proposto da Sandro Russo
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Da tempo seguiamo e apprezziamo gli scritti di Marco Belpoliti.
Scriveva in un suo precedente articolo sul significato delle parole, a suo tempo proposto sul sito:
“Tiene la bocca come il miele!” E’ un modo figurato per dire che il linguaggio di una persona attira come il miele attira le mosche. A seconda del tono con cui questa frase viene pronunciata si sottolinea la pericolosità, la falsità, l’artefatta sdolcinatezza della persona in questione. Del resto spesso, puntando alla rima, questo detto viene declinato con “Bocca di miele, cuore di fiele” Quindi, per atavica esperienza sappiamo che il linguaggio è uno strumento che può essere piegato a scopi personali circuendo gli sprovveduti.
I nostri politici sono esperti nella manipolazione del linguaggio che ormai è diventato lo strumento principe per attirare le simpatie degli elettori meno smaliziati. Quando non si possono o non si sanno fare interventi concreti per risolvere i loro problemi, si può usare un linguaggio rassicurante ed assertivo che dà per scontato che, avendolo detto, è stato fatto o si sta facendo. E, ricordiamolo, è linguaggio anche quello che si esprime attraverso la mimica facciale, la postura e, naturalmente, il tono di voce”.
Leggi qui l’articolo completo: “Gli inganni del linguaggio“ del nov. 2022
Allo stesso fine, di “chiarire cosa c’è dietro e intorno”, questo suo recente articolo sui manifesti elettorali recentemente affissi per le elezioni europee
La premier
Meloni, il marchio nel nome
di Marco Belpoliti – Da la Repubblica del 30 aprile 2024
Era scontato: prima o poi Giorgia sarebbe diventato un brand. Perciò Giorgia non è più Giorgia bensì Giorgia. Sugli stendardi pubblicitari elettorali diffusi nelle strade italiane, insieme alla sua immagine di angelo biondo, spicca il con: Con Giorgia. È il prefisso nominale e verbale che entra nelle parole sia d’origine latina (consorte, condiscepolo) o formate modernamente (concittadino), come spiega la Treccani, per indicare unione, partecipazione, collegamento. Segue il suo nome proprio. Giorgia è diventato il proprio marchio di fabbrica, alla pari di altri brand pubblicitari che dominano la comunicazione.
Tutti oggi cercano di creare unione, vincoli, collegamenti, quindi perché stupirsi? Lei ci prova. Certo la decisione di Giorgia Meloni di vendere sé stessa, di offrirsi così in modo simile a una influencer, è in linea con il mood dei nostri tempi, ma presenta, come s’è visto nel caso di Chiara Ferragni, un evidente rischio: ogni errore nella comunicazione può costarle caro. Intanto Giorgia propone la propria immagine di ragazza giovane — l’immagine negli stendardi è ritoccata, ringiovanita; appare sorridente, senza mostrare i denti, e questo la rende meno aggressiva. L’aiuta anche il taglio dei capelli che ha cambiato tempo fa; vuole fornire un’immagine pacata e calma, diversa da quando parla davanti a un microfono: lì si trasforma.
In quei momenti usa spesso metafore belliche, mentre il tono di voce tradisce aggressività.
Come si sa Giorgia Meloni recita.
Del resto proviene da una famiglia d’attori: la nonna paterna, Zoe Incrocci, cui somiglia fisicamente, era una celebre caratterista; lo zio Agenore Incrocci, in arte Age, ha firmato moltissime commedie; il nonno paterno, Nino Meloni, è stato un attore e regista (Filippo Ceccarelli). Altro che una “pescivendola”. Lei stessa è una consumata attrice.
Lo si capisce dai gesti con cui accompagna le frasi, dalle pause e da come porge le battute. Non parla come un politico di lungo corso, da come pure è; piuttosto come un’attrice che recita la parte d’un politico.
