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Incrocio una signora di mezz’età che esce dal supermercato. Ha la faccia preoccupata… noto dall’espressione. Guarda l’orologio, sbuffa. Poi alza le spalle, come rassegnata. La oltrepasso. Dopo questo incrocio occasionale le nostre strade si dividono per sempre. Però rimango a pensarci… a cosa c’era dietro quell’espressione e a come far continuare quella storia. Spesso mi succede… che rimango a pensarci.
Sono convinto che abbiamo una macchina da presa incorporata con cui ci facciamo film artigianali, ‘fatti in casa’ con poca spesa, anzi nessuna spesa. Storie minime, niente di colossale… ma sempre film sono!
Intanto non succede solo a me.
Poi già l’hanno pensato, scritto e fatto in tanti.
Anzi, è proprio questo che già esisteva prima ancora dell’invenzione della fotografia e del cinema. Poi la tecnologia ha dato loro riproducibilità, diffusione e tutte le complessità che conosciamo, ma la spinta iniziale era quella.
Ogni volta che la vedo espressa o realizzata, questa teoria, ho un sussulto e mi si accende l’interesse.
Ho divorato un romanzo poco conosciuto di Pirandello, del 1916: I quaderni di Serafino Gubbio operatore, da cui ho ripreso il titolo per questo mio scritto (1).
Ho trovato una realizzazione affascinante delle mie idee in un film cult di Wim Wenders – Il cielo sopra Berlino – del 1987 (2), notevole per molti versi, tanto che l’ho usato perfino come traccia per un’epicrisi: Il cielo sopra Ponza.
“Il film che si svolge a Berlino negli anni ottanta. Ci sono due angeli, Damiel e Cassiel, che vagano per la città: sono invisibili dalla gente comune – a volte solo i bambini e i ciechi ne hanno la percezione – e in questa condizione osservano i berlinesi e ascoltano i pensieri dei passanti: pensieri comuni, piccole preoccupazioni quotidiane (…è una parte molto bella del film!)”.
Wenders deve avere una particolare sensibilità al riguardo, se in un altro suo film – Lisbon story, del 1994 (3) il protagonista, un tecnico del suono tedesco, Philip Winter, che si è recato a Lisbona per cercare un suo amico regista che non ha più dato notizie di sé, a Lisbona si perde… Divaga… gira, fa cose, vede gente, si innamora addirittura. In una scena lo si vede con una macchina da presa montata sulle spalle, a guardare indietro, perché si è posto il problema che il suo sguardo potesse influenzare la registrazione della realtà che lo circonda.
E sempre con questa idea in testa, mi sono imbattuto in altri due film, uno un superclassico, che si cita sempre e si studia nelle scuole di cinema.
Con Dziga Vertov, L’uomo con la macchina da presa – il titolo dice tutto! – siamo agli albori del cinema (4); è ancora l’epoca del muto e parliamo del cinema russo degli inizi; il regista è coevo di Ėjzenštejn (1898 -1948), e come per lui, l’arte uno scopo sociale, attraverso la documentazione della sola “realtà”, anche laddove l’occhio umano non può arrivare. Solo “la verità” interessa l’occhio della cinepresa e solo guardando e mostrando cose reali si può costruire una società migliore.
Ma benché Vertov pensi che le storie di finzione siano solo fumo che il potere borghese getta negli occhi del popolo, e quindi agli antipodi del mio modo di vedere, personale e incline alla fantasia – e beninteso senza paragoni di valore possibili, just for inspiration -, il suo lavoro è espressione dello stesso rovello di essere “uno sguardo che registra”: «Io sono un occhio. Un occhio meccanico e sono in costante movimento!» (Dziga Vertov).
E infine uno dei miei registi preferiti, anche lui ha da insegnare qualcosa: Krzysztof Kieślowski, Varsavia, 1941 –1996) (5).
Il cineamatore (Amator) è un film del 1979, scritto dal regista insieme all’interprete protagonista Jerzy Stuhr. Il tema, declinato alla maniera del grande maestro, è lo stesso della mia minima “perversione”.
Come parlando della lettura e della scrittura avevamo scritto che siamo “affamati” di storie, che vogliamo vivere più vite perché una sola non ci basta, così, in modo del tutto spontaneo e naturale, “ci facciamo i film nella nostra testa”. Ma senza cattiveria e senza immaginare dietrologie. Per pura curiosità ed esercizio di fantasia, non disgiunti da un certo divertimento. E sono del tutto coscienti. I pensieri più profondi – in forma di film storici e ‘colossal’ -, almeno per me, passano nei sogni. Ma quello è un altro discorso.
Dagli esempi alti ed edificanti, che mi sono stati di ispirazione e guida, torno al mio piccolo amatoriale
Quella di “farmi i film nella testa’ non è una cosa di adesso; io l’ho fatto sempre e forse lo fanno tutti, a diversi gradi di consapevolezza..
Ne ho preso pienamente coscienza nel periodo in cui con la mia collega-amica Gabriella facevamo Roma–Firenze in treno, una volta a settimana, per seguire le lezioni della Specializzazione in Tossicologia.
Le lezioni cominciavano nel primo pomeriggio. Noi prendevamo il treno da Roma che arrivava a Firenze alle 12,30 circa; avevamo tempo e ce la prendevamo calma. Ci fermavano al ristorante della stazione di Firenze – a quei tempi era niente male, non so adesso – per un parco e lento pranzo.
Il nostro divertimento, seduti a un tavolo d’angolo, era fare “i cappottini” agli altri clienti del locale. Niente di malevolo, nessuna cattiveria, soltanto curiosità e fantasie…
Ci attiravano le coppie, meno le persone sole e i gruppi di tre. Non avevamo nessun interesse per le comitive. Ci inventavamo vite immaginarie, per quanto fantastiche e improbabili. Specie con i personaggi che settimana dopo settimana ricorrevano e avevamo imparato a riconoscere. Recidivi? Amanti clandestini?
Nessuna malevolenza, neanche pensavamo di fare pettegolezzo, anzi ci chiedevamo divertiti cosa pensassero loro di noi! Eravamo sicuri che facessero lo stesso gioco! Anche noi eravamo “sospetti”, perfetti per farci “un film in testa”: un uomo e una donna, sempre il mercoledì; sempre alla stessa ora. Quante storie ci si potevano fare?
Finito il pigro pranzo prendevano l’autobus per la nostra destinazione all’Ospedale Careggi, e anche durante il percorso, qualche volta continuavamo il “taglia e cuci”.
Per la specializzazione frequentavamo l’Ambulatorio per le Tossicodipendenze; un’oretta prima dell’inizio delle lezioni vere e proprie.
Un giorno sale sull’autobus una ragazza dall’aspetto inequivocabile. Gabriella e io ci scambiamo solo un’occhiata: – Questa viene in Ambulatorio da noi!
Invece no. Giunti alla fermata del Careggi, noi scendiamo. Lei seduta. Tranquilla.
Altra occhiata: – Mah! Ci siamo sbagliati!
Arrivati in sede ci cambiamo, mettiamo i nostri camici bianchi e facciamo il nostro apprendistato da bravi specializzandi. Ne sentivamo di storie… Ma mantenevamo l’aplomb professionale.
Dopo una mezz’ora circa sentiamo una certa confusione dietro la porta, come se qualcuno volesse saltare la fila; poi un bussare concitato. Apriamo.
È la nostra ragazza, quella dell’autobus, tutta agitata: Scusate, scusate, ho fatto tardi. Ho saltato la fermata… Son venuta a piedi! Qua fuori non mi volevano far entrare…
Gabriella e io ci guardiamo.
Poi, dopo tanti film e tante emozioni, le successive ore di lezione le passavo a dormire… Era giusto l’ora !
Note
(1) – Quaderni di Serafino Gubbio operatore è un romanzo di Luigi Pirandello, inizialmente pubblicato nel 1916 col titolo Si gira… da Treves e successivamente riveduto col nuovo titolo nel 1925 da Mondadori, in cui l’autore siciliano affronta direttamente i temi della macchina e dell’età contemporanea. Già ne abbiamo scritto, su Ponzaracconta: https://www.ponzaracconta.it/2022/05/06/pirandello-serafino-gubbio-e-la-nostalgia/
(2) – Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin) è un film del 1987 diretto da Wim Wenders. Presentato in concorso al 40º Festival di Cannes, ha vinto il premio per la migliore regia. Su Ponzaracconta: https://www.ponzaracconta.it/2018/01/21/epicrisi-158-il-cielo-sopra-ponza/
(3) – Lisbon Story è un film del 1994 diretto da Wim Wenders.
Commissionato dalla città come un semplice documentario su Lisbona, il regista durante le riprese decide di trasformarlo in un film.
Un tecnico del suono tedesco, Philip Winter, – l’attore è Rüdiger Voglersi – si reca a Lisbona per registrare l’audio di un film che sta girando un suo amico regista che non ha più dato notizie di sé. Sul sito: https://www.ponzaracconta.it/2012/01/23/lisbon-story-omaggio-a-wim-wenders/
(4) – Dziga Vertov, pseudonimo di David Abelevič Kaufman [noto anche come Denis Arkadevič Kaufman (1896 – 1954)], è stato un regista, sceneggiatore e teorico del cinema sovietico. L’uomo con la macchina da presa è un film del 1929 ideato e diretto da Dziga Vertov.
(5) – Il cineamatore (Amator) è un film del 1979 diretto da Krzysztof Kieślowski, scritto dal regista insieme all’interprete protagonista Jerzy Stuhr.
Trama, in supersintesi: Un impiegato polacco trentenne acquista quasi per caso una macchina da presa per filmare la nascita della sua bambina.
È felicemente sposato, ha una bella casa e può considerarsi una persona tranquilla e benestante secondo gli standard della società socialista polacca. Tutto questo non gli basta. Viene velocemente catturato dalla macchina da presa, che lo risucchia quasi fosse un demone. Di lì in avanti è totalmente preso dall’ossessione di rappresentare la realtà, dal come farlo. Distrugge letteralmente la sua vita familiare per questa passione, preso dal “realismo cinematografico”, fino a comprendere che la rappresentazione della vita, in tutti i suoi aspetti, non può ridursi a una pura e semplice raffigurazione del reale.
Gianni Sarro
25 Settembre 2024 at 15:56
Tra i molteplici e suggestivi riferimenti filmografici di Sandro, mi piace quello a Il cineamatore, film cerniera nella filmografia di Kieslowski. Con questo lungometraggio del 1979 il regista polacco porta a compimento l’esplorazione della forma documentario e comincia ad aprirsi a una forma più narrativa cinema; evoluzione che lo porterà a firmare alcuni capolavori della cinema di tutti i tempi: da La doppia vita di Veronica a Il decalogo ai film che compongono la trilogia dei colori: blu, bianco e rosso.
La citazione di Sandro mi permette anche di ricordare Jerzy Sthur (protagonista per Kieslowski di Il cineamatore, in cui ne è alter ego, e del Decalogo 10) scomparso nel luglio di quest’anno. Attore e regista, anche teatrale, con alle spalle studi di filologia, convincente tanto nel registro comico quanto in quello tragico, ha offerto il suo volto di uomo qualunque oltre che nei film polacchi anche in quelli italiani: Habemus Papam e Il sol dell’avvenire, solo per fare due esempi.
Gabriella Vivino
1 Ottobre 2024 at 08:05
Tutto vero! Ho sorriso leggendo e mi sono anche ricordata di quella coppia del ristorante della stazione che abbiamo incontrato tantissime volte e poi all’improvviso si è presentato uno solo (non ricordo se lei o lui) e siamo stati tentati di chiederle/gli: cosa è successo? Eravamo molto preoccupati!
Un abbraccio e grazie del ricordo. A presto!