riceviamo in redazione e pubblichiamo
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Carissimi, ammiro la vostra disperazione per la vittoria trionfale di Donald Trump.
Ma non andate oltre la critica al popolo americano che l’ha votato, senza un minimo di autocritica e di riflessione sulle ragioni della sconfitta.
Per questo motivo, vi “regalo” un’analisi del più accreditato sociologo italiano, il prof. Luca Ricolfi, pubblicata domenica 10 novembre sul Messaggero.
Con una preghiera… Continuate a rievocare il fascismo, l’accoglienza dei clandestini, l’ideologia gender, la PS-SS, la rivolta sociale e tutto il bagaglio propagandistico con il quale la sinistra perde le elezioni ovunque nel mondo.
Continuate così.
Sì, lo so: sono un provocatore.
Grazie di cuore.
Piero Vigorelli
L’editoriale/
La crisi woke (anche a sinistra)
di Luca Ricolfi – Da Il Messaggero del 10 novembre 2024
Sul fatto che le follie del politicamente corretto abbiano aiutato Trump, in questa elezione come in quella del 2016, quasi tutti convengono. Meno chiaro, invece, è quali lezioni, dalla vittoria di Trump e dalla sconfitta di Harris, possano trarre la sinistra e la destra in Europa.
A prima vista, chi ha più da imparare è la sinistra. Per lei, la lezione principale è che l’adesione acritica alle istanze del politicamente corretto (cultura woke, ideologia gender, cancel culture) è una zavorra elettorale insostenibile, tanto più se – come accade in Italia, Francia, Germania – il mondo progressista è lacerato da profonde divisioni. È vero che la cosiddetta cultura dei diritti è diventata, da almeno tre decenni, il principale cemento identitario della sinistra e del suo sentimento di superiorità morale, ma bisognerà prima o poi prendere atto che continuare su quella strada la allontana sempre più non solo dai ceti popolari (che hanno altre priorità, a partire dalla sicurezza) ma anche da una parte del mondo femminile, che non vede di buon occhio le istanze dell’attivismo trans, specie quando comportano invasione degli spazi delle donne (carceri, competizioni sportive, centri anti-violenza, eccetera), rischi di indottrinamento nel mondo della scuola, transizioni di genere precoci per i minorenni, promozione della Gpa (utero in affitto). Se vuole tornare a vincere, la sinistra dovrebbe smettere di attribuire ogni sconfitta alla disinformazione ai poteri forti, e semmai prendere atto che aveva ragione Norberto Bobbio quando, a metà degli anni ’90, la avvertiva che rinunciare alla stella polare dell’uguaglianza a favore di quella dell’inclusione, come le suggeriva il sociologo Alessandro Pizzorno, era un errore, foriero di arretramenti e sconfitte.
Ma forse anche la destra avrebbe qualcosa da imparare, specie in Italia. Visto da destra, il follemente corretto di cui la sinistra si è resa prigioniera può diventare una straordinaria opportunità di definizione di sé stessa per così dire “a contrario”. Culturalmente, la destra è sempre di più, non solo in Italia, l’unico argine significativo alla deriva woke negli innumerevoli campi in cui si manifesta. Anziché puntare sul controllo dell’informazione, sull’occupazione di posizioni nel mondo della cultura, su improbabili incursioni nello star system – più in generale: sul velleitario progetto di ribaltare l’egemonia culturale della sinistra – alla destra converrebbe forse prendere atto che la sua forza non sta nell’occupazione più o meno mal-destra delle istituzioni, ma nell’aderenza alle istanze e alle visioni del mondo di ampi settori delle società capitalistiche avanzate.
Se le forze di destra stanno avanzando in Europa, e alcune loro istanze (come il controllo dell’immigrazione) si stanno manifestando anche a sinistra (emblematico il successo del partito di Sahra Wagenknecht in Germania), è perché quello in atto è un profondo smottamento della sensibilità collettiva. Uno smottamento che, fondamentalmente, consiste in una presa di distanze dalla cultura dei diritti e dai suoi eccessi, e si traduce in una richiesta di porre limiti, argini, freni ad alcune tendenze del nostro tempo; E dentro questa cornice che prendono forma la richiesta di contenere l’immigrazione illegale, garantire la sicurezza, ma anche frenare l’espansione di diritti percepiti come arbitrari (la scelta soggettiva del genere), o pericolo-si (cambi di sesso degli adolescenti), o contrari all’ordine naturale delle cose (utero in affitto), o semplicemente pericolosi per le donne (invasione degli spazi femminili).
Già, le donne. Pochi ne parlano, ma uno dei fenomeni sociali più significativi degli ultimi anni sono i cambiamenti che stanno avvenendo nel femminismo, e più in generale nel comportamento elettorale delle donne. Nella campagna per le presidenziali americane è successo, per la prima volta, che una parte delle femministe, negli Stati Uniti (Kara Dansky) ma anche nel Regno Unito (Julie Bindel), si siano poste la domanda fatidica, fino a ieri inconcepibile: dobbiamo prendere in considerazione l’ipotesi di votare conservatore? E non è tutto. Anche sul piano delle leadership, il panorama si sta facendo interessante. Dopo la recentissima ascesa di Kemi Adegoke, donna nera di origini nigeriane, a leader del partito conservatore britannico, sono immancabilmente donne a guidare la destra nei quattro più grandi paesi europei: Marine Le Pen in Francia, Alice Weidel in Germania, Giorgia Meloni in Italia, e appunto Kemi Adegoke nel Regno Unito.
Insomma, sia sinistra sia a destra, il materiale di riflessione non manca.
[Di Luca Ricolfi da Il Messaggero di domenica 10 novembre]
Luca Ostilio Ricolfi (a cura della redazione)
Luca Ostilio Ricolfi (Torino, 1950) è un sociologo e politologo italiano.
Ha fondato l’Osservatorio del Nord Ovest e, insieme a Silvia Testa, la rivista di analisi elettorale Polena. È stato direttore dell’Osservatorio del Nord Ovest, della rivista di analisi elettorale Polena (chiusa nel 2012) e membro dell’EAS (European Academy of Sociology). Dal 2011 è presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume, di cui è stato uno dei fondatori insieme a Piero Ostellino e Nicola Grigoletto
[estratto dal Blog: https://www.sabinopaciolla.com]
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Nota dell’11 nov. 2024 (cfr. commento di Sandro Russo)
Piero Vigorelli sulla vittoria di Trump: il Verbo rivelato
Riceviamo in redazione un tempestivo messaggio di Piero Vigorelli sulla “vittoria trionfale di Trump”. Altrettanto tempestivamente lo abbiamo pubblicato perché il testo e le simpatie danno la misura del personaggio. Per lo stile maramaldesco non è il primo né il più originale; già all’indomani dei risultati delle elezioni americane Libero con molta finezza titolava a tutta pagina:
Trump fa impazzire la sinistra.
ATTACCATEVI AL CIUFFO
Ma più delle sue provocazioni consideriamo l’analisi di Luca Ricolfi; in tutt’altro stile rispetto al nostro. Non ci siamo mai nascoste le pecche della sinistra; i nostri almeno cinque articoli dedicati alle elezioni americane, di giornalisti di vaglia, sono tutti autocritici e non puntati al plauso o alla denigrazione, ma alla necessità di capire.
Ci ricordiamo che lei, Vigorelli, è di vecchia fede trumpiana. Già alla prima elezione ne scrisse sul Messaggero/Latina:
9 nov. 2016 — «La grandissima maggioranza dei ponzesi che vivono negli States ha votato Trump. Condivido in pieno la loro gioia».
Non fossimo estremamente preoccupati per come andrà per tutti, le faremmo i più sinceri auguri di goderselo, il suo campione, insieme all’altra “Star” che presto gli /vi si metterà di traverso.
Sandro Russo

Sandro Russo
11 Novembre 2024 at 12:20
Piero Vigorelli sulla vittoria di Trump: il Verbo rivelato
Riceviamo in redazione un tempestivo messaggio di Piero Vigorelli sulla “vittoria trionfale di Trump”. Altrettanto tempestivamente lo abbiamo pubblicato perché il testo e le simpatie danno la misura del personaggio. Per lo stile maramaldesco non è il primo né il più originale; già all’indomani dei risultati delle elezioni americane Libero con molta finezza titolava a tutta pagina:
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Trump fa impazzire la sinistra.
ATTACCATEVI AL CIUFFO
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Ma più delle sue provocazioni consideriamo l’analisi di Luca Ricolfi; in tutt’altro stile rispetto al nostro. Non ci siamo mai nascoste le pecche della sinistra; i nostri almeno cinque articoli dedicati alle elezioni americane, di giornalisti di vaglia, sono tutti autocritici e non puntati al plauso o alla denigrazione, ma alla necessità di capire.
Ci ricordiamo che lei, Vigorelli, è di vecchia fede trumpiana. Già alla prima elezione ne scrisse sul Messaggero/Latina:
9 nov. 2016 — «La grandissima maggioranza dei ponzesi che vivono negli States ha votato Trump. Condivido in pieno la loro gioia».
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Non fossimo estremamente preoccupati per come andrà per tutti, le faremmo i più sinceri auguri di goderselo, il suo campione, insieme all’altra “Star” che presto gli /vi si metterà di traverso.
Sandro Russo
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Il titolo di Libero del 7 nov. 2024, in ritaglio -immagine, insieme a questo commento, sono annessi all’articolo di base
Enzo Di Giovanni
13 Novembre 2024 at 09:40
Caro Piero,
la tua è una provocazione?
Ma no, al massimo può stimolare un dibattito, e perciò va benissimo.
Prendo spunto dall’articolo che hai inviato al sito in particolare per una riflessione esposta che credo giusta: l’attuale esecutivo guidato dalla Meloni non dovrebbe puntare a sostituire la sinistra in quell’egemonia culturale, da sempre tallone d’Achille, confessato, di ogni destra, più o meno sociale, più o meno di governo.
Perchè?
Perchè non le serve.
E’ paradossale, ma tristemente vero, che i punti di forza della irrefrenabile avanzata in questa fase storica delle destre a livello planetario sono in realtà “debolezze”, non-argomenti.
La cultura woke, il “problema” degli atleti di presunta dubbia appartenenza a questo o quel sesso, i diritti delle minoranze, il buonismo, sono infatti argomenti, o meglio narrazioni talmente di nicchia, ad esagerare, da non meritare la costruzione di un’alternativa socio-politica, che infatti non c’è.
Fanno comodo, certo, ed in questo certe destre sono imbattibili, per distogliere l’attenzione dai problemi veri che sono quelli di sempre: lo squilibrio tra popoli diversi e classi sociali diverse, il costo della vita con un’inflazione galoppante non rapportabile al salario ed alle pensioni, il depauperamento delle risorse energetiche ed ambientali, le guerre.
Fa quasi tenerezza, se non fosse grave, la scarsa capacità di analisi a cui si giunge quando l’agonismo arriva a livelli di tifo da stadio.
Ma questo, caro Piero, lo possiamo, appunto, concedere quando si parla di Juve o Inter.
Non quando un personaggio come Elon Musk, dopo una campagna sfegatata per Trump, arriva a dire testalmente ”i giudici italiani devono andar via”.
Cioè: l’uomo più ricco del mondo, che pare guadagni circa due milioni di euro all’ora, giusto per dire, che invita pubblicamente in pratica ad un golpe, delegittimando uno dei poteri costituiti di uno stato democratico a cui peraltro non appartiene.
Sono decenni che analisti politici di tutte le risme e collocazione si affannano ad ammonire che nel villaggio globale i potentati economici supportati da tecnologie sempre più spinte acquisiranno un potere sempre più ampio al punto da sostituirsi allo Stato-Nazione: ci stiamo arrivando.
E’ nato addirittura un genere cinematografico, quello distopico, a sancire questo nuovo orizzonte.
E noi cosa facciamo? Anzichè preoccuparci di porre un freno a questo strapotere, che nemmeno il più turpe dittatore abbia mai potuto lontanamente sognare (parliamo di un uomo che progetta viaggi interplanetari, che utilizza la maternità surrogata, che gestisce l’Intelligenza Artificiale, che progetta robot sempre più funzionali non si capisce fino a che punto, che può condizionare fortemente l’informazione attraverso i suoi social, ecc.), lo utilizziamo come fosse Messi o Ronaldo.
In America ha vinto Musk, non Trump. In Italia sta perdendo la democrazia, non la sinistra.
Prima ce ne accorgeremo, meglio sarà per tutti.
Con amicizia