La giacca che indossa nello stendardo elettorale è una giacca a singolo petto mistificata a doppiopetto attraverso la doppia serie di bottoni dorati. La giacca ricorda un abito militare; con il suo colore blu e i bottoni d’oro rammenta una marsina lunga, simile ad un abito napoleonico ridisegnato. Qualcosa di militaresco.
Di sicuro Giorgia nella sua attività di propaganda incarna un aspetto decisivo nelle società postmoderne: la prevalenza delle parole sulle cose. Viviamo in una realtà, come ci hanno avvisato i filosofi del linguaggio, in cui le parole parlano di sé stesse.
Giorgia utilizza i cosiddetti enunciati performativi, come sono definiti, espressioni che si fondano sulla dichiarazione e che non prevedono alcuna conferma o prova pratica.
Quella che appare solo una furba idea elettorale – chiedere di scrivere Giorgia sulla scheda elettorale – è esattamente un atto performativo che esorbita da qualsiasi confronto politico o pratico su temi specifici: sanità, pensioni, istruzione, lavoro, stipendi, investimenti, infrastrutture.
Mentre l’antiquato Salvini utilizza, o ha utilizzato sin qui, il Ponte sullo Stretto come un simbolo, Meloni usa il nome proprio come un atto che produce realtà. Come nel titolo il libro di John L. Austin: “fa cose con le parole”.
È la più postmoderna di tutti, anche se le sue idee politiche sono premoderne. Come diceva una volta una pubblicità interpretata da Tino Scotti: “Basta la parola”. Il nome proprio.
Come fare cose con le parole di John Langshaw Austin (U.K., 1911 – 1960), filosofo e linguista inglese (Autore); Marina Sbisà e Carlo Penco (Curatori); Ed. Marietti 1820, (2019)
Elezioni
Solo i partiti italiani hanno il nome del leader nel simbolo
In Germania, Francia e Spagna le forze politiche più rappresentative usano loghi più semplici, senza riferimenti espliciti a chi li guida
Da: pagellapolitica.it del 23 aprile 2024
Per leggere l’articolo completo:
https://pagellapolitica.it/articoli/partiti-italia-nomi-leader-simbolo
Politica
I manifesti elettorali per le europee dicono molto di come stanno i partiti
Da Il Post del 30 aprile 2024
La Lega è la più estrema, Fratelli d’Italia punta tutto su “Giorgia” e Forza Italia ancora su Berlusconi, mentre il PD rimane sul generico
Alcuni periodi, dall’articolo:
Il Partito Democratico ha fatto invece una scelta completamente diversa e ha avviato una campagna elettorale sui manifesti senza il volto dei candidati, abbastanza coerente con la storia del partito che è da sempre contrario alle personalizzazioni: è il motivo per cui c’è stata una forte opposizione interna alla possibilità di mettere il cognome della segretaria, Elly Schlein, sul simbolo del partito per queste elezioni. «Negli ultimi vent’anni la personalizzazione della politica è stata più a destra che a sinistra, e l’elettorato progressista non la apprezza particolarmente», dice Amenduni.
I manifesti sono concentrati su temi molto generici: le liste d’attesa per una visita medica con la sanità pubblica, le critiche alla destra per la criminalizzazione dell’immigrazione, la necessità del salario minimo, il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Per quanto coerenti con lo stile del partito, questi manifesti sono stati comunque criticati perché ritenuti un po’ anonimi e non molto chiari e diretti. Anche l’equilibrio tra i vari elementi dei manifesti (foto, slogan, simbolo del partito) non è stato apprezzato da alcuni esperti di comunicazione. L’ultima volta che il PD provò a personalizzare la campagna elettorale fu con l’ex segretario Enrico Letta alle elezioni politiche del 2022, e i risultati furono deludenti.
Per leggere l’articolo completo:
https://www.ilpost.it/2024/04/30/manifesti-elettorali-partiti-elezioni-europee/