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Ti trovi a ripulire il giardino dopo tre anni di abbandono e non puoi sfuggire al richiamo delle similitudini e delle metafore.
Ogni giardino ha una storia diversa, da raccontare. Come una casa, il giardino ricorda e conserva. Ogni piccolo riquadro che stai ripulendo fa emergere relitti di epoche passate, capitelli e pezzi di colonne.
Il tuo giardino: su ogni particolare si focalizzano le luci dei ricordi, come fari che si accendono qua e là tra i ruderi del Foro romano, in uno spettacolo visto di recente: ogni flash uno scorcio diverso, una nuova prospettiva.
Un giardino abbandonato per qualche anno è un vecchio diario: ci trovi cose dimenticate tra le pieghe della mente; sogni superati dalla realtà; progetti attraversati dal tempo.
Eppure te ne insegna di cose un giardino…
Vi hai imparato, giorno per giorno e al di là di ogni vuota teoria, che ogni attività ha il suo tempo. Che devi fare e goderti le cose al momento giusto. Che non si torna indietro: le situazioni cambiano… ogni vegetazione, fiore, profumo esplode e risplende per il suo breve momento e poi finisce.
Un giardino – ma un grande terrazzo sarà la stessa cosa – ti parla ogni giorno dei cambiamenti. C’è una bella differenza nel modo di vivere il tempo e le stagioni, tra i cittadini e la gente che vive in campagna… Riesci a ricordare un autunno dal modo in cui le foglie hanno cambiato colore – tutti gli anni accade in un modo diverso – e una primavera dal colore più tenero o brillante del verde. Allo stesso modo la stagione del vento e quella delle piogge hanno un significato diverso, per chi sta in campagna e segue il respiro della terra che cambia.
In un giardino ci sono avvicendamenti: senza di essi, il tuo non avrebbe potuto mai potuto contenere tutte le piante che ci hai messo nel corso degli anni… Ma chissà quante possibilità avresti perduto, se alcune non fossero scomparse e non avessi dovuto sostituirle. Ognuna di esse ti ha lasciato qualcosa; un accostamento di colori che si era prodotto per caso, ti aveva dato la sorpresa di una scoperta; altri fiori erano comparsi al posto di quelli che ricordavi di aver lasciato. Altri profumi; novità di forme e colori.
Come hai potuto… pensare ad una perfezione immobile?
Pare che l’immutabilità venga rapidamente a noia e hai cominciato a pensare che ci sia un tipo particolare di bellezza nel cambiamento stesso.
…Così ‘lentamente ma continuamente’ cambiano i panorami geografici, vegetali e affettivi.
Serve all’anima, la cura di un giardino.
Sarà che abbiamo bisogno di lasciare impronte; di avere il controllo di un piccolo spazio, dal momento che il grande mondo al di là della siepe ci sfugge ed è insensibile a qualunque sforzo diretto a cambiarlo, né riusciamo ad adattarlo in nessun modo. Troppo vasto e crudele; incomprensibile e inerte.
Il giardino invece risponde, morbido e compiacente, alle tue sollecitazioni. Una ‘scultura lenta’ che si modifica nel tempo e insieme ti cambia; così che il risultato finale è frutto dell’interazione. Tu esponi la tua visione; le piante – a saper recepire – ti dicono le loro preferenze; …in qualche modo un accordo si trova…
Niente come il giardino ti fornisce l’esperienza e l’attenzione ai dettagli minimi. Quel piccolo mondo racchiuso in un quadrato di terra ti insegna a riconoscere e a distinguere: le infestanti dalle piante utili, le piante spinose da maneggiare con i guanti; il liscio e lo scabro al tocco; e poi gli odori, la forma delle piantine appena spuntate, prima che diventino grandi, l’identità dei piccoli bulbi che trovi sottoterra… Chissà quante altre cose…
Un giardino può essere frequentato da presenze; alcune, care, rimangono sedute, a volte all’ombra di un olivo o di spalle, tra i filari dei pomodori. Rimangono lì al lungo, purché non ti avvicini troppo e non cerchi di attaccar discorso.
Altre stanno nascoste, tra i rovi o le iris, come se avessero qualcosa di cui vergognarsi.
Ricordi altri giardini, lontani nel mondo e nel ricordo. Quanto lavoro! …quanta erba hai tagliato, quanta terra girato e rigirato: anche se non hai fatto altro che lavorare su te stesso, in fondo…
Un giardino si può anche abbandonare. Quando accade, a differenza di un animale, non uggiola e non sembra soffrire troppo. Semplicemente copre, nasconde dissimula. Ritrovi un ordine che si è imposto in modo naturale; le piante più forti hanno sopravanzato le altre; ci sono nuovi muri e colonne di vegetazione, ogni vuoto è stato riempito. Non potresti dire che è triste: ha trovato un diverso equilibrio.
Ritrovare il giardino: volerlo frequentare di nuovo, rifare progetti su di esso o riprenderne di antichi. Non è un processo automatico: che torni e ricominci a lavorare al giardino…
– Non funziona così!
Piuttosto: torni e lo guardi da lontano, obliquamente, di sfuggita. Cominci a fare qualche passo al suo interno. A volte ti attira, con richiami da sirena, una fioritura improvvisa, un odore. Sì… forse insegui un odore o forse anche un ricordo, pungente come una spina sottopelle, inapparente all’esterno.
Capisci, che il tempo è venuto… quando non fa più male.
Fabio Lambertucci
2 Agosto 2024 at 06:52
Sandro, complimenti per il pezzo sul giardino. È meraviglioso.
Ti ho inviato due video sul noto neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, altri ne trovi sul web.
Grazie mille, ciao
Fabio
15 domande a Stefano Mancuso (brevissimo, dura poco più di un minuto)
https://youtu.be/966-J73jxYE?si=70toFQqYz1N1O_nd
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Altro video (più articolato, di circa 8 min., dal Padiglione della Nazione delle piante, un’esposizione divulgativa e immersiva all’interno della XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano (del 2019):
https://www.youtube.com/watch?v=B3PF98Zyy5A