Usi e Costumi

Sorba pelosa

di Francesco De Luca

 

Già dal titolo appare chiaro che l’articolo susciterà interesse (spero) nei ponzesi lontani dall’isola. Sorba pelosa è il nome dialettale della bacca del corbezzolo.

Rossa accesa, bitorzoluta, buona sì ma fastidiosa per i semini duri che rimangono in bocca. Un frutto non di facile reperimento eppoi… compare adesso, a novembre, quando il cielo è coperto e minaccia pioggia, e il mare invece mostra chiaro il suo intento: burrasca da ponente e…  niente nave.

Mi sono scrollato la pigrizia che prende con le condizioni meteo avverse e sono andato a trovare zì ‘Ntunino, sopra i Conti.
A pochi metri da casa sua, in un angolo nascosto ho visto le bacche rosso fiamma. E’ un corbezzolo e, nonostante la stagione dura, lui fa dono dei suoi frutti. Dono gradito agli uccelli, anzitutto. Ne ho visto alcune beccate… quelle mature.
Zì ‘Ntunino, più addentro di me in questo settore, mi fa notare come, contemporaneamente ai frutti, ci siano già accenni dei fiori. Per cui il corbezzolo può considerarsi al di fuori dello schema usuale per cui è in primavera che compaiono i fiori, che in estate ricevano l’impollinazione, per dar vita ai frutti.
Per il corbezzolo non è così: le condizioni meteo per lui sono ininfluenti.
‘Ntunino me lo ripete più volte perché vuol farmi dedurre qualcosa di più importante che non la legge naturale. Vuol farmi arguire che il tempo, oltre ad avere prerogative generali, oggettive, e dunque, valide universalmente, possiede forme proprie, non trasferibili, come quella che mostra il corbezzolo: è fuori dal tempo omologato perché segue un tempo proprio.

‘Ntunino è amico arguto. Mi induce lievemente a queste considerazioni perché negli ultimi mesi la comunità ponzese ha dovuto costatare con dolore come il tempo sia prono ad una nera Signora (la Morte). Che non si adatta, non diviene complice, non segue schemi. La morte viene, colpisce e scompiglia. Quello che lascia tocca ai restanti ripristinarlo. Con fede o senza, con soldi o senza, con coraggio o senza.
Il corbezzolo, nel momento che palesa la sua fecondità, già prepara il futuro. Quando sparge i frutti già mostra la prossima fioritura.
“Che vuoi dire, che non muore mai?”- mi sorprende ‘Ntunino.
“No – rispondo – non è questo cui voglio arrivare. Ti faccio osservare come per lui non c’è la ‘morte stagionale’, quella legata al ciclo solare. Per lui vale una morte più elevata, per così dire, più nobile”.
‘Ntunino mi guarda pensieroso. Il concetto di ‘morte nobile’ lo spiazza. “E’ la stessa morte che non vale per chi ha lasciato un ricordo sociale – soggiungo. Chi ha conquistato meriti sociali scompare alla vista ma non alla coscienza dei concittadini. Rimane di lui il ‘ricordo sociale’, che vince la sepoltura e la presenza fisica. Il ‘ricordo sociale’ si esprime nella cultura dei concittadini e nella storia della sua terra”.

‘A sorba pelosa’. Sembra una denominazione di spregio, e invece no. Se non di pregio, è un nome che rimane nella coscienza ponzese. ‘A sorba pelosa rimanda alla casa, alla ruvidità grezza dei ponzesi, alla loro sincerità spontanea. Al loro essere fragili e cocciuti, con poche letture ma con tanto cuore.

 

 

integrazione del 21 novembre a cura della Redazione (cfr. commento)

Biagio Vitiello nel postare un commento all’articolo di Franco ricorda che al corbezzolo Giovanni Pascoli ha dedicato perfino una poesia.
A beneficio dei lettori la riportiamo più avanti assieme ad alcune notizie, prese da Wikipedia, su questo particolare albero da frutto che, sempreverde, è uno dei componenti principali della macchia e della foresta mediterranea.

(da Wikipedia) Il corbezzolo è la pianta nazionale dell’Italia. È uno dei simboli patri italiani. Con le sue foglie verdi, i suoi fiori bianchi e le sue bacche rosse richiama infatti la bandiera d’Italia. La pianta di corbezzolo incominciò a essere considerata simbolo dell’Italia nell’Ottocento, durante il Risorgimento.
Per tale motivo il poeta Giovanni Pascoli dedicò alla pianta l’ode Al corbezzolo. In essa si fa riferimento al passo dell’Eneide in cui Virgilio narra di Pallante, figlio di Evandro re degli Arcadi, che, dopo essere stato ucciso da Turno, era stato adagiato su rami di corbezzolo, durante il tragitto per riportarne le spoglie al padre…

Al corbezzolo
di Giovanni Pascoli

O tu che, quando a un alito del cielo
i pruni e i bronchi aprono il boccio tutti,
tu no, già porti, dalla neve e il gelo
salvi, i tuoi frutti;

e ti dà gioia e ti dà forza al volo 
verso la vita ciò che altrui le toglie,
ché metti i fiori quando ogni altro al suolo
getta le foglie;
 
i bianchi fiori metti quando rosse
hai già le bacche, e ricominci eterno, 
quasi per gli altri ma per te non fosse
l’ozio del verno;

o verde albero italico, il tuo maggio
è nella bruma: s’anche tutto muora,
tu il giovanile gonfalon selvaggio 
spieghi alla bora:

il gonfalone che dal lido estrusco
inalberavi e per i monti enotri,
sui sacri fonti, onde gemea tra il musco
l’acqua negli otri, 

mentre sul poggio i vecchi deiformi
stavano, immersi nel silenzio e torvi
guardando in cielo roteare stormi
neri di corvi.

Pendeva un grave gracidar su capi 
d’auguri assòrti, e presso l’acque intenta 
era al sussurro musico dell’api
qualche Carmenta;
 
ché allor chiamavi come ancor richiami,
alle tue rosse fragole ed ai bianchi 
tuoi fiori, i corvi, a un tempo, e l’api: sciami,
àlbatro, e branchi.
 
Gente raminga sorveniva, e guerra
era con loro; si sentian mugliare
corni di truce bufalo da terra, 
conche dal mare

concave, piene d’iride e del vento
della fortuna. Al lido navi nere
volgean gli aplustri con d’opaco argento
grandi Chimere; 

che avean portato al sacro fiume ignoto
un errabondo popolo nettunio
dalla città vanita su nel vuoto
d’un plenilunio.

Le donne, nuove a quei silvestri luoghi, 
ora sciogliean le lunghe chiome e il pianto
spesso intonato intorno ad alti roghi
lungo lo Xanto;

ed i lor maschi voi mietean di spada,
àlbatri verdi, e rami e ceree polle 
tesseano a farne un fresco di rugiada
feretro molle,

su cui deporre un eroe morto, un fiore,
tra i fiori; e mille, eletti nelle squadre,
lo radduceano ad un buon re pastore, 
vecchio, suo padre.
 
Ed ecco, ai colli giunsero sul grande
Tevere, e il loro calpestìo vicino
fugò cignali che frangean le ghiande
su l’Aventino; 

ed ululò dal Pallantèo la coppia
dei fidi cani, a piè della capanna
regia, coperta il culmine di stoppia
bruna e di canna;
 
e il regio armento sparso tra i cespugli 
d’erbe palustri col suo fulvo toro
subitamente risalia con mugli
lunghi dal Foro;

e là, sul monte cui temean le genti
per lampi e voci e per auguste larve, 
alta una nera, ad esplorar gli eventi,
aquila apparve.
 
Volgean la testa al feretro le vacche,
verde, che al morto su la fronte i fiocchi
ponea dei fiori candidi, e le bacche 
rosse su gli occhi.
 
Il tricolore!… E il vecchio Fauno irsuto
del Palatino lo chiamava a nome,
alto piangendo, il primo eroe caduto
delle tre Rome.

3 Comments

3 Comments

  1. Franco De Luca

    20 Novembre 2024 at 18:58

    Ho ricevuto or ora una telefonata dall’amico Aniello Aprea ( l’ingegniere ) il quale mi precisa che a Le Forna la bacca del corbezzolo viene chiamata cerba pelosa. Dunque non sorba ma cerba.
    Niente di eccezionale… e invece no. Queste differenziazioni etimologiche fra Le Forna e il Porto sono:

    a – retaggio delle differenti etnie: ischitana e torrese;
    b – segni che l’integrazione fra i due gruppi etnici ancora non s’è conclusa ( dopo oltre duecento anni );
    c – sprone a che si operi per saldare le due comunità in modo ancora più forte;
    d – monito perché il tempo culturale è molto più lento di quello biologico.

    Ringrazio Aniello del suggerimento e l’ho invitato a sottolineare le diverse parole che differenziano Le Forna dal Porto.
    C’è un Progetto PNRR che interessa la nostra isola, può darsi che sia di giovamento!

  2. Biagio Vitiello

    20 Novembre 2024 at 21:18

    Mi permetto di dire qualcosa di non botanico sulla pianta citata da Franco (Arbutus unedo), sulla quale Pascoli ha scritto anche una poesia. A Torre del Greco (da cui vengono tutti i Fornesi, me compreso) il frutto viene chiamato “sovera pilosa” mentre l’albero “suorvo peloso

  3. la Redazione

    21 Novembre 2024 at 14:36

    Prendendo al volo il suggerimento di Biagio in merito alla poesia che Giovanni Pascoli ha dedicato al corbezzolo riportiamo la stessa in calce all’articolo di base assieme ad alcune notizie raccolte su questa particolare pianta da frutto che, sempreverde, è uno dei principali componenti della macchia mediterranea.

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