotidiani. Un rito al quale nessuno rinunciava, prima di recarsi al lavoro o in casa, per cominciare la giornata. Si discuteva di politica, in primis, di calcio, di cinema: una volta, in un bar a Parma, ascoltai una discussione sulla qualità dei cantanti d’opera. Era una dialettica sana, appassionata, dinamica: sempre un confronto, mai un litigio, per evolvere nelle proprie opinioni. Non si parlava soltanto ma si ascoltavano le ragioni del proprio interlocutore.
Anni Settanta: Denaro
Il denaro in giro era poco, ma non se ne parlava mai in pubblico. Sostituito dalla passione, non veniva considerato il cardine della società come oggi. Si comprava poco e bene, si mangiava a casa e raramente al ristorante, si andava nei cineclub e mai nei cinema di prima visione, a vedere tutti insieme le rassegne su Fellini, Pasolini, Antonioni, Visconti. E all’uscita noi ragazzi andavamo in pizzeria a commentare il film per ore, che veniva analizzato in ogni dettaglio, in relazione all’impegno sociale del regista, davanti ad una pizza accompagnata da un bicchiere d’acqua del rubinetto: nessuno beveva la minerale. Se qualcuno non avesse avuto le 500 lire per la pizza, avremmo fatto una colletta e il problema era risolto.
Anni Settanta: Biciclette
Le domeniche dell’Austerity, nel 1973, le famiglie inforcavano le biciclette e attraversavano i centri storici delle grandi città italiane, speso cantando le canzoni di Guccini, De Gregori o Venditti. Nelle piazze di Bologna, Milano e Roma i cantautori si esibivano in concerti molto affollati, senza effetti speciali o casse dolby, e si rivolgevano al loro pubblico come fratelli maggiori, senza divismi o finzioni. I giovani giravano in motorini della Piaggio (Ciao, Boxer, Si), alcuni in Vespa e i più fortunati in motocicletta.
Anni Settanta: Abiti e colori
Gli abiti facevano i monaci. Non solo: indicavano l’area sociopolitica di riferimento. Borse di Tolfa, eskimo, camicie scozzesi e gonne a fiori per la sinistra, stivali di Cervone, Camperos, occhiali da sole Rayban o Lozza e borse di Gucci per la destra. I politici in completo grigio, i professionisti in giacca blu e cravatta. Banditi i colori sgargianti, l’Italia degli anni Settanta era sobria e concreta: vestiva in grigio, verde bosco, beige, blu scuro, nero, marrone: le tinte pastello sfumate e i colori squillanti sono arrivati negli anni Ottanta, insieme ad una superficialità esibita e di gusto molto dubbio.
Anni Settanta: Televisione
Tribuna politica, Bontà loro, il primo talk show di Maurizio Costanzo, la Domenica Sportiva. E, il sabato, Canzonissima, dove le scenografie minimali e il look dei cantanti era all’insegna della sobrietà. L’unico appuntamento che riuniva le famiglie italiane era Carosello: alle 21 tutti si ritrovavano, dopo cena, davanti a pubblicità rimaste leggendarie, presentate da Ernesto Calindri, Mina, l’ippopotamo Pippo e Carmencita.
Anni Settanta: Impegno
La parola d’ordine era impegno. Tutti erano impegnati, appassionati e convinti di poter cambiare il mondo in meglio. Si leggevano scrittori come Leonardo Sciascia, Cesare Pavese, Emilio Lussu, Carlo Cassola, Mario Rigoni Stern, Eugenio Montale. La Repubblica, da cima a fondo, le inchieste sull’Espresso di Oriana Fallaci o Enzo Biagi. Ci si appassionava per luoghi lontanissimi ma martoriati da guerre ingiuste, come il Vietnam o il Cile, si aspettava con ansia l’ultimo film di Pasolini o lo spettacolo di Dario Fo, e i muri delle città erano abitati dai volti di Monica Vitti o Mariangela Melato, Marcello Mastroianni o Claudia Cardinale.
Anni Settanta: Lutti
Tre, giganteschi. Il primo nel 1975, a Roma, per Pier Paolo Pasolini. Moravia urla alla folla “Oggi abbiamo perso un poeta”, e l’Italia scopre che Pier Paolo era un colosso, omosessuale e provocatorio, ma un gigante. Il secondo è il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, nel 1978, raccontato molto bene nel film La grande ambizione: il paese aveva vissuto i giorni del rapimento col fiato sospeso. Dalle immagini apparse in televisione dei carabinieri sul lago della Duchessa ghiacciato, alla ricerca di un cadavere introvabile, era apparso chiaramente che si brancolava nel buio. Così come il ritrovamento del corpo in via Caetani il 9 maggio del 1978 era uno strappo della storia, un salto nel buio verso un futuro inquietante. L’ultimo lutto è stato il funerale di Enrico Berlinguer, il 13 giugno 1984, davanti a un milione e mezzo di persone, che salutavano il sogno collettivo e condiviso di un’Italia migliore e più giusta, destinato di lì a poco ad assumere i contorni di un’utopia. E il film di Andrea Segre lo racconta benissimo, con uno stile nel quale Enrico si sarebbe riconosciuto.
[Ludovico Pratesi – Da https://www.artribune.com/attualita/2024/11/anni-settanta-film-andrea-segre-berlinguer/]
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L’autore.
Ludovico Pratesi. Curatore e critico d’arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l’arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore Artistico di Spazio Taverna Dal 2009 al 2011 è stato curatore scientifico di palazzo Fabroni di Pistoia.
Dal 2006 al 2010 è stato Presidente dell’AICA. Dal 2012 al 2015 è stato Vice Presidente dell’AMACI (Associazione Musei Arte Contemporanea Italiana).
Dal 1995 al 2010 è stato Consigliere di Amministrazione per la Quadriennale d’Arte di Roma. Critico del quotidiano La Repubblica.
Sandro Russo
26 Novembre 2024 at 08:17
Parliamo tanto di nostalgia del passato… chi ce l’ha più acuta, chi meno… Ma un sentimento aggiuntivo è la nostalgia del futuro.
O meglio, un’aspettativa, un’attesa gioiosa che allora avevamo e ora non più! …E ci manca tanto!
Tano Pirrone
27 Novembre 2024 at 13:01
…e per forza, cugino Sandro: avevi CINQUANTANNI di meno, ora che c… di futuro vorresti? Ti pigli quel che viene, con più consapevolezza e disincanto. Quel mondo è lontano come gli anni Trenta. È lontano un secolo; ci divide una vita. Ma non bisogna dimenticare che furono gli anni del terrorismo, dei mortammazzati, della violenza, dei folli che volevano cambiare il mondo gambizzando ed uccidendo la gente; dei figli di papà che sparavano sui giovani meridionali che per disperazione facevano i poliziotti; gli anni in cui tutti in un modo o in un altro perdemmo l’innocenza. Poi, dalla falla, arrivò l’arrivismo; sulle tombe degli hippie fiorirono gli hyuppie, co-artefici del vuoto pneumatico dei decenni successivi, che anche con la globalizzazione ci hanno tolto i riferimenti conosciuti e conoscibili; morti Berlinguer e Moro ci restarono Craxi e Berlusconi. Un ventennio di Berluska ha fatto più danni di un ventennio di fascio (al netto della guerra) ed ora, fra cinquestelle dell’orsaminore e nipotini malrifatti del duce, vaghiamo nella nebulosa del Terzo Millennio. Ho nostalgia di quegli anni, certo, perché ero giovane e forte…
Tano Pirrone
27 Novembre 2024 at 13:06
Mi piacerebbe sapere a chi non è piaciuto il film di Andrea Segre, uno degli uomini di cinema italiani più seri e capaci: sarebbe utile saperlo, per individuare, questi fiumi carsici che continuano a scavare nel terreno fondante della nostra Italia. Berlinguer e Moro furono tolti di mezzo perché stavano dando grande fastidio a tre grandi potenze (ormai è Storia): Usa, Urss e Vaticano.
Sandro Russo
27 Novembre 2024 at 16:27
Rispondo a Tano:
“…e per forza, cugino Sandro: avevi CINQUANTANNI di meno, ora che c… di futuro vorresti?”
Ovviamente, caro cuginastro, ne facevo un caso generale! Lasciamo perdere me, ma non è una sensazione di tutti, perfino dei giovani, quella di essere stati defraudati del FUTURO?
Tano Pirrone
27 Novembre 2024 at 16:58
Mi è stato garbatamente fatto osservare che è una sensazione di tutti, perfino dei giovani, quella di essere stati defraudati del FUTURO.
Lecita osservazione, a cui io ho risposto: “Nessuno defrauda il futuro di nessuno o forse, meglio, ogni generazione ha la sensazione di essere stata defraudata del proprio futuro. E questo è convincimento di tutte le generazioni, e, se lo è, vuol dire che è nell’ordine delle cose.”
Guido Del Gizzo
28 Novembre 2024 at 09:11
Mio commento sui mitici anni ’70
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Intervista di Andrea Cangini a Francesco Cossiga sui fatti di Bologna del 1977, Quotidiano Nazionale (Il Giorno /Resto del Carlino/La Nazione), 23-10-2008
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«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…».
Gli universitari, invece?
«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che?
«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che…
«Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano». Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».
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Non ho visto il film su Berlinguer perché non m’è mai piaciuto Berlinguer: nel ’77 avevo vent’anni e i carrarmati per le strade di Bologna li aveva autorizzati Renato Zangheri, sindaco del PCI.
Quell’anno, avevo lavorato come barista sull’Achille Lauro: una notte, verso le tre del mattino, l’ultimo cliente, semi ubriaco, tedesco, incominciò a straparlare.
Disse di essere un funzionario di polizia e, saputo che ero italiano, dichiarò deciso:
“Mi piace, Berlinguer!”
“E come mai?” – risposi io
“Perché è un nobile!” – e se ne andò via barcollando.
Ogni tanto ci ripenso.
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Berlinguer ha formato quella generazione di sinistra salottiera, da Veltroni alla Melandri, che fa sì che oggi i bravi giornalisti di Report e una ragazza appassionata come Giulia Innocenzi, facciano documentari sulla condizione dei suini negli allevamenti intensivi, invece che sulle condizioni di vita degli immigrati clandestini, ovunque nel nostro paese.
E quella sinistra salottiera ha prodotto il PD.
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Ultima notazione: una delle persone più serie, secondo me, all’interno di quel partito è Luigi Zanda.
E’ il figlio dell’ex prefetto Zanda Loi, Capo della Polizia tra il 1973 e il 1975.
Era il capo della segreteria/portavoce di Francesco Cossiga, proprio nel 1977, mantenendo l’incarico quando quest’ultimo diventò Presidente del Consiglio.
L’intervista a Cossiga, di cui circola in rete anche un audio, probabilmente la ascolta la Meloni, le sere in cui fa fatica ad addormentarsi.
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Aspetto un film su Italo Calvino, o Alberto Manzi, o Mario Rigoni Stern….
Tano Pirrone
28 Novembre 2024 at 09:34
Stiamo ancora con Berlinguer nobile? Buonanotte! Il resto è contorno…
Neanch’io ho militato nel Pci e non ci militerei neanche oggi, stavo ramengo con Vittorio Foa, Castellina, Rossana Rossanda, Valentino Parlato, Lucio Magri, Giovannini ecc. Non ci è mai venuto in mente di picchiare nessuno né di mettere bombe. Poi l’affrettata caduta del muro e la valanga degli sciacalli. Appartengo ad altra razza (razza?) e ho fatto di tutto per appartenerci. Guardo dal basso della mia età al socialismo riformista (non certo quello di Craxi!), guardo al socialismo liberale, alle socialdemocrazie europee, alla originale e rimossa esperienza di Giustizia e Libertà. Guardo in basso e vedo sguazzare stupid* nella broda della corruzione morale e della perversione intellettuale.
Berlinguer era nobile? Certamente d’animo, altri non lo sono.
Guido Del Gizzo
28 Novembre 2024 at 12:00
Caro Tano,
è ovvio che i quarti di nobiltà di Berlinguer siano del tutto irrilevanti, politicamente.
Ho citato la battuta di un funzionario di polizia tedesco, ubriaco, come avrei potuto citare una vignetta di Vincino, uscita nei giorni in cui dichiarò che si era esaurita “la spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre”, con quarant’anni buoni di ritardo sull’affermazione dello stalinismo, in URSS e altrove. In essa, due personaggi, passeggiando nei dintorni del Congresso del PCUS, incrociano Berlinguer e uno dice all’altro: ”Ma quello lì, non stava con Kerenskij !?”
Per dire che non mi è mai sembrato un campione del cambiamento e d’altronde, come dice spesso Federico Rampini, mio compagno di scuola, il PCI era un partito d’ordine (e lui era un uomo d’ordine già a diciassette anni, quando veniva a controllare che gli estremisti non esagerassero nelle manifestazioni sul Cile)
Ciò su cui stiamo discutendo è altro: tu consideri Berlinguer un uomo politico di assoluto rilievo nella nostra storia italica, di grande levatura morale.
Capisco che uno che non ha rubato, né ha avuto interessi personali, nell’attività politica che ha svolto, oggi possa sembrare un gigante: ma nella situazione politica dell’epoca, secondo me, è stato molto al di sotto dei suoi compiti, come tutto il gruppo dirigente del PCI.
E soprattutto, lui, con la “spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre”, non ha mai avuto grande affinità